Sono ore di comprensibile fibrillazione attorno alla Roma e ai suoi tifosi. La movimentata serata di Anfield rischia di lasciare strascichi pesantissimi, sia calcisticamente che per quanto riguarda il futuro del tifo giallorosso. Sean Cox – il 53enne tifoso inglese ferito durante gli incidenti davanti alla Kop – è ancora ricoverato, in coma, presso il Walton Neurological Centre e nelle ore precedenti ha subito un intervento al cervello per drenare il sangue. Saranno di fondamentale importanza le prossime quarantotto ore. Nel frattempo sui social e sui giornali impazza la “caccia al colpevole”, con il solito fango generalista che è tornato a coprire gli ultras e in particolar modo la Curva Sud di Roma, bersaglio di molti camaleonti dell’informazione che avevano riposto le proprie, dubbie, elucubrazioni sociali (pur non conoscendo minimamente il fenomeno delle curve) dopo la questione barriere. Tutti pronti a condannare, giudicare e svolgere processi a mezzo stampa, in pochi a capire come siano andate le cose nella serata di martedì. Quasi nessuno pronto ad analizzare colpe e protagonisti che ovviamente non possono pendere da un solo lato. Basta davvero un video di qualche secondo – che giocoforza riporta solo una parte dei fatti – a dare un giudizio inappellabile? A chi fa informazione, a livello nazionale, dovrebbe sorgere quanto meno il dubbio. Così come delle domande vanno poste su tutta la gestione della serata da parte della polizia. È indubbio che l’apparato di sicurezza allestito dalle forze dell’ordine britanniche abbia giocato un ruolo chiave nell’accaduto. Portandosi dietro delle responsabilità immense. Ieri abbiamo raccolto una testimonianza su come è stato gestito l’afflusso allo stadio dei tifosi ospiti, costretti a passare sotto la Kop, affrontando un percorso che li ha visti anche oggetto di varie provocazioni da parte dei tifosi di casa. Oggi diamo voce a Marco (nome di fantasia) che ha provato non pochi problemi in fase di deflusso: “Appena usciti ci siamo ritrovati in un marasma – racconta – mentre camminavamo con altri amici ci siamo trovati aggrediti da una decina di persone incappucciate e armate di bottiglie e bastoni che ci correvano incontro. Io ho alzato le mani, come per dire che non avevamo intenzioni bellicose. Chiaramente ci siamo molto spaventati, noi eravamo andati solo per vedere la partita. Siamo andati verso la polizia ma questi hanno fatto spallucce, come se non stesse accadendo nulla. Fortunatamente in quel momento è passato un taxi su cui ci siamo fiondati per salvarci”. E la sua non è certo l’unica segnalazione a tal merito. Sempre nel post partita, sia nelle zone adiacenti allo stadio che in città, molteplici sono stati i focolai di rissa. Diversi gli italiani aggrediti, tra cui un ragazzo circondato e pestato da una ventina di inglesi mentre faceva ritorno verso il centro della città. Per lui ingenti danni e la riprova ulteriore della totale disorganizzazione della polizia locale, incapace di convogliare i tifosi ospiti verso un unico punto o smistarli con mezzi appositi. Lasciati allo sbaraglio, per le vie di una città straniera. Con la tensione che si tagliava a fette a causa degli incidenti nel pre partita. Non proprio un modus operandi impeccabile insomma. Insomma, appare alquanto chiaro che – a differenza di quanto propagato dai principali media nazionali – in questa storia non ci siano “buoni” e “cattivi”, ma comportamenti censurabili da ambo i lati, favoriti dalla mala gestione delle forze dell’ordine. E proprio da questo bisognerebbe partire per analizzare e giudicare i fatti con una certa credibilità. Intanto questa mattina, attraverso Adnkronos, l’Avvocato Lorenzo Contucci ha fatto sapere che: “È caduta l’accusa di tentato omicidio per entrambi. Il reato è stato derubricato in lesioni gravissime per L. e in ‘violent disorder’, un reato che in Italia non esiste, per S. È stato inoltre disposto che andranno a processo entro 28 giorni. È presto per fare qualsiasi previsione – ha concluso il legale – io non ho le carte sotto mano e ho incaricato un collega inglese di seguire la vicenda». Una notizia che va in controtendenza rispetto allo sciacallaggio mediatico in atto da ieri pomeriggio: nomi, cognomi, indirizzi, professioni e altri dati sensibili dei ragazzi fermati, messi alla berlina su tutte le principali testate nazionali. Un processo mediatico in piena regola che – a prescindere da come andrà quello ordinario – rischia comunque di rovinare per sempre la vita dei due ragazzi. Ci si chiede come sia possibile non censurare simili abusi giornalistici, privi di qualsiasi deontologia e assetati soltanto dalla voglia di scoop, anche a costo di fabbricare artificialmente “il mostro” e creare più scalpore attorno all’accaduto. Qual è la loro finalità in termini di informazione? La verità è che attualmente la faccenda risulta molto ingarbugliata, anche per la polizia inglese che sta cercando ulteriori indizi per ricostruire la dinamica di quanto accaduto. Tutto il resto è una sintesi di morbosità e sciacallaggio. |