Si comunica che giovedi 18 alle ore 10.00 ci sarà una riunione in Prefettura per la gara tra il Treviso e l’Unione Venezia.” Questo scarno comunicato pubblicato sul sito ufficiale della società biancoceleste fotografa meglio di tante parole la situazione: il derby per i tifosi arancioneroverdi e per quelli della Marca è già rovinato. I preparativi e l’attesa per la trasferta, per le coreografie, l’entusiasmo contagioso per il confronto al vertice, la cornice di passione e calore di uno stadio gremito, le tensioni e le emozioni che solo queste sfide sanno regalare, su tutto questo, che è la linfa vitale dello sport che amiamo, una doccia gelata. Il countdown verso il derby del Tenni è saltato. Non si organizza una trasferta, un derby in due giorni! E non ci parlino di esigenze di sicurezza, per favore. La sicurezza può e deve essere tutelata diversamente. Ha bisogno di certezze e di regole chiare e condivise. La discrezionalità con cui il CASMS, misterioso acronimo che sta per Comitato di Analisi e Sicurezza delle Manifestazioni Sportive, decide il destino di questo o quel derby, le diverse e contrastanti decisioni (è di questi giorni il caos scatenato dal divieto imposto ai tifosi sampdoriani di recarsi a Parma, con tifoserie pacifiche e gemellate da 25 anni), la tempistica che porta a ridosso dell’evento sportivo ogni decisione, sembrano essere indice di palese inadeguatezza e incompetenza di tale organo. Gli effetti, al di là dei numeri trionfali sbandierati sul fronte della sicurezza, sono sotto gli occhi di tutti: stadi semideserti e disadorni, una passione sportiva che si affievolisce ogni giorno di più, giovani generazioni sempre meno attratte dal calcio, la crisi di entusiasmo e di credibilità del calcio italiano è ormai cronica. Il modello italiano di sicurezza, fatto di divieti e di regole che variano ogni giorno e per ogni evento senza alcuna logica, sembra fare acqua da tutte le parti, basti pensare alla recente partita di Genova: cosa stava analizzando di così importante il CASMS per non essere in grado di prevedere le intenzioni di certa parte della tifoseria serba, note a qualsiasi addetto ai lavori minimamente informato? Torniamo al nostro derby, alla decisione di chiudere il settore ospiti costringendo i tifosi arancioneroverdi ad accomodarsi in tribuna o peggio ad acquistare i biglietti della curva di casa, ci sarebbe da restare allibiti difronte a tanto pressapochismo e dilettantismo. A meno che il “caos”, in questa come in altre occasioni, non sia altro che una deliberata strategia, il cui obiettivo non è tanto la sicurezza dell’evento in sè quanto la risoluta determinazione di progettare e gestire un modello di sport senza alcuna autonomia e indipendenza. Alle dirette dipendenze di organismi di polizia che di altro si dovrebbero occupare. Sia chiaro, il calcio italiano non può nascondere la testa sotto la sabbia e negare di dover affrontare il problema della violenza. Solo che il rimedio scelto, la repressione indiscriminata di ogni forma di tifo organizzato e la militarizzazione degli stadi e degli eventi sportivi, pare peggiore del male e rischia di uccidere il paziente. E’ il calcio che deve trovare le forze per vincere questa sfida. Cominciando ad ammettere il fallimento di un modello tutto incentrato sulla vittoria come unico risultato possibile, su tifosi-clienti-consumatori, un modello che ha messo in soffitta quel rapporto speciale tra un club e la sua comunità, unica vera ricchezza da difendere e valorizzare attraverso la partecipazione attiva dei tifosi. Il calcio dei divieti non ha futuro. |