La riforma dell’ordinamento penitenziario è morta. La vocazione della Legge Delega era dare finalmente attuazione all’art. 27 della Costituzione improntando la pena non più al mero aspetto retributivo bensì alla restituzione dell’individuo alla società e ad una reintegrazione ovvero integrazione nel tessuto sociale. Tale tensione finalistica comportava la rimozione di qualunque automatismo che si traducesse in una vanificazione degli sforzi di recupero del sé della persona detenuta e della sua partecipazione ai programmi trattamentali ed alle offerte formative degli istituti penitenziari. In particolare, con riferimento ai minori, la delega prevedeva, al punto 6) dell’art. 85, ‘ l’eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefìci penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell’individuazione del trattamento’. La vocazione astratta dei propositi ministeriali, dunque, permaneva e si rafforzava riguardo alla necessità di dare vita, dopo 40 anni di silenzio legislativo, ad un ordinamento penitenziario minorile ovvero ad una griglia di disposizioni che costituisse una base normativa autonoma che tenesse conto delle necessarie diversificazioni richieste dalla particolare vulnerabilità dei minori che commettono reati e dalla opportunità di rispondere alle condotte criminose con strumenti che traducano la tensione puniti- va in aspirazione educativa e di recupero. In tale ottica, infatti, ( del rispetto di una particolare condizione di vulnerabilità, della necessità di educare la persona che sia incorsa da minorenne nel crimine e di determinarne la adesione a modelli sociali alternativi e positivi, di sanzionare con intelligenza prospettica ed indulgenza il minore il cui ricorso al crimine può essere stato determinato da condizionamenti esterni – sociali o familiari – cui non è stato in grado di contrapporre una resistenza matura e consapevole) il carcere deve essere considerato come extrema ratio e rispondere a criteri di inevitabilità. Gli studi ed i progetti di legge elaborati negli ultimi anni, le indicazioni offerte dalla Corte Costituzionale, dalle direttive europee, dalle circolari ministeriali, tutti assecondano tale medesima intenzione: relegare la pena in carcere ad un ambito del tutto residuale e prediligere l’esecuzione penale ‘ aperta’ o extramoenia tesa alla integrazione sociale ed alla responsabilizzazione di soggetti ancora da ‘ educare’, non da rieducare. In tale ottica, coerentemente con il lavoro dei tavoli V e XII degli Stati Generali sull’esecuzione Penale, la Commissione per l’Ordinamento Penitenziario Minorile aveva elaborato un testo che, in piena coerenza alla Delega, prevedesse una pena che rifugge il carcere, ‘ strumento desocializzante e contrario ad ogni logica educativa’, conciliando l’aspetto punitivo con la preminente necessità collettiva di tutelare la formazione del reo ed il suo inserimento nel tessuto sociale. A tal fine e in aderenza ai pronunciamenti della Corte Costituzionale ( sent. 90/ 2017), si era stabilita la eliminazione di ogni ostacolo normativo relativo al titolo di reato ed alla pena da espiare, per consentire al reo già in libertà con in corso un proficuo percorso di formazione, di evitare il trauma dell’ingresso in carcere, sempre interruzione violenta del cammino intrapreso e traumatica sospensione delle relazioni familiari ed affettive. Si vorrebbe ora introdurre specificamente, per i minori che abbiano commesso le più gravi fattispecie di reato, automatismi di preclusione e sbarramenti normativi alle misure alternative al carcere, al grido scomposto di ‘ sicurezza’ e di ‘ certezza della pena’. Un grido che asseconda spinte populiste irragionevoli e incolte, rasserenate dalla ferocia ottusa del punire e mai dalla consapevole verifica della proiezione di risanamento di una pena giusta ( anche una misura alternativa al carcere è una pena!) sul tessuto sociale, ché lo stolto guarda il dito e non la luna. Si tratta di contenuti vistosamente contrari ai propositi della Delega e in chiaro conflitto con le statuizioni della Corte Costituzionale, troppo spesso costretta a sostituirsi a un Legislatore indolente quando non indifferente ai dettami della Carta Fondamentale. |