L’omicidio di Massimo Casalnuovo: tutto da rifare in sede giudiziaria. Per Osvaldo e Giovanna, per i loro figli, per tutti coloro che cercano di sostenerli riparte la mobilitazione per verità e giustizia. La Suprema Corte ha annullato la sentenza di secondo grado che aveva condannato il maresciallo Cunsolo a 4 anni e 6 mesi per il reato di omicidio preterintenzionale con interdizione di 5 anni dai pubblici uffici rimandando il giudizio alla Corte d’Assise d’Appello di Salerno per una nuova disamina.
Tra quindici giorni la motivazione per capire le ragioni formali (la difesa ha parlato di un errore di notifica all’imputato) o di merito (i legali del maresciallo hanno insistito sulla tesi dell’adempimento del dovere: pare che si dovesse fermarlo ad ogni costo) che hanno convinto gli ermellini a cancellare la sentenza del 21 dicembre 2015 con cui la Corte d’Appello di Potenza condannò il Maresciallo a 4 anni e 6 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per omicidio preterintenzionale, accogliendo la tesi della famiglia Casalnuovo, assistita dall’avvocato Cristiano Sandri.
Solo le attenuanti generiche consentirono un leggero sconto, sui cinque anni chiesti dal pm di Potenza, per il maresciallo che comandava la stazione dell’Arma di Buonabitacolo, nel salernitano. Il 20 agosto del 2011, durante un maldestro e violento controllo da parte di una pattuglia dei carabinieri, fu proprio il maresciallo a dare un calcio al motorino guidato dal giovane meccanico che cadde e morì. Senza una ragione se non l’abuso di potere commesso da un uomo in divisa. L’ennesima storia di malapolizia. La sentenza venne letta davanti al pubblico dopo un processo d’appello tutto a porte chiuse.
Osvaldo Casalnuovo, il padre di Massimo disse a Popoff che sperava potesse servire da monito per tutti gli altri casi. Attorno ai familiari, una cinquantina di persone: gente di Buonabitacolo, attivisti No Triv, di Libera e di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa. Alcuni di loro c’erano anche oggi nelle lunghe ore di una sentenza pronunciata solo in tarda serata. «Finisce così – commenta Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa – la lunga giornata di oggi, con parecchio amaro in bocca e con l’annullamento della sentenza. Tra 15 giorni verranno rese pubbliche le motivazioni e su quelle, si capirà come procedere per il nuovo processo d’appello. Continua così questa lunga, infinita ed estenuante strada verso la giustizia…».
Chi ha visto ha rifertito con precisione di quel calcio sferrato dal maresciallo al motorino. Sotto la scarpa del maresciallo sono state riscontrate, dalla polizia scientifica di Roma, delle microparticelle della vernice blu del motorino. Un agente della stradale di Sala Consilina ha riferito dell’orma sul sellino del plantare della scarpa e dello sfondamento della scocca dello scooter. «Da parte nostra abbiamo fornito delle consulenze tecniche adeguate che spiegano la dinamica della caduta, la compatibilità con la scarsa velocità del mezzo e con la qualità del fondo stradale. Senza quel calcio mio figlio sarebbe stato ancora vivo».
“Il ragazzo viaggiava su uno scooter, era senza casco ma attenzione – si può leggere sulla scheda preparata da Acad – non è morto per aver sbattuto la testa (come si tende a far credere) ma per la violenta botta al torace. Massimo era appena uscito dall’officina in cui lavorava con il padre, non prendeva il motorino da un po’ di tempo. Lo aveva appena aggiustato. Era stato a fare un giro e stava tornando a casa. Non aveva indossato il casco. Lo fanno un po’ tutti a Buonabitacolo. Quella sera la pattuglia dei carabinieri con a bordo il maresciallo Giovanni Cunsolo e l’appuntato Luca Chirichella decide di controllare i ragazzi senza casco, ne fermano due: Elia Marchesano e Emilio Risi. I carabinieri mettono la macchina di traverso sulla strada e formano una specie di posto di blocco. Peccato che lo facciano dietro una curva. La “scena” si svolge sulla strada principale della città, via Grancia, che porta a una piccola piazza dove di sera si ritrova la gente del paese. Cunsolo è seduto dentro la gazzella e sta redigendo la contravvenzione. Massimo sta arrivando con il suo scooter Beta 50. Sin dal primo momento la versione dei due ragazzi fermati e quella del carabiniere sono opposte. Cunsolo dirà che Massimo, arrivato davanti al “posto di blocco”, accelera, quasi lo investe. Poi perde il controllo del ciclomotore e cade battendo la testa su un muretto a secco. I due ragazzi, interrogati la notte dell’“incidente” dal pm Sessa della Procura di Sala Consilina, hanno invece fornito un’altra versione: Cunsolo era dentro alla macchina, quando vede arrivare Massimo esce dall’auto e per fermarlo sferra un calcio sulla carena del motorino. E’ quel calcio che fa perdere l’equilibrio a Massimo che cade, e muore”.
La Corte di Potenza è dovuta ripartire da zero «ed è stato un bene – aveva detto a Popoff, Osvaldo Casalnuovo, alla vigilia dell’ultima udienza – anche il primo pm, nonostante avesse chiesto per iscritto di continuare a seguire il caso, è stato rimpiazzato dal procuratore capo di Potenza che però ha fatto sentire la sua voce solo in una requisitoria di dieci minuti per ridurre il capo di imputazione, “declassato” a omicidio colposo, e senza voler mai interrogare i testimoni».
In primo grado c’era stata un’assoluzione – il fatto non sussiste – ma con formula dubitativa. «Però le motivazioni erano così blande che la stessa procura di Salerno, oltre noi e il pm, ha impugnato quella sentenza. Il primo processo è stato un lampo», ricordava Osvaldo, cominciato e finito il 5 luglio 2013, non ha visto i testimoni e i consulenti tecnici deporre perché il giudice monocratico, senza mai motivare, ha rigettato tutte le richieste della parte civile. Quel giorno – poi non si sarebbe mai più visto in aula – il maresciallo imputato pronunciò le uniche due parole: «Sono innocente». In appello si sarebbe sempre avvalso della facoltà di non presentarsi.
«Il processo s’è svolto sulla base di niente, come se nel fascicolo non ci fossero atti. Invece ci sono e noi ci vogliamo attenere proprio a quei riscontri oggettivi: testimonianze, referti scientifici e consulenze tecniche – spiega Osvaldo che, quasi dal principio di questa vicenda è seguito dall’avvocato Cristiano Sandri, fratello di Gabriele, anche lui vittima in un caso di malapolizia – anche la procura di Salerno ha messo in risalto la presenza degli stessi dati oggettivi».
Subito dopo i fatti Cunsolo venne trasferito a Polla, a 40 km, con l’altro componente della pattuglia. Buonabitacolo non ha mai creduto alla versione ufficiale. Massimo lo conoscevano tutti. «Mai chiesto scusa – ha detto il padre del ragazzo ucciso – mai cercato un contatto con noi. Forse nemmeno l’avrei accettate perché non m’è sembrato mai di vedere in loro un segno di umiltà, nemmeno l’ammissione di aver svolto un posto di blocco secondo i protocolli».
“Tutto da rifare, quindi – commenta Ilaria Cucchi rivolgendosi a Osvaldo – provo ad immmaginare il tuo stato d’animo in questo momento e la sola cosa che posso dirti è che ti sono vicina e come me tanti altri. Per chi come noi ha deciso che valeva la pena non chiudersi nella rabbia e nell’odio ma ha provato a tramutare quell’odio e quella rabbia nel tentativo di rendere giustizia ai nostri cari, non solo per loro, ma per provare a rendere questa società migliore e meno ingiusta la strada è tutt’altro che semplice. Lo sapevamo. Sappi però che non siete soli». «Osvaldo so che non vi fermerete e noi con voi a chiedere giustizia per Massimo!», scrive anche Grazia Serra che, da anni, si batte per verità a giustizia sulla morte di suo zio, Franco Mastrogiovanni, ucciso in un letto di contenzione durante un Tso. |