Prima «ha sbattuto la testa per terra», poi «addosso a un cancello». Le versioni della Questura di Vicenza lasciano veramente molti dubbi, ma purtroppo l’unica certezza in questo momento è che Luca Fanesi, tifoso quarantaquattrenne della Sambenedettese, è da due settimane in coma nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Vicenza. Il referto medico parla di quattro fratture craniche troppo vaste e non compatibili con la versione fornita dalla Digos. Ci sono dei testimoni che raccontano un’altra verità: il 5 novembre al termine della partita Vicenza-Sambenedettese scoppiano dei tafferugli all’esterno del settore ospiti mentre la carovana di mezzi dei tifosi marchigiani si stava per allontanare dallo stadio. Come ha raccontato Piergiorgio Tronfi, ultras sambenedettese alla trasmissione Dodicesimo in Campo, «Dopo il contatto fra i tifosi è arrivata la Celere e invece di placare la situazione ha iniziato a manganellare. Luca è stato colpito in testa e qualcuno dei ragazzi mi ha riferito che hanno continuato a colpirlo anche quando era a terra». Questa vicenda fa venire subito alla mente altre storie di abusi di potere e di (troppe volte) impunità avvenute nel nostro paese negli stadi e nelle piazze. Vengono in mente gli spari ad altezza uomo fuori dal settore ospiti di Empoli il 29 novembre 1992, quando due tifosi vicentini vennero colpiti e feriti dai proiettili sparati dalla polizia. Viene in mente poi il pestaggio di Paolo Scaroni, ultras bresciano, mandato in coma dalle botte dei celerini alla stazione di Verona al termine di un Verona-Brescia disputato il 24 settembre 2005, un giorno prima della morte di Federico Aldrovandi, a causa dei colpi ricevuti da 4 poliziotti, uno dei quali, Luca Pollastri, presta ancora servizio proprio alla Questura di Vicenza. In questi giorni è stata manifestata la solidarietà da parte di tantissime tifoserie ed è stata molto forte la vicinanza alla famiglia di Luca, padre di due bambini. Allo stesso tempo è forte il grido che chiede la verità su quanto è accaduto. Sicuramente se le forze dell’ordine avessero, come in molti altri paesi europei, un numero identificativo sul casco o sulle divise, si avrebbe uno strumento in più per individuare i responsabili di eventuali abusi. Tuttavia, nonostante una raccomandazione dell’Unione Europea del 2001 sull’adozione di un “Codice etico per le forze di Polizia”, una proposta di legge del 2014, che chiede l’inserimento su casco e divise di un numero identificativo riconoscibile anche fino a 15 metri di distanza e in condizioni di scarsa luminosità, non è mai stata discussa ed approvata in Parlamento. Nel decreto Minniti “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza per le città”, un emendamento del Governo sull’inserimento di un codice identificativo è stato ritirato per “ragioni tecniche” a causa delle pressioni dei sindacati di Polizia. Chiedere la verità per Luca significa anche pretendere l’introduzione di un numero identificativo e stabilire che i membri delle forze dell’ordine responsabili di eventuali abusi non possano più prestare servizio. Queste sì, sarebbero veramente “disposizioni urgenti in materia di sicurezza per le città”… |