Quel decreto legislativo, il n. 216/2017, che si occupa delle intercettazioni, ha introdotto alcune novità alquanto preoccupanti. La magistratura puo’ ricorrere a un virus informatico ( trojan horse) , basta indagare un cittadino che abbia un pc, uno smartphone o un tablet, inserendosi all’interno di questi dispositivi attivando un microfono o una telecamera. Non stiamo parlando del copione di una pellicola di spionaggio ma della opportnità concessa dal Legislatore al Giudice di ricorrere ad ogni mezzo, anche la pirateria informatica , per arrivare in possesso di alcune prove a carico dell’indagato. Il trojan diventa una sorta di interecettazione ambientale già prevista dal Codice di procedura penale ma di dubbia Costituzionalità soprattutto se questo spionaggio non ha limiti e confini spazio temporali. Il trojan puo’ essere urilizzato anche nei luoghi privati , del resto certi sistemi, una volta applicati, difficilmente saranno soggetti a limitazioni e controlli. Arrivare alla conquista di notizie e informazioni con ogni mezzo possibile, il fine (inchiodare il presunto colpevole) prevederà il ricorso a qualunque mezzo giudice può autorizzare il trojan anche all’interno dei luoghi di privata dimora, basta solo avere un generico sospetto di attività criminosa. L’uso della pirateria informatica sarà sempre piu’ rilevante, la tanto decantata tutela della privacy sarà un ostacolo facilmente aggirabile. E i reati per i quali è previsto l’uso del virus potranno in futuro essere aumentati, da reati gravi a reati ben piu’ piccoli, lo spionaggio insomma diventerà lo strumento privilegiato della Magistratura. |