Ritorna con prepotenza l’emergenza dei suicidi in carcere. Venerdì si è impiccato nella propria cella del carcere romano di Regina Coeli un 60enne imputato per ricettazione. Il giorno dopo, sabato, si è impiccato un marocchino di 36 anni ristretto nel carcere di Terni. A soccorrerlo il personale di polizia penitenziaria, ma l’uomo riversava già in gravissime condizioni. Trasportato d’urgenza all’ospedale Santa Maria di Terni da un’ambulanza con auto medica al seguito, è stato ricoverato in rianimazione, ma nella notte è morto. Il detenuto era ristretto in isolamento, perché avrebbe aggredito un agente penitenziario. Alle tre di notte dello stesso giorno, invece, si è sparato in testa un agente penitenziario nella portineria del carcere padovano di Tolmezzo. Era un assistente capo di 51 anni, tra i più anziani del carcere. Come se non bastasse, giovedì scorso, una transessuale peruviana di trentadue anni, stufa delle condizioni di isolamento che è costretta a vivere all’interno del carcere di Rimini, ha tentato il suicidio in segno di protesta, ingerendosi una boccetta di acetone per smalto. Ancora non è fuori pericolo ed è in reparto di rianimazione dell’ospedale “Infermi” di Rimini. Nelle carceri si uccidono sia i detenuti che gli operatori che ci lavorano. Siamo giunti a 49 ristretti suicidati dall’inizio dell’anno ( ufficialmente risultano di meno, ma non vengono considerati i detenuti che muoiono in ospedale dopo aver tentato il suicidio o che si sono suicidati in permesso premio) e – secondo i dati dell’associazione Antigone – negli ultimi tre anni sono stati 56 gli agenti che si sono tolti la vita. Un numero impressionante se rapportato con la società libera. Non ci sono studi recentissimi che hanno elaborato un rapporto tra il tasso di suicidi in carcere e quello esterno. Abbiamo però a disposizione uno studio di comparazione dei tassi di suicidio fra i cittadini liberi e quelli reclusi elaborato dal Consiglio d’Europa che copre un’arco temporale tra il 1993 e il 2010: risulta che in Italia, il carcere è un luogo dove il rischio che si verifichi un suicidio è tra le 9 e le 21 volte superiore rispetto all’esterno. I dati elaborati, inoltre, hanno anche dimostrato come, fra la popolazione libera, negli ultimi 20 anni i tassi di suicidi realizzati diminuiscono progressivamente, passando dallo 0,80 ogni 10.000 abitanti del 1993 al- lo 0,51 del 2010. Si tratta di una diminuzione netta e progressiva che avviene soprattutto nel decennio 1993- 2005, con una stabilizzazione negli ultimi 5 anni di rilevazione. Ciò non accade però in carcere. Le variazioni dei tassi di suicidio fra i detenuti, anche solo da un anno all’altro, appaiono assai significative: tali oscillazioni determinano che proprio negli ultimi anni, con la punta massima del 2007, si sia accentuata la forbice fra il carcere e il mondo esterno. Suicidi che negli ultimi anni sono sempre più frequenti, così come il trend del sovraffollamento risulta in esponenziale aumento. Come mai queste criticità sono in ripresa? Secondo Emilia Rossi, membro dell’ufficio del Garante nazionale dei detenuti, il discorso dei suicidi ha una sua complessità. «Ho osservato con attenzione questa nuova ripresa dei suicidi – spiega Emilia Rossi al Dubbio -, ma dobbiamo essere sempre cauti nelle valutazioni, perché ci sono profili che attengono all’intimità umana che sono difficili da sondare. Anche perché – sottolinea – ci sono casi di ristretti che si uccidono nonostante vivano in ambienti dove non c’è un particolare sovraffollamento». Come garanti valuteranno caso per caso e, infatti, Emilia Rossi ricorda che continueranno a presentare alle Procure che fanno le inchieste sui suicidi, la loro dichiarazione come persona offesa, in modo di essere a conoscenza dell’eventuale emersione di cattiva gestione che conduce al suicidio. «Molto importante – aggiunge Emilia Rossi – è la direttiva del ministro che punta all’attenzione individuale dei momenti critici coinvolgendo tutti gli operatori del carcere, dagli agenti penitenziari alle figure professionali socio- sanitarie. In alcune carceri – spiega – c’è stato un investimento delle risorse sanitarie, ma questo dipende dalla volontà del servizio sanitario che non risponde all’amministra-zione penitenziaria». Figure importanti, perché il carcere è una struttura che fa ammalare non solo fisicamente, ma anche mentalmente. «Proprio per questo – spiega Emilia Rossi – non credo che debba stupire il fatto che ci si suicidi più in carcere che fuori». Per quanto riguarda la ripresa del sovraffollamento, il membro dell’ufficio del Garante spiega che diversi sono i fattori che lo causano. «Non solo perché sono esaurite le misure deflattive del passato – spiega Emilia Rossi -, ma anche perché quelle attuali sono poco applicate, soprattutto nei confronti della popolazione detenuta straniera che non può usufruire di pene alternative non avendo un lavoro o un proprio domicilio. Ma in questa prospettiva – aggiunge – un miglioramento serio dovrebbe arrivare dall’approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario». |