NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

laboratoridirepressione

SPEZIALELIBERO

DAVIDE LIBERO











L’ “Arma” dello stupro

 

FONTE: popoff

 

Non è la prima volta che l’Arma dei Carabinieri è coinvolta in casi di stupro. Prima di Firenze ci fu l’abuso nella caserma del Quadraro,a Roma e in provincia di Padova

 

L’ordinaria narrazione tossica, come in altre occasioni, questa volta si abbatte sulle due donne americane che hanno denunciato di essere state stuprate da due carabinieri, ora indagati, a Firenze. In fondo in fondo anche loro, come le tutte le altre, in qualche modo “se la sono cercata”. “Avevano bevuto”, “avevano fumato”, “non hanno urlato” addirittura il “Secolo XIX” ha riportato la bufala che “hanno inscenato il tutto per riscuotere i soldi dell’assicurazione”. Abbiamo così scoperto che comunque molte donne negli Stati Uniti si assicurano contro lo stupro, tant’è frequente.
E’ vero, lo hanno ammesso, erano state in discoteca, avevano bevuto, fumato per questo il loro racconto potrà essere un po’ confuso. “Il giornale”, in uno strenuo tentativo di difendere l’Arma, ha addirittura insinuato che “Innanzitutto bisognerebbe capire se i carabinieri siano davvero tali; quanto le due avessero bevuto; se qualche millantatore non si sia presentato ai loro occhi ingannandole”.
Ricordiamoci che abusare di una donna che “non è in sé” è un aggravante non un invito allo stupro. E se queste due giovani donne hanno avuto anche solo la percezione di essere stuprate quello è stupro. “Non hanno urlato”? Normalmente una donna che subisce violenza non riesce ad urlare, lo choc blocca le reazioni anche perché si teme per la propria vita. In questo caso poi abbiamo due uomini in divisa e armati, dei quali si fidavano e dai quali non si sarebbero mai aspettate un’aggressione.
Ora si aspettato i referti sul Dna raccolto. Sicuramente dimostrerà che i due carabinieri sono responsabili. E allora comincerà il balzello sulla consenzienza. Infatti è di poche ore fa la notizie che uno dei due carabinieri indagati ha ammesso il rapporto sessuale con una delle due donne, ma “Non c’è stata violenza, è stato un rapporto consenziente”.
Per fortuna l’avvocato di una delle due donne, Gabriele Zanobini, ricorda che la violenza sessuale “non si consuma solo con la violenza fisica o con la minaccia. Si consuma anche, e lo dice il codice penale, abusando delle condizioni di inferiorità psichica o fisica al momento del fatto. E le due ragazze erano in una situazione alterata, anche a causa dell’alcol. In questa fattispecie segnalata dal codice penale il non consenso è implicito”.

L’Arma già coinvolta in casi di stupro
Non è la prima volta che l’Arma passa alla cronaca per casi di stupri. Nel febbraio 2011, nella locale caserma dei carabinieri del Quadrato, a Roma, una donna di 32 anni denunciò di essere stata stuprata da 4 carabinieri e un vigile urbano mentre era in stato di fermo – rinchiusa in cella di sicurezza- con l’accusa di furto. Il vigile urbano Francesco Carrara e il carabiniere Vincenzo Cosimo Stano furono condannati con rito abbreviato a 4 anni, altri due carabinieri, Leonardo Pizzarelli e Alessio Lo Bartolo, rinviati a giudizio, e di loro si sono perse le tracce.
Nell’aprile 2014 a Padova la squadra Mobile aveva bussato alla porta del suo appartamento all’Arcella, si pensava fosse un caso isolato. Nessuno poteva pensare che Dino Maglio, 38 anni ora, all’epoca carabiniere a Teolo, facesse rima con l’accusa di essere un violentatore seriale, nonostante la denuncia di una diciassettenne australiana che prima di tornare dall’altra parte del mondo aveva raccontato in questura di essere stata drogata e stuprata dall’uomo che ospitava lei e la madre a Padova.
Da quel giorno, il diluvio. La denuncia della diciassettenne australiana che diventa una condanna a sei anni e mezzo e altre quattordici ragazze, tutte ospitate dal carabiniere che prendono coraggio e raccontano di essere state abusate da lui. Un’inchiesta arrivata al capolinea, con il pm Giorgio Falcone che nei giorni scorsi ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per Maglio, oggi ai domiciliari a Tricase, Lecce. Violenza sessuale aggravata, stato di incapacità procurato mediante violenza e concussione le accuse che potrebbero portare di nuovo a processo il militare dell’Arma, contro cui anche i vertici dei carabinieri hanno fatto causa per danno d’immagine davanti alla Corte dei Conti.
Fatti, quelli racchiusi nella nuova richiesta di rinvio a giudizio, che vanno da marzo 2013 a marzo 2014, ben prima che il velo sulla doppia vita di Dino Maglio venisse squarciato dalla denuncia della diciassettenne australiana, il 17 marzo 2014. La nuova inchiesta racconta che nella rete del carabiniere – oltre alla studentessa australiana e a una ragazza americana che aveva denunciato le violenze alla polizia londinese di Scotland Yard – erano cadute giovani polacche, canadesi, portoghesi, ceche, tedesche, statunitensi e di Hong Kong che su Couchsourfing.com, la piattaforma web di affitto-camere, si erano fidate di «quel» Leonardo che offriva il suo appartamento all’Arcella a quante cercassero una stanza dove dormire durante il soggiorno a Padova e in Veneto.
L’impressione all’inizio era buona e veniva rafforzata dal tesserino da carabiniere che Maglio mostrava alle sue ospiti per rassicurarle. Un clichè comune ad ogni denuncia, come comune era l’epilogo del loro soggiorno. Il carabiniere che preparava la cena e offriva alle ragazze il suo vino speciale (un mix di alcol e Tavor) per stordirle e abusare di loro. Accuse diventate il cardine dell’inchiesta bis e dei diciassette capi d’imputazione da cui il militare dovrà difendersi di fronte al giudice. Quattro gli stupri accertati dal racconto delle vittime mentre dieci ragazze non hanno saputo dire nulla di quanto successo dopo aver bevuto il vino offerto dal padrone di casa: una dimenticanza che comunque non ha giocato da salvacondotto per Maglio che per questi episodi è accusato di riduzione in stato di capacità delle dieci giovani.
Su di lui anche l’accusa di concussione. In tre occasioni «in qualità di appartenente all’Arma dei carabinieri», scrive il pm Falcone nella richiesta di rinvio a giudizio, Maglio aveva ordinato alle sue ospiti di cancellare i commenti negativi su di lui postati su Couchsurfing. Se non lo avessero fatto lui, da carabiniere, le aveva minacciate che«avrebbe potuto raccogliere informazioni tramite i dati del passaporto e del cellulare, denunciando e creando problemi in tutta Europa, in caso di controlli di polizia». Accuse da cui Maglio si è sempre difeso raccontando agli agenti della Mobile e al magistrato che le ragazze erano sempre state consenzienti e lui non aveva mai violentato nessuna delle sue ospiti. A smentirlo però le indagini della procura, della polizia, il racconto di una giovane australiana e, prima di lei, quello di una studentessa americana. Dopo di loro, altre quattordici ragazze.
Viene da chiedersi se e quanti altri casi di stupri in caserma o no si siano verificati. Di donne che, già normalmente temono di denunciare perché sanno che il rischio di passare da vittima a imputata è alto, figuriamoci quando lo stupratore è un uomo in divisa e armato.
Non ci addentreremo nei meandri della psiche militare, ma è accertato da decine di studi che il mismatch di potere stabilito tra chi indossa una divisa (le armi) e “i civili” si trasforma spesso in pratica di potere sul corpo altrui. Un maschio può facilmente finire ammazzato di botte, in una caserma o per strada, a prescindere dall’avere commesso o no un reato oppure una semplice infrazione; specie se appare “in stato confusionale”. Nelle stesse condizioni una donna, e specialmente una ragazza straniera, “disinibita” nell’immaginario provinciale e comunque “di passaggio”, rischia più facilmente le molestie, l’insulto, le proposte oscene e – in qualche caso – lo stupro. Un piccolo video serve a restituire la mentalità “normale”:

 

https://www.youtube.com/watch?time_continue=137&v=fGL4rThqT9A (Roma una ragazza sola e le attenzioni delle forze dell'ordine)

 

Non è, insomma, un problema di “mele marce”. Ma di una mentalità prevaricatrice che viene insegnata nei corsi di addestramento. Figlia di quelle “scuole di polizia” che l’Italia repubblicana, ma sotto dominio yankee, affidò nientepopodimeno che a Guido Leto. Non sapete chi era? Il fondatore e capo dell’Ovra, il servizio segreto “interno” del fascismo.

Se la mela di oggi è marcia, il verme viene da lontano e le sue uova sono diffuse dappertutto, pronte a schiudersi.