Secondo il giudice sportivo, esporre all’interno di uno stadio la faccia di Federico Aldrovandi è una «provocazione rivolta alle forze dell’ordine». I fatti risalgono al 9 e 10 dicembre scorso. Acad, Associazione contro gli abusi in divisa, aveva invitato le tifoserie italiane a esporre il volto del giovane ferrarese ucciso da alcuni agenti mentre tornava a casa, in una notte di settembre del 2005. L’iniziativa era arrivata dopo che all’interno dello stadio Olimpico di Roma, in occasione della partita tra Roma e Spal, ai sostenitori della compagine ferrarese era stato impedito di entrare con il bandierone che porta il volto di Aldrovandi. L’appello di Acad aveva raccolto tantissime adesioni delle curve italiane ed europee. La faccia di «Aldro» era comparsa un po’ dovunque, segnalando l’ostinazione a non dimenticare la sua morte in seguito ad un fermo di polizia. Adesso sono in arrivo sanzioni pecuniarie e Daspo, il divieto di partecipare a manifestazioni sportive, un provvedimento amministrativo che non necessita di essere approvato dalla magistratura ordinaria. E che in questa occasione porta questa motivazione: «I sostenitori, durante la gara, esponevano uno striscione di contenuto provocatorio nei confronti delle forze dell’ordine». Il padre di Federico, Lino Aldrovandi, ha espresso la sua solidarietà ai colpiti dai provvedimenti repressivi: «Ripeto quello che ebbi a dire qualche giorno fa – sostiene – Ricordare le vittime di quel male irreversibile ’causato’, non sarà mai sinonimo di violenza, ma monito a richiamare al rispetto della vita di ognuno di noi, da parte di chi quella vita, quando chiamato in causa, abbia l’onere ed il privilegio di averla in consegna». Il regolamento in vigore non prevede il divieto di esporre bandiere. Quel divieto è limitato agli striscioni offensivi e a quelli dal contenuto considerato «politico». Ne deriva che le norme che disciplinano i comportamenti dei tifosi riconoscono ampio potere discrezionale ai funzionari di polizia. Qualsiasi stendardo di dimensioni superiori a un metro deve essere autorizzato. Da qui aveva avuto origine il divieto di Roma. La motivazione del giudice non richiama espressamente il volto di Aldrovandi. Ma i protagonisti di questa vicenda non hanno dubbi: è quella faccia l’unica «anomalia» che compare sugli spalti nel corso di quella giornata calcistica. E sono i suoi occhi, che interrogano il prossimo e mantengono vivo il suo ricordo, ad essere considerati una «provocazione». Così, ad esempio, dalla questura di Terni si annunciano provvedimenti nei confronti di cinque ultrà del Parma. E da Prato i tifosi raccontano: «All’inizio del secondo tempo, alcuni steward assieme a poliziotti in divisa e non, dopo aver strappato un drappo di Aldrovandi dalla curva del Siena sono entrati nel nostro settore intimandoci, pena il Daspo, di levare lo striscione con la foto di Aldrovandi». «Il divieto di Roma che ha dato il via alla campagna non era frutto della decisione di qualche funzionario di polizia troppo solerte, ma di una precisa volontà politica – spiega Luca Blasi di Acad – La nostra campagna #FedericoOvunque ha raccolto e continua a raccogliere adesioni dalla maggior parte delle tifoserie italiane, molte da altri paesi europei e da una miriade di realtà sociali e singoli cittadini. La risposta a questa azione di massa nonviolenta è gravissima: non potendo impedire fisicamente l’accesso agli striscioni in tutte le partite delle differenti categorie stanno fioccando multe e divieti nei confronti di chi ha portato striscioni, bandiere o cartelli con l’immagine di Federico». |