Il regista di "E’ stato morto un ragazzo", Vendemmiati: "Poteva essere una morte invisibile, fu scambiato per straniero e drogato. Testimonianza decisiva di una camerunense. Le vittime di forze dell’ordine devono avere lo stesso rilievo di Erba e Cogne". Mentre i calciatori si sfidano sul campo, dagli spalti parte un coro rabbioso: "Giustizia per Federico", urlano i tifosi della Spal disinteressandosi della partita. Si apre così, con questa sequenza singolare e suggestiva, il film di Filippo Vendemmiati, E’ stato morto un ragazzo. Federico Aldrovandi, studente di 18 anni, fu ucciso il 25 settembre 2005 a Ferrara da quattro agenti di polizia. All’inizio la favola della morte accidentale, poi le foto del corpo sfigurato, le prime testimonianze e ammissioni. Solo nel 2009 i responsabili sono stati condannati per omicidio colposo, dopo la lunga battaglia di famiglia, amici, associazioni. Oggi la storia è nota, sta diventando un simbolo contro la violenza delle forze dell’ordine, a difesa dei diritti civili. Tanti particolari sconosciuti o trascurati emergono invece dalla bella ricostruzione di Vendemmiati, che ha portato il suo film all’ultimo Festival di Venezia. Adesso il cofanetto con libro e dvd è disponibile in libreria, a cura di Promo Music e Rai Trade. Giornalista Rai dal 1987 e inviato dall’Emilia Romagna, l'autore ci ha raccontato il suo lavoro e le impressioni sull’intera vicenda.
Il caso Aldrovandi è particolare per molti motivi. Tra questi, il fatto che sia uscito sui media nazionali solo nella fase finale del processo. Il presidente della Federazione della stampa, Roberto Natale, nell’introduzione del libro la definisce "una pessima pagina dell’informazione italiana". Com’è andata esattamente? Vendemmiati: La storia era destinata ad essere archiviata, sia dal sistema giudiziario che dal mondo dell’informazione. Rischiava di essere una morte invisibile, una delle tante, se non fosse stato per alcune circostanze particolari: la determinazione della famiglia, il blog aperto dalla madre per chiedere giustizia e il lavoro di un paio di giornalisti. A quattro mesi dall’apertura dell’inchiesta, il fascicolo del pubblico ministero era vuoto e i giornali non se ne occupavano. Da una ricerca fatta dopo il verdetto, emerge che a questo caso sono stati dedicati 20 lanci di agenzia, contro i circa 400 riservati al delitto di Perugia.
Insomma, è calato uno strano silenzio. Vendemmiati: C’è un paradosso, che ritroviamo anche nei fatti degli ultimi giorni: i giornali si occupano morbosamente di Sarah Scazzi, l’adolescente uccisa ad Avetrana. E’ una morte molto tragica, che però è maturata tra le mura domestiche. Al di là del disagio famigliare quindi non ha un particolare rilievo sociale. Al contrario, invece, non si impongono le vittime delle forze dell’ordine, che dovrebbero suscitare un interesse pubblico molto maggiore. Vorrei che Federico, Stefano Cucchi e gli altri avessero lo stesso rilievo di Sarah, il delitto di Cogne o la strage di Erba.
Nel film colpisce la testimonianza della cittadina camerunense. A quanto si apprende, fu lei ad “incastrare” gli agenti responsabili, mentre eventuali testimoni italiani non hanno parlato. E’ stato proprio così? Vendemmiati: La donna straniera era l’unica che aveva qualcosa da perdere, perché era in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Nella prima fase delle indagini, non parlò proprio nessuno: le forze dell’ordine avevano visitato tutte le case nei dintorni della strada in cui era morto Federico. L’avevano fatto per capire se, dalla prospettiva degli appartamenti, qualcuno avrebbe potuto vedere qualcosa. I più anziani erano spaventati, tutti si sentivano intimiditi: inoltre, i giornalisti locali avevano scritto che era morto per droga, presto il caso è sparito dalle prime pagine. In questa categoria mi ci metto anche io, con molta autocritica.
Poi cosa accadde? Vendemmiati: Si fece avanti questa signora. Aveva visto la scena dal balcone di casa, chiamando anche il figlio adolescente. All’inizio pensò che la polizia stesse svolgendo il proprio dovere, che stesse lavorando bene. Infatti disse al bimbo come avvertimento: "Vedi cosa succede se qualcuno si comporta male?".
Questo mi sembra il punto della questione: è sempre difficile mettere in dubbio che la polizia agisca correttamente. Vendemmiati: Infatti. Solo nel corso delle indagini, la testimone si rese conto che quella notte gli agenti non avevano rispettato le regole. Andò a confessarsi da un sacerdote, che le consigliò di parlare con un avvocato: così è nata la deposizione. Riferì che la poliziotta aveva detto ai colleghi che pestavano Federico: "Moderatevi che c’è una luce accesa". Oggi mi piace pensare che quella "luce accesa" sia il simbolo della buona informazione, una luce che illumina ciò che è misterioso perché viene occultato.
E’ vero – come dici nel film – che Federico fu scambiato per straniero? Vendemmiati: La sentenza ha chiarito alcuni punti. Prima i poliziotti credono che sia un extracomunitario, sostengono che il giovane "ringhia dal buio degli alberi". Poi pensano anche che sia drogato. Secondo il giudice, questa non è un’attenuante ma un’aggravante nei loro confronti: in quel caso avrebbero dovuto mantenere un maggiore controllo dei nervi, proprio perché avevano davanti un soggetto in stato di debolezza. Adesso sappiamo che il ragazzo non era drogato né ubriaco: gli agenti non erano addestrati a mantenere l’autocontrollo né immobilizzare una persona. Hanno sostenuto che il ragazzo "dava in escandescenze": un’altra ipotetica aggravante, in quel caso avrebbero dovuto chiamare l’ambulanza al posto dei rinforzi. E’ stato un caso drammatico di incapacità professionale, oltre che di omicidio colposo.
Pochi giorni fa lo Stato ha riconosciuto due milioni di risarcimento alla famiglia. Questo cosa significa? Vendemmiati: E’ un passo importante. Il ministero dell’Interno accetta la responsabilità morale e psicologica, anche se non è stato citato in giudizio. E’ la prima volta che accade in Italia. Comunque, in questo caso lo Stato ha sbagliato all’inizio: doveva costituirsi subito come parte civile, non lasciarsi rovinare l’immagine da alcuni agenti delinquenti.
L’associazione Articolo 21 lancia un appello, chiede che il film venga trasmesso dalla Rai. Vendemmiati: Come giornalista Rai, io sono il primo a volerlo. Abbiamo consegnato le firme, diverse migliaia, ma non ci hanno ancora risposto. Aspettiamo e confidiamo in una soluzione positiva: anche perché altre televisioni lo hanno chiesto, non possiamo aspettare invano. Si può trasmettere senza problemi, soprattutto dopo il risarcimento offerto dal ministero: non diamo una cattiva immagine delle forze dell’ordine, al contrario difendiamo la trasparenza e la correttezza delle istituzioni. Mi dispiacerebbe che domani qualcuno dicesse: "Proponiamo il documentario che la Rai non ha voluto trasmettere", perché credo ancora molto nel valore del servizio pubblico.
Un film e un fumetto su Aldrovandi, un fumetto su Stefano Cucchi. Vedi un risveglio delle coscienze su questi casi? Vendemmiati: La sensibilizzazione è aumentata. Per esempio, quando presentiamo libro e film otteniamo molta attenzione: la diffusione è favorita attraverso Internet, le radio private e altri mezzi del genere. Al momento non abbiamo una distribuzione ufficiale, sono le singole sale che ci chiedono la proiezione. E’ stato morto un ragazzo diventerà poi uno strumento dell’associazione che sta per nascere, per le vittime delle forze dell’ordine. Lo scopo è controllare che questi episodi non accadano e offrire tutela morale, psicologica e legale alle vittime delle tragedie. Ricordiamoci sempre che le famiglie di Aldrovandi e Cucchi sono coraggiose e culturalmente attrezzate, ma ci sono anche altri casi: se Federico fosse stato extracomunitario, nessuno ne avrebbe mai parlato. Anche oggi sarebbe rimasto un drogato ubriaco.
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