Il 5 Agosto è stata votata la fiducia al cosiddetto “Decreto sicurezza bis”, che quindi è diventato legge. Si tratta di un provvedimento complesso ed eterogeneo, le cui direttrici principali sono le seguenti: da una parte contiene delle disposizioni sul tema delle migrazioni e del soccorso in mare, dall’altra presenta interventi sul codice penale, relativamente alla gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni, sia sportive che di piazza. Se c’è una questione che da decenni accomuna le diverse fazioni politiche e i differenti governi che si succedono è certamente quella della stretta repressiva riguardo l’ordine pubblico, in particolar modo per quanto concerne gli stadi. La severità con cui la legislazione italiana si accanisce in materia di manifestazioni sportive, attualmente non ha eguali in Europa. Nonostante questo, la tematica della violenza e dell’ordine pubblico negli stadi non cessa di avere un primato di attenzione per chi legifera nel nostro paese; lo dimostra il fatto che, per ogni governo che si succede, si riscontra almeno un intervento repressivo in relazione alle manifestazioni sportive. Si legge nel testo del decreto sicurezza:
“CONSIDERATA, infine, la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare gli strumenti di contrasto dei
fenomeni di violenza in occasione delle manifestazioni sportive, nel più ampio quadro delle attività di
prevenzione dei rischi per l’ordine e l’incolumità pubblica”.
Se l’ultimo intervento in merito alla sicurezza negli stadi – ovviamente in direzione repressiva – è datato 2017 (Decreto Minniti) e i dati forniti dall’Osservatorio sulle manifestazioni sportive fotografano una situazione che ormai da anni si è sostanzialmente stabilizzata, qual è dunque, il senso di questo ulteriore giro di vite? Da dove nasce questa “straordinaria necessità ed urgenza” ? Quali sono i veri obiettivi delle politiche repressive dello stato, in materia di manifestazioni sportive? E ancora: “Quali retoriche i poteri costruiscono sull’ultras, e perché?” (Lorenzo Giudici, Silvano Cacciari, Stadio Italia, i conflitti del calcio moderno, La casa Usher)
Le risposte a queste domande sono complesse e abbracciano diversi ambiti: dalla struttura economica, passando per la dimensione politica, fino ad arrivare all’apparato repressivo. Partendo dall’ultimo quesito, quello posto da Giudici e Cacciari, diciamo che i detentori del potere politico ed economico, da decenni hanno contribuito, avendo a disposizione imponenti mezzi di comunicazione quali radio, televisione e giornali, a fare dell’ultras un folk devil , un capro espiatorio, nei confronti del quale canalizzare sospetti, paure e tensioni che si producono all’interno della nostra società:
“Non c’è società civilizzata che non elabori il mito del nemico interno, quello che con i propri comportamenti rischia di disgregare irrimediabilmente l’ordine sociale. Molto spesso questo mito, che provoca la reazione di panico morale, coincide con la rappresentazione delle fasce giovanili della popolazione”. (Stadio Italia)
Una società fondata su una falsa promessa di benessere e lusso per tutti, e che invece si trova a generare enormi contraddizioni politiche e sociali, quali disuguaglianza, disoccupazione diffusa e disagi individuali e collettivi in genere, solo per fare degli esempi, scopre la necessità di produrre una serie di categorie di individui sulle quali far ricadere l’ansia, la frustrazione, la paura e il “panico morale” che inevitabilmente esplodono tra i cittadini. La figura dell’ultras viene individuata come funzionale alla soddisfazione di questa necessità. Per una classe politica che da decenni vede il crollo a picco della propria credibilità, la “caccia all’ultras”, diviene uno strumento per una banale produzione di consenso tra l’opinione pubblica. Allo stesso tempo, aver identificato le frange estreme del tifo con il “nemico interno”, alimentando in maniera esponenziale la rappresentazione mediatica del pericolo e della paura rispetto a tali temi e aver fatto della questione dell’ordine pubblico relativo alle manifestazioni sportive un cavallo di battaglia politico di ogni legislatura, ha portato alla trasformazione degli stadi in dei veri e propri “laboratori della repressione”, all’interno dei quali poter sperimentare nuovi dispositivi di regimentazione della masse e sempre più sofisticati sistemi di controllo sociale:
“E’ lo spessore antropologico stesso del calcio, come fenomeno sociale centrale nell’attenzione di massa e nelle rappresentazioni mediali, a favorire questo genere di circolazione di pratiche repressive e di comportamenti conflittuali. Ma è ancor di più, la rappresentazione delle tifoserie da parte dei media ufficiali a rendere questi fenomeni utili per il consolidamento egemonico dell’ideologia della sicurezza intesa come strumento generale di governo dei rapporti sociali. […] Si tratta di assegnare all’hooligan (come all’ultras) qualcosa di più della semplice funzione espiatoria (individuare un soggetto che si fa carico di tutte le nefandezze della società per espiarle simbolicamente nel momento del sacrificio): l’hooligan diviene un elemento produttivo per la governa mentalità, legittimandola all’interno di un dispositivo securitario che consente ogni retorica di animalizzazione, ogni conseguente evoluzione delle tattiche di controllo, ogni trasferimento di queste tattiche al resto del corpo sociale”. (Stadio Italia)
L’eccesso, la passione sfrenata, il conflitto e la violenza, elementi che storicamente animano la frangia estrema di chi popola gli stadi, hanno favorito queste dinamiche di marginalizzazione e di criminalizzazione che l’establishment ha iniziato a elaborare fin dall’avvento del calcio moderno, inteso come industria e dispositivo economico centrale per i paesi sviluppati. Già, perché le logiche repressive non costituiscono un campo a sé stante, ma si intrecciano con i cambiamenti economici e politici che hanno investito l’intera società, e quindi anche il mondo del pallone, che negli ultimi 30 anni ha perso quel carattere originario e popolare, finendo per diventare un mero business, niente più che uno show dal quale estrarre profitto. Le esigenze di spettacolarizzazione e commercializzazione imposte dalle aziende televisive, hanno portato alla normalizzazione degli stadi e alla rimozione forzata di tutti quegli elementi, fondativi per la storia del pallone e delle tifoserie, ma reputati non funzionali alla vendita del “prodotto-partita”. Gli ultras, in questo senso, fedeli ai propri principi e al proprio modo di essere, continuano a costituire un problema: avendo rivendicato fin dalla loro nascita “un diritto di critica e di contestazione” nei confronti del sistema-calcio e in generale dell’ordine costituito e avendo incarnato una “visione antagonistica” che niente ha a che vedere con la passività del tifoso-consumatore, si sono guadagnati negli anni, il ruolo di “ribelli del pallone”. Scrive Valerio Marchi:
“Con gli ultras avviene insomma ciò che per gli inglesi sarebbe inconcepibile, ovvero che gruppi di tifosi organizzati intendono dire la propria sulle regole e le scelte del sistema-calcio, investendosi di un ruolo che, da semplici comparse, li innalzi a parte in causa”. (Valerio Marchi, Il derby del bambino morto, Alegre)
Gli ultras rappresentano quindi, all’interno di uno spazio pubblico come lo stadio, una forma di resistenza rispetto alle dinamiche commerciali da una parte, e repressive dall’altra. Da questo punto di vista la narrazione dominante, che vede lo stadio come uno spazio di consumo, neutro e privo di qualsiasi carica antagonistica, non può che andare incontro a una contraddizione. Il calcio, gli stadi e il mondo del tifo sono attraversati da tensioni e conflitti che hanno finito col produrre un vero campo di battaglia, simbolico e non. Negli stadi vengono sperimentati, attraverso un inasprimento continuo del regime repressivo, quegli strumenti e quei dispositivi legali che vedono la limitazione della libertà personale e la marginalizzazione di soggetti “scomodi”. Come la cronaca recente ci ha dimostrato, l’utilizzo di tali strumenti repressivi, dalla dimensione dello stadio e delle manifestazioni sportive viene poi esteso al resto della società. Un esempio eclatante in questo senso, è rappresentato dal cosiddetto “Daspo urbano”. E’ stato col Decreto sicurezza “Minniti” (2017), che si è estesa la categoria del “Daspo” (Divieto di accedere alle manifestazioni SPOrtive) agli spazi urbani dei paesi e delle città. Tale misura consente a un sindaco, in collaborazione con il prefetto, di multare e stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città, per quei soggetti ritenuti una minaccia per l’ordine pubblico e per chiunque «ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione» di infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie e aeroporto).
All’inizio degli anni duemila, in molte curve italiane apparse questo striscione: “Leggi speciali, oggi per gli ultrà, domani per tutta la città”. La riflessione critica sullo stato delle cose, portata avanti dagli ultras, aveva già individuato nell’evoluzione delle dinamiche repressive proprie degli apparati di polizia, un progetto che andava al di là della semplice gestione dell’ordine pubblico all’interno di una manifestazione sportiva. La fase che va dagli anni novanta alla prima decade dei duemila, può essere considerata una sorta di preparazione preliminare alla successiva estensione delle pratiche repressive dagli stadi, alle piazze e agli spazi sociali urbani. Per lungo tempo i media mainstream hanno contribuito a identificare l’ultras come il nemico numero uno della società civile, come un virus da estirpare attraverso qualunque mezzo. Una volta raffinati gli strumenti legali, in grado di mettere a tacere quelle soggettività antagonistiche e critiche nei confronti del sistema-calcio, con l’aiuto di una propaganda ansiogena e securitaria sempre più serrata, si è passati alla fase ulteriore, che ha avuto come centro l’applicazione dei dispositivi repressivi, per anni “testati” sugli ultras, al resto del corpo sociale, a tutti quei soggetti e a quelle categorie non allineate. Ai manifestanti politici, a coloro i quali subiscono le contraddizioni di un sistema ingiusto e provano a reagire e a chi, in un modo o nell’altro, mette in questione l’ordine costituito dello stato.
“Oggi sta accadendo un altro genere di fenomeno: la regolazione della vita da stadio ha definitivamente abbandonato la dimensione del mondo sportivo per farsi immediatamente politica. Si sono quindi accelerati i tempi del passaggio della pratica securitaria dalla dimensione calcistica alla più compiuta dimensione sociale e alla sfera politica. Questo dipende dal fatto che il calcio continua a mantenersi come un terreno dove si esercita panico. Spazio su cui le pratiche governa mentali, e le parole d’ordine repressive, hanno quindi, nel momento in cui si esercitano, il dono dell’universalità e possono essere immediatamente applicabili al resto del corpo sociale”. (Stadio Italia)
Il recente “Decreto sicurezza bis” lo mostra in maniera netta: le fasi repressive che per decenni sono state portate avanti dai diversi governi, hanno avuto come esito la maturazione di uno scenario complesso, all’interno del quale la gestione dell’ordine pubblico relativa alle manifestazioni sportive, che per anni ha funzionato come un laboratorio di sperimentazione, è entrata in stretta relazione con quella degli spazi sociali in genere. Oggi un cittadino può subire la limitazione della libertà personale rispetto all’accesso ad una determinata zona della città, attraverso il cosiddetto “Daspo urbano”, categoria legale, dal carattere tipicamente preventivo e arbitrario, e quindi di dubbia costituzionalità, esportata dal contesto-stadio. Ma allo stesso tempo, un reato che niente ha a che vedere con le manifestazioni sportive, può esser causa di un tradizionale Daspo da stadio, che vieta l’accesso alle stesse, portando con sé molte altre limitazioni e conseguenze liberticide. In sintesi, gli stessi strumenti e dispositivi repressivi, che gli apparati repressivi hanno avuto modo di sperimentare per anni negli stadi, sono stati estesi per quanto concerne la loro applicazione, all’intero corpo sociale. Per far luce su queste dinamiche, conviene guardare in breve dei casi di cronaca recente: nel corso di questi ultimi anni, a Pisa, a Genova e in altre città, sono stati comminati dei Daspo, quindi dei provvedimenti di divieto di accesso alle manifestazioni sportive, in maniera del tutto preventiva, a soggetti che avevano partecipato a manifestazioni politiche. Non possiamo che constatare un fatto: ad oggi, si utilizzano tali strumenti, non solo per reprimere i gruppi all’interno degli stadi, ma anche per colpire tutte quelle soggettività “eccedenti”, che sono impegnate a livello politico e sociale. L’obiettivo reale dei poteri, che si cela dietro la cosiddetta “guerra alle frange estreme del tifo”, è quello di elaborare sempre nuovi dispositivi e schemi repressivi e liberticidi, con la chiara finalità di svuotare gli spazi pubblici, che siano gli stadi o le piazze, da qualsiasi forma di espressione del dissenso. Provando a fare una sintesi delle risposte ai quesiti che hanno animato questa breve analisi: l’establishment ha fatto dell’ultras un nemico interno, nei confronti del qual canalizzare le ansie, le delusioni e le paure dell’intera società. Il panico morale generato attorno alla questione dell’ordine pubblico negli stadi, ha rappresentato un terreno favorevole al dispiegarsi di pratiche securitarie sempre più dure e sofisticate, che hanno investito le frange estreme del tifo, contribuendo a fare degli stadi dei veri e propri laboratori di repressione e di sperimentazione di strumenti di controllo sociale. L’esito di questa fase preparatoria, è rappresentato dall’estensione dei metodi repressivi all’intero corpo sociale. Dietro la sistematica repressione degli ultras, c’è quindi un mondo di significati molto complesso, che abbraccia la sfera economica, politica e sociale:
“In conclusione lo stadio invita a ripensare le dinamiche sociali che investono il nostro territorio. Ciò che accade negli stadi, intesi come il centro simbolico di un insieme di pratiche, di relazioni, di memorie e di identità che attraversano l’intero paese e l’intero corpo sociale, rimette seriamente in discussione le categorie pratiche e retoriche con cui il potere si manifesta organicamente e si giustifica, e insieme le categorie con cui si cerca di articolare una resistenza allo stato di cose presente”. (Stadio Italia)
Svolta questa breve analisi critica, vorremmo invitare il lettore a tenersi lontano dalla tentazione di un pessimismo assoluto e senza via d’uscita. Se è vero che per gli ultras la strada è senza dubbio sempre più in salita, è pur vero che il conflitto all’interno degli stadi è ancora aperto e potrà assumere forme inedite. E’ doverosa, oggi più che mai, la costruzione di canali di contro-informazione che mettano in questione la “versione ufficiale” propagata dai media mainstream. Momenti di resistenza al regime commerciale e disciplinante del sistema-calcio e della società in generale, sono ancora oggi possibili, sta a noi produrli e sfruttarli. E qualora, un domani, non lo fossero più all’interno degli stadi, fuori troveremo nuovi spazi d’azione:
“Gli ultras, questi ‘demoni’ metropolitani, sono in realtà i figli, gli studenti, i lavoratori e i consumatori delle nostre città. Probabilmente sarà possibile eliminare la loro rabbia dalle curve, ma non nascondere le contraddizioni che porteranno la stessa rabbia a esplodere in nuovi luoghi del conflitto, che ancora oggi non riusciamo a scorgere”. (Stadio Italia)
Abbiamo chiesto all’Avvocato Giovanni Conticelli del Foro di Firenze di approfondire, in maniera tecnica ma allo stesso tempo discorsiva e accessibile, gli aspetti del Decreto sicurezza bis che riguardano più da vicino la sfera dello stadio e delle manifestazioni sportive. L’Avvocato Conticelli è un esperto delle tematiche inerenti alla repressione e ai dispositivi securitari ed è da sempre impegnato nella lotta contro gli abusi delle forze dell’ordine. A lui va il nostro ringraziamento per questo contributo. |
Decreto sicurezza bis (Decreto Legge 53/2019 convertito con modificazioni dalla legge 77/2019)
Il decreto legge n. 53/2019, meglio conosciuto come “decreto sicurezza bis”, entrato in vigore in data 15.06.2019, è stato adesso convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 8 agosto 2019. Il decreto, titolato “disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica” è suddiviso in tre capi: il primo contiene disposizioni inerenti il contrasto all’immigrazione illegale e in materia di ordine e sicurezza pubblica, il secondo disciplina il potenziamento dell’efficacia dell’azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza, mentre il terzo contiene specifiche disposizioni in materia di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive.
Prima di addentrarci nell’esame specifico delle misure legislative adottate, relative sia alle manifestazioni che si svolgono in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia specificamente a quelle relative alle manifestazioni sportive, occorre evidenziare una questione generale preliminare inerente il procedimento della decretazione di urgenza adottato in materia. Come noto, l’art. 77 della Costituzione attribuisce al Governo la possibilità di emanare provvedimenti provvisori aventi forza di legge soltanto in casi di straordinaria necessità ed urgenza, allorquando sia assolutamente necessario intervenire e le condizioni di emergenza non permettano di attendere l’ordinario iter parlamentare di formazione della legge. Tale procedimento è pertanto del tutto eccezionale e deve essere fondato su una situazione di effettiva e concreta urgenza. Nel caso di specie, invece, il Governo ha adottato tale procedimento normativo per intervenire in alcuni settori del tutto eterogenei tra loro, quali quello delle manifestazioni in luogo pubblico e delle manifestazioni sportive, nei quali certamente non sussisteva alcuna particolare urgenza o straordinaria necessità. Tale considerazione appare evidente dal preambolo del decreto legge, laddove con riferimento alle manifestazioni pubbliche e sportive non risulta espressa alcuna valida e fondata giustificazione collegabile alla necessità ed urgenza di provvedere con la decretazione d’urgenza.
In sostanza, il decreto, che è stato poi convertito dal Parlamento in legge con alcune modificazioni, almeno per quanto attiene alle disposizioni relative alle manifestazioni pubbliche e sportive, pare essere inficiato ab origine da vizio di costituzionalità inerente la mancanza dei presupposti stabiliti dall’art. 77 della Costituzione. Nel merito, il decreto sicurezza bis si manifesta come un provvedimento normativo costruito appositamente per garantire un trattamento particolarmente severo e repressivo nei confronti di determinate categorie di soggetti: coloro che comandano le navi per soccorrere i migranti, coloro che manifestano nelle piazze e il mondo delle tifoserie.
Con specifico riferimento all’ambito che qui interessa, il decreto sicurezza bis contiene un primo blocco di interventi normativi, dal connotato fortemente repressivo, relativi al generale ambito di tutte le manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico e aperto al pubblico. In particolare, l’art. 6 del decreto legge contiene modifiche alla legge Reale (legge n. 152/1975) prevedendo un inasprimento di pena per il c.d. travisamento durante pubbliche manifestazioni: per coloro che utilizzino caschi protettivi o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, viene prevista ora la pena dell’arresto da due a tre anni e l’ammenda da 2.000 a 6.000 euro.
Nello stesso art. 6 del decreto viene introdotto un nuovo reato, punito con la reclusione da uno a quattro anni, per colui che nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas urticante, oppure bastoni, mazze, oggetti contundenti o comunque atti ad offendere. Qualora da tali condotte derivi invece il concreto pericolo per l’integrità delle cose, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni. Detta norma prevede tuttavia che se le predette condotte avvengono nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, troveranno applicazione le fattispecie di reato già previste agli artt. 6 bis e 6 ter della legge 401/1989 sulle manifestazioni sportive.
L’art. 7 introduce invece significative modifiche al codice penale, tutte improntate all’inasprimento di pena nei casi di fatti commessi nel corso di manifestazioni pubbliche:
– si configura la circostanza aggravante dell’art. 339 c.p. qualora la violenza o la minaccia relativa ai reati di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale nonché ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti, avvenga nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico;
– viene prevista un’ipotesi aggravata per il reato di interruzione di un ufficio o pubblico servizio o di un servizio di pubblica necessità (art. 340 c.p.): qualora tali fatti avvengano nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, la pena è della reclusione fino a due anni (ad esempio nel caso di un’occupazione dei binari di una stazione ferroviaria nel corso di una manifestazione di protesta);
– viene modificato il minimo edittale di pena per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis c.p.) innalzandolo da quindici giorni a sei mesi di reclusione (pena prevista attualmente da sei mesi a tre anni di reclusione);
– per il reato di devastazione e saccheggio (art. 419 c.p.) viene prevista la specifica aggravante, con l’aumento della pena fino ad un terzo, qualora i fatti siano commessi nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico;
– viene introdotta una fattispecie aggravata del reato di danneggiamento (art. 635 c.p.), punita con la pena da uno a cinque anni di reclusione (rispetto all’ipotesi del reato base punito da sei mesi a tre anni di reclusione) qualora il fatto avvenga in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. Con riferimento a tale reato, viene previsto che la concessione della sospensione condizionale della pena sia subordinata all’eliminazione, da parte del reo, delle conseguenze dannose o pericolose ovvero alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Occorre evidenziare che proprio in ragione di tale sensibile inasprimento di pena, adesso sarà possibile per le forze di polizia procedere all’arresto facoltativo in flagranza di reato e potrà essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere.
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Il Capo III del decreto legge 53/2018 contiene le “misure per il contrasto di fenomeni di violenza connessi a manifestazioni sportive”.
Gli interventi normativi consistono principalmente in modifiche alla legge n. 401/1989 relativa alle manifestazioni sportive.
In primo luogo, viene interamente riscritto e sostituito l’art. 6, comma 1, della legge 401/1989 che riguarda il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (c.d. DASPO).
Il decreto sicurezza bis prevede infatti che il Questore possa disporre il c.d. DASPO a coloro che:
a) risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza;
b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino aver tenuto, anche all’estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l’ordine pubblico in occasione o a causa di manifestazioni sportive;
3) coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nei cinque anni precedenti, per uno dei seguenti reati:
– porto di armi o oggetti atti ad offendere (art. 4, comma 1 e 2 legge 110/1975);
– travisamento (art. 5 legge 152/1975)
– ingresso nei luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche con emblemi o simboli di organizzazioni, associazioni. movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi vietati dalla legge Mancino (art. 2, comma 2, d.l. 122/1993)
– lancio di materiale pericoloso, scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive (artt. 6 bis, commi 1 e 2, legge 401/1989);
– possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive (art. 6 ter legge 401/1989);
– introduzione o esposizione di striscioni e cartelli ovvero altre scritte o immagini che incitino alla violenza o che contengano ingiurie o minacce (art. 2 bis d.l. 8/2007);
– delitti contro l’ordine pubblico previsti dal libro secondo, titolo V del codice penale e precisamente: istigazione a delinquere (art. 414 c.p.); istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art. 414 bis c.p.); istigazione a disobbedire le leggi (art. 415 c.p.); associazione per delinquere (art. 416 c.p.); associazione di tipo mafioso anche straniere (art. 416 bis c.p.); scambio elettorale politico-mafioso (art. 416 ter c.p.); assistenza agli associati (art. 418 c.p.); devastazione e saccheggio (art. 419 c.p.); attentato a impianti di pubblica utilità (art. 420 c.p.); pubblica intimidazione (art. 421 c.p.);
– delitti di comune pericolo mediante violenza previsti dal libro secondo, titolo VI, capo I del codice penale e precisamente: strage (art. 422 c.p.); incendio (art. 423 c.p.); incendio boschivo (art. 423 bis c.p.); danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.); inondazione, fraga o valanga (art. 426 c.p.); danneggiamento seguito da inondazione, valanga o frana (art. 427 c.p.); naufragio, sommersione o disastro aviatorio (art. 428 c.p.); danneggiamento seguito da naufragio (art. 429 c.p.); disastro ferroviario (art. 430 c.p.); pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento (art. 431 c.p.); attentati alla sicurezza dei trasporti (art. 432 c.p.); attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbliche comunicazioni (art. 433 c.p.); attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari (art. 433 bis c.p.); crollo di costruzioni o altri disastri dolosi (art. 434 c.p.); fabbricazione o detenzione di materie esplodenti (art. 435 c.p.); sottrazione, occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni (art. 436 c.p.); rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.);
– rissa (art. 588 c.p.);
– rapina (art. 628 c.p.);
– estorsione (art. 629 c.p.);
– produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti ad eccezione della fattispecie di lieve entità prevista dal comma 5 (art. 73, d.p.r. n. 309/1990).
Il decreto legge precisa che il DASPO può essere applicato anche qualora la denuncia o la condanna per i suddetti reati riguardi fatti che non siano stati commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
4) ai soggetti indicati all’art. 4, comma 1 lett. d) codice antimafia d.lgs. 159/2011 e precisamente coloro che risultano indiziati di reati con finalità di terrorismo, anche internazionale, oppure che pongano in essere atti diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato con la commissione dei reati di insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art. 284 c.p.); devastazione, saccheggio e strage (art. 285 c.p.); guerra civile (art. 286 c.p.); banda armata (art. 306 c.p.); epidemia (art. 438 c.p.); avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439 c.p.); sequestro di persona (art. 605 c.p.); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.). Anche in questo caso, viene precisato che il Daspo può essere irrogato anche se le suddette condotte non sono state poste in essere in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Rispetto a tale riformulazione dell’art. 6 legge 401/1989 occorre evidenziare l’inammissibile estensione dei casi di applicabilità del DASPO a soggetti che risultano aver subito anche solo una mera denuncia nei cinque anni precedenti per fatti che possono essere totalmente avulsi dal contesto delle manifestazioni sportive. Tale eccessiva dilatazione dei presupposti normativi per l’applicazione del DASPO, slegata da qualsiasi riferimento vicende connesse alle manifestazioni sportive, appare davvero irragionevole ed illogica, oltre che pericolosa: così congegnato, il DASPO appare assumere in realtà i caratteri di una misura prettamente punitiva e repressiva, dai connotati fortemente discrezionali, la cui concreta applicazione è interamente demandata all’autorità amministrativa del Questore.
Il decreto sicurezza bis inserisce poi nell’art. 6 della legge 401/1989 il nuovo comma 1-ter, con il quale viene previsto che il DASPO possa essere disposto anche per le manifestazioni sportive che si svolgono all’estero specificamente indicate nonché dalle competenti autorità degli altri Stati membri dell’Unione Europea per le manifestazioni che di svolgono in Italia, mediante provvedimenti previsti dai rispettivi ordinamenti esteri. Viene precisato altresì che in caso di fatti commessi all’estero, accertati dall’autorità straniera competente oppure da organi dalle forze di polizia italiane che si trovano in supporto alle predette autorità straniere nel luogo di svolgimento della manifestazione, il divieto è disposto dal Questore della Provincia del luogo di residenza ovvero del luogo di dimora abituale del destinatario della misura.
Particolarmente afflittiva risulta poi la modifica del comma 5 dell’art. 6 legge 401/1989, con la quale viene stabilito che per il Daspo irrogato ai c.d. recidivi (cioè della persona che risulta essere stata già destinataria di Daspo in precedenza), il nuovo divieto di assistere alle manifestazioni sportive dovrà essere necessariamente accompagnato dalla prescrizione della c.d. firma e la sua durata non potrà essere inferiore ad anni 5 e superiore ad anni 10, innalzando sensibilmente il precedente limite massimo di durata per i recidivi che era di 8 anni.
Il decreto sicurezza interviene a modificare anche il comma 7 dell’art. 6 legge 401/1989 relativo al c.d. DASPO giudiziario irrogato dal Giudice in sede di condanna per il reato di violazione del Daspo o per tutti i reati comunque commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, innalzandone anche qui il periodo di durata massima fino a dieci anni anziché i precedenti otto anni.
Particolarmente significativa risulta la modifica che viene operata al comma 8-bis dell’art. 6 legge 401/1989 riguardante la c.d. “riabilitazione amministrativa” successiva alla cessazione del DASPO: adesso è possibile ottenere la cessazione di tutti gli ulteriori effetti pregiudizievoli del DASPO trascorso il termine di tre anni dalla sua scadenza, non solo qualora il soggetto abbia dato prova di costante ed effettiva buona condotta nei tre anni successivi, ma anche dovendo dimostrare di aver adottato condotte di ravvedimento operoso quale la riparazione integrale del danno prodotto, oppure di aver fornito una concreta collaborazione con le autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria per l’individuazione degli altri autori o partecipi ai fatti per i quali è stato disposto il DASPO, o, infine, di aver prestato un’attività di lavoro di pubblica utilità.
Del tutto peculiare risulta l’introduzione del comma 8-ter nell’art. 6 legge 401/1989 con il quale viene previsto che in caso di persone già condannate in via definitiva per delitto non colposi, il Questore, unitamente al DASPO, possa congiuntamente imporre anche i divieti previsti all’art. 3, comma 4, del codice antimafia e misure prevenzione (d.lgs. n. 159/2011): nello specifico può essere quindi imposto il divieto di possedere o utilizzare apparati di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica, mezzi di trasporto blindati o modificati o comunque predisposti per sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, programmi informatici e altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazione e messaggi. Il provvedimento di applicazione da parte del Questore di tali ulteriori divieti previsti dal codice antimafia può essere impugnato mediante opposizione avanti al Tribunale monocratico, mentre la violazione dei predetti divieti costituisce reato punito con la reclusione da uno a tre anni e la multa da euro 1.549 ad euro 5.164.
Il decreto poi interviene ampliando la tutela penale agli arbitri e agli altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive, prevedendo la configurabilità del reato di cui all’art. 6-quater legge 401/1989 (violenza o minaccia nei confronti dei c.d. stewards) qualora vengano commessi i fatti di cui agli artt. 336 c.p. (violenza o minaccia) e 337 c.p. (resistenza) nei loro confronti. Parimenti, con la modifica operata all’art. 6 quinques della legge n. 401/1989, viene prevista la punibilità con pena della reclusione da quattro a dieci anni in caso di lesioni gravi e da otto a sedici anni in caso di lesioni gravissime cagionate agli arbitri e agli altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive nell’espletamento delle loro mansioni.
Di particolare importanza risultano le modifiche al codice penale previste dall’art. 16 del decreto sicurezza bis. Nello specifico, viene prevista l’introduzione nel codice penale della nuova e specifica circostanza aggravante comune di cui all’art. 61-septies c.p. qualora il fatto sia stato commesso “il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni”.
Tale nuova circostanza aggravante, che determina l’aumento della pena fino ad terzo, si applicherà in via generale ad ogni tipo di reato commesso nelle circostanze indicate (ad esempio nel caso di una rissa oppure di un furto avvenuti all’interno di un autogrill durante il tragitto della trasferta).
Infine, sempre nell’ottica di un trattamento differenziato, deteriore e punitivo nei confronti del mondo della tifoseria, si inserisce la modifica all’art. 131 bis c.p. operata dal decreto sicurezza bis. In via generale, detta norma, inserita nel nostro ordinamento nel 2015, prevede una causa di non punibilità applicabile per tutti i reati per i quali è prevista una pena detentiva massima non superiore a cinque anni qualora l’offesa venga ritenuta da Giudice di particolare tenuità e il comportamento non abituale.
Ebbene, il decreto sicurezza modifica l’art. 131 bis c.p. escludendo esplicitamente che l’offesa possa essere considerata di particolare tenuità in tutti i casi di delitti per i quali è prevista una pena detentiva massima superiore a due anni e sei mesi di reclusione, se questi sono stati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; inoltre viene altresì esclusa a priori la possibilità di applicare la predetta causa di non punibilità ai reati di cui agli artt. 336 c.p. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale); 337 c.p. (resistenza a pubblico ufficiale) e 341 bis c.p. (oltraggio a pubblico ufficiale) qualora tali reati siano compiuti nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.
In sostanza, sulla base di tale presunzione assoluta di gravità del fatto operata dal legislatore, anche nel caso di una sola ed unica frase oltraggiosa rivolta ad un pubblico ufficiale, pronunciata da una persona assolutamente incensurata, è precluso al Giudice di poter valutare la particolare tenuità dell’offesa e di applicare conseguentemente la relativa causa di non punibilità.
Tale ultima modifica normativa appare di dubbia legittimità costituzionale laddove, da una parte, può comportare un trattamento differente per fatti uguali (ad esempio una medesima condotta integrante violenza privata se effettuata davanti ad un locale notturno in città può permettere l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, mentre se la stessa identica condotta avviene all’interno di uno stadio o comunque in occasione di una manifestazione sportiva, è precluso al Giudice di poter applicare detta causa di non punibilità); dall’altra impone un rigido automatismo presuntivo di gravità del fatto fondato sulla base della mera circostanza del “contesto ambientale” nel quale un determinato fatto di reato è avvenuto, impedendo al Giudice di operare invece una necessaria e indefettibile valutazione specifica del caso concreto.
Tali rilievi imporranno di sollevare in sede giurisdizionale questioni circa la legittimità costituzionale di tali norme.
Rapporto società sportive e tifosi
Il decreto sicurezza bis interviene anche nella disciplina relativa ai rapporti tra società sportive e tifosi: in particolare, con la modifica dell’art. 8 del d.l. 8/2007 viene previsto il divieto per le società sportive di corrispondere, in qualsiasi forma sia diretta che indiretta sovvenzioni, contributi e facilitazioni di ogni genere, compresa l’erogazione di biglietti e abbonamenti o titoli di viaggio a prezzo agevolato e gratuito a:
– coloro che siano destinatari di DASPO non solo per tutta la durata del provvedimento, ma fino a che non sia stata ottenuta la c.d. riabilitazione amministrativa di cui all’art. 6, comma 8 bis, legge 401/1989;
– ai soggetti nei cui confronti siano state applicate le misure di prevenzione della sorveglianza speciale, anche con divieto di soggiorno, oppure dell’obbligo di soggiorno, previste dall’art. 6 del d.lgs. n. 159/2011 per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione ai sensi dell’art. 70 d.lgs. n. 159/2011;
– ai soggetti che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive oppure per reati in materia di contraffazione di prodotti o vendita abusiva degli stessi.
Disposizioni relative al diritto penale processuale.
Una delle peculiari novità in materia processual-penalistica, che incide in modo rilevante sul diritto di libertà personale, riguarda l’ampliamento delle ipotesi nelle quali può essere disposto il fermo di una persona indiziata di delitto, al di fuori dei limiti ordinariamente previsti dal codice di procedura penale.
Nello specifico, il decreto sicurezza bis, mediante una modifica dell’art. 77, comma 1, del codice antimafia (d. lgs. n. 159/2011) prevede adesso la possibilità di poter sottoporre a fermo, al di fuori dei limiti stabiliti dall’art. 384 c.p.p. non più soltanto determinate categorie di soggetti indicati nell’art. 4 del codice antimafia, per le quali era prevista la possibilità applicare le misure di prevenzione personali, ma, adesso, anche a tutti coloro che risultino “gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, purchè si tratti di reato per il quale è consentito l’arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell’art. 381 c.p.p.
In sostanza, attraverso tale estensione operata dal decreto sicurezza della disciplina specifica prevista dalla normativa antimafia, adesso potrà essere possibile per sia per il Pubblico Ministero sia, anche, per la Polizia Giudiziaria, poter sottoporre a fermo, con un provvedimento quindi fortemente limitativo della libertà personale, anche un soggetto indiziato del reato di lesioni personali lievi, se avvenute in occasione di manifestazione sportiva, derogando così agli ordinari limiti previsti dal codice di procedura penale.
Il decreto sicurezza interviene anche sul peculiare istituto della c.d. flagranza differita disciplinata dall’art. 8, comma 1-ter della legge 401/19898, in base al quale nei casi di reati avvenuti in occasione o a causa delle manifestazioni sportive, qualora non sia possibile procedere immediatamente all’arresto, viene comunque considerato in stato di flagranza colui che sulla base di documentazione video fotografica risulti inequivocabilmente responsabile, purchè l’arresto sia compiuto entro quarantotto ore dal fatto.
Orbene, il decreto sicurezza stabilizza tale istituto nel nostro ordinamento in maniera permanente.
Infatti, come noto, la misura della flagranza c.d. differita era stata introdotta attraverso un decreto legge nel 2001, poi eliminata in sede di conversione in quanto estendendo il concetto di flagranza, cioè dell’immediatezza collegata al momento di commissione del fatto, aveva sollevato forti perplessità circa la sua legittimità costituzionale (o la flagranza c’è, oppure non c’è, tertium non datur).
Successivamente, tuttavia, con il decreto-legge 28/2003 tale istituto fu nuovamente introdotto nel nostro ordinamento ma in via provvisoria: lo stesso decreto legge stabiliva il termine di durata di tale istituto alla data del 30 giugno 2005.
L’escamotage della previsione di una durata limitata nel tempo di tale peculiare istituto rifletteva proprio le forti perplessità avanzate da molti operatori del diritto in punto di legittimità costituzionale.
In realtà, poi, giunti in prossimità della scadenza prevista, tale termine è stato costantemente prorogato con successivi decreti legge sino ad oggi (d.l. 115/2005 con scadenza al giugno 2007; d.l. 8/2007 con scadenza al giugno 2010; d.l. 93/2013 con scadenza al giugno 2016. Da ultimo, il decreto Minniti (d.l. 17/2017) aveva prorogato la validità dell’istituto della flagranza differita al giugno 2020.
In sostanza, l’istituto originariamente congegnato come temporaneo, aveva assunto, nei fatti, carattere di stabilità nel nostro ordinamento.
Adesso il decreto sicurezza bis, mediante l’eliminazione del termine temporale di validità al giugno 2020 prevista nel decreto Minniti, ha formalmente stabilizzato in maniera permanente l’istituto della c.d. flagranza differita. Da ciò, consegue quindi che tutti i rilievi di critici di costituzionalità già sollevati sin dal momento dell’introduzione (temporanea) di tale misura, potranno essere ulteriormente coltivati e riproposti nelle competenti sedi giurisdizionali.
Lo stesso decreto sicurezza bis prevede poi la stabilizzazione in modo permanente anche dell’arresto in c.d. flagranza differita per i reati che siano avvenuti durante le manifestazioni pubbliche, introdotto con il decreto Minniti, in relazione alla quale è stato eliminato il termine di validità previsto inizialmente nel giugno 2020.
In via conclusiva, proprio analizzando l’iter storico e normativo dell’istituto della flagranza differita, è possibile rilevare come molte delle riforme legislative avvenute nel corso degli ultimi anni, connotate da un carattere fortemente repressivo e comportanti una rilevante compressione dell’ambito della libertà personale, abbiano trovato il primo campo di applicazione nel mondo degli ultras.
In sostanza, lo stadio (e in generale l’ambito delle manifestazioni sportive) appare configurare sempre di più una sorta di “laboratorio” dove poter sperimentare nuovi istituti giuridici di natura amministrativa e penale (sostanziale e processuale) dalla portata iniziale dirompente, che, poi, dopo essere stati collaudati nell’ambito dello stadio, gradualmente vengono estesi a tutti i cittadini, così come sta avvenendo in modo sempre più eclatante negli ultimi anni.
Significativi, a tale riguardo, sono l’istituto del c.d. DASPO urbano, mutuato dalla corrispondente misura di prevenzione applicata nell’ambito delle manifestazioni sportive agli ultras e oggi applicato dal decreto Minniti (art. 9 d.l. n. 14/2017) a tutti i cittadini e, come detto, la misura dell’arresto con la c.d. flagranza differita, anch’esso introdotto nel nostro ordinamento nel 2003 limitatamente all’ambito delle manifestazioni sportive e degli ultras e oggi esteso, sempre dal decreto Minniti, anche all’ambito delle manifestazioni pubbliche.
E’ quindi assolutamente indispensabile vigilare attentamente sulle riforme che si susseguono e che coinvolgono, quasi sempre in senso repressivo, l’ambito delle manifestazioni sportive, mediante la costruzione di un diritto penale del “nemico” (gli ultras), perché ciò inizialmente appare un problema di pochi o di altri, domani può investire tutti noi e i nostri spazi di libertà.
Avv. Giovanni Conticelli |
Anno dopo anno, decennio dopo decennio, decine di migliaia di giovani e meno giovani continuano a definirsi ultras, o a sentirsi idealmente tali. Qualsiasi cosa sia o rappresenti, questo fenomeno sembra aver lasciato un segno di uno spessore superiore non soltanto al misero ritratto partorito dalla cultura dominante, ma anche a quello lasciato ad esempio, dalla Terrace culture inglese. Di certo la sua portata , inscindibilmente legata alla figura del tifoso, cioè della “cellula emozionale” su cui si regge il sistema-calcio, difficilmente può essere compresa e liquidata nei termini che ci vengono quotidianamente proposti da mass media e istituzioni. […]
Sin dalla nascita, la cultura ultras – pur legata alla pari della Terrace culture alla sfera del tempo libero e del divertimento – sembra dotata di una carica antagonista impensabile nei propri cugini britannici. Gli ultra nascono infatti contro un modo considerato antico e inefficace di tifare e, sin dalle origini, manifestano insofferenza verso ogni forma di controllo uscendo presto dai coordinamenti di quei club considerati una pura cinghia di trasmissione dei voleri delle società, o nascendo direttamente al loro esterno. I rapporti con le società sono segnati da un lato dal comune interesse nel voler sviluppare un livello di tifo sempre più spettacolare, dall’altro dalla rivendicazione di un proprio diritto di critica e di contestazione. Con gli ultras avviene insomma ciò che per gli inglesi sarebbe inconcepibile, ovvero che gruppi di tifosi organizzati intendono dire la propria sulle regole e le scelte del sistema calcio, investendosi di un ruolo che da semplici comparse, li innalzi a “parte in causa”. […] Gli ultras hanno costruito la propria identità soprattutto nel rappresentare l’unica forma di opposizione, per quanto imperfetta, alle politiche commerciali di TV, società sportive e Lega professionista. Alla base, come elemento distintivo di questa cultura, non vi sono dunque né una violenza che nel calcio appare tutto meno che nuova, né i semplici “nuovi strumenti del tifare”, ma una visione antagonista del proprio ruolo all’interno del sistema-calcio, con atteggiamenti e comportamenti che si richiamano da un lato alle tradizionali pratiche di strada e dall’altro al clima sociale dell’epoca, e che risentiranno fortemente dei processi di criminalizzazione e repressione messi in atto nei loro confronti. […]
Gli ultras, tutt’altro che anomici e irrazionali, agiscono dunque rispetto al sistema-calcio in termini meta-politici: al contrario della figura tradizionale del tifoso, il cui unico diritto riconosciuto e l’unica possibile forma di protesta sono il privarsi della propria squadra, gli ultras rivendicano una comproprietà morale di un calcio inteso non come “sistema” o show business , ma come res publica. La questione del riconoscimento di questo diritto – diremmo “di cittadinanza” – ci conduce alla questione base, ovvero alla progressiva privatizzazione e commercializzazione di un bene consuetudinariamente considerato comune. Un gioco, ancor prima che uno sport, comunitario e popolare, che nel corso degli ultimi centocinquanta anni è stato progressivamente trasformato in pura merce. […] Il progressivo esproprio del calcio ha mutato i tifosi in unità di consumo, prive di ogni diritto e potere su un gioco un tempo “di tutti”. […]
Il sistema-calcio adotta, come si è visto, un atteggiamento oscillante verso questa nuova forma di critica antagonista. Da un lato gli ultras garantiscono, più di quanto possano aver mai fatto i club ufficiali, uno spettacolo nello spettacolo. In un’industria totalmente appoggiata sull’emozione, la capacità di questi ragazzi di produrre colore e calore diviene una parte essenziale dello show, a cui è impossibile rinunciare. […] In definitiva si ufficializza la figura dell’ultras, delegandole il compito di elevare il tasso spettacolare del tifo.[…] La stessa ansia, la stessa tensione che gli ultras possono suscitare si manifesta come un ulteriore elemento fondante di quell’emozionalità su cui si regge il calcio. Il clima di guerra simbolica evocato dallo scontro di due squadre, di due eserciti che a partire dal proprio territorio tentano di invadere quello altrui fino a violarne la casa-madre, quell’atto di deflorazione che spinge violentemente il pallone a penetrare la rete nemica suscita una tensione e uno stato d’animo bellico-primitivo – e per questo liberatorio, catartico – che trasforma l’intero pubblico in ultras, o forse annulla semplicemente ogni capziosa divisione tra chi viene o non viene definito tale. La schizofrenia interpretativa che ne consegue è evidente: come può il violento, il teppista, “la belva anomica” essere al tempo stesso un acclamato e conclamato protagonista dello show? Come si possono tessere gli elogi per una coreografia o per il calore dimostrato dagli stessi che, poche righe prima o poche righe dopo, una settimana prima o quella dopo, vengono invece trattati alla stregua del pericolo numero uno? La risposta di prammatica, quella diffusa dall’informazione “ufficiale” è che si debba biblicamente dividere il grano dal loglio. Distinguere di volta in volta il “buono” dal “cattivo”; anzi i “buoni” dai “cattivi”. Sembrerebbe oggi questa un’operazione encomiabile, che rigetta ogni manicheismo e va a distinguere i colpevoli dagli innocenti, i bravi ragazzi magari un po’ turbolenti da quelli che, secondo la definizione mediatico-istituzionale, non c’entrano niente coi tifosi, ma che tra essi si mescolano e celano, magari utilizzandoli come massa di manovra, per raggiungere i propri fini. In realtà non è così. La distinzione tra “buoni” e “cattivi” è capziosa, non nasce dalla reale predisposizione dei singoli ma dal ruolo e dalla funzione che di volta in volta svolgono. “Buoni” se si allineano agli scopi del sistema, “cattivi” non soltanto se creano turbolenze o commettono violenze, ma anche – per esempio – se contestano ferocemente la società di appartenenza o la Federazione. Il solo dato della critica è già in sé considerato preoccupante e in definitiva teppistico.
Nella visione gerarchica e piramidale che ancora oggi domina il calcio il tifoso deve continuare a rappresentare la mucca da mungere: deve esser pronto ad affrontare di buon grado i costi, di stadio o televisivi, della partita; deve star dietro ad un merchandising ufficiale che propone ogni anno, e a prezzi elevatissimi, una nuova linea di abbigliamento; deve accettare di buon grado e senza mugugni gli infiniti scandali, la mediocrità del gioco, la scomodità degli impianti, la sospensione dei diritti personali quali la sicurezza e la libertà di spostamento. Deve soprattutto, esser pronto a trasformarsi in docile comparsa nel grande show che l’emittenza televisiva rilancia su centinaia di milioni di schermi. Assistere da casa a una partita a porte chiuse, con lo stadio deserto e l’audio amplificato dei calci al pallone, non è uno spettacolo da peak-time. Per le vaste platee televisive, la sola partita, privata dei tifosi e della loro passione, smette semplicemente di essere un prodotto “appetibile”. Tutto ciò ha portato alla creazione del […] complesso ultras, un “cattivo” che, vista la funzione assegnatagli, deve essere tassativamente trasformato in “buono”. L’ultras, nei desideri del sistema-calcio, non deve sparire, non deve essere spazzato via da efficaci operazioni poliziesche da compiere lontano dagli stadi, ma essere costretto a svolgere il ruolo che gli è stato assegnato; deve restare al proprio posto producendo spettacolo ed emozione ma eliminando ogni scintilla di quella turbolenta conflittualità che ne ha sancito la fuoriuscita dal coordinamento dei club ufficiali. L’hooligan inglese deve essere eliminato dalla scena calcistica; deve letteralmente sparire. L’ultras italiano va invece normalizzato e utilizzato. Manodopera che paga per il proprio lavoro.
In questa opera di brusca normalizzazione della figura del tifoso, mirata appunto a negare anche la semplice esistenza di una visione conflittuale e antagonista del calcio, le strategie di ordine pubblico finiscono per rappresentare uno scampolo degli anni Cinquanta, un ritorno allo “scelbismo” che si percepisce, ancor più che nell’azione contro gli ultras, per il modo in cui viene considerato e trattato il pubblico. Questo è il punto: la figura del tifoso è, in quanto tale, soggetta a limitazioni delle libertà personali e ad attentati alla propria sicurezza. Non serve commettere un reato; basta l’idea che tu possa commetterlo per far scattare la sanzione: questa filosofia, che ritroviamo codificata nell’anticostituzionale Justice Act inglese, è anche alla base delle strategie di ordine pubblico negli stadi italiani. L’intervento non sembra mirato a impedire e reprimere i singoli atti di turbolenza, garantendo sia l’ordine pubblico che la sicurezza degli spettatori, ma a piegare a qualsiasi costo una forma di resistenza. E la polizia sembra muoversi, a tratti, come un esercito in mezzo a una popolazione nemica. Questa impostazione, in cui l’ultras va colpito in quanto tale, e non per quello che realmente compie, e in cui chiunque può essere considerato “buono” o “cattivo” secondo i momenti e le esigenze, allarga a dismisura la fascia degli “ipoteticamente pericolosi” e, nei momenti di crisi, assoggetta l’intero pubblico a trattamenti che non possono, per la propria stessa natura, colpire soltanto i “cattivi”. Ma di nuovo, chi sono i “cattivi”? E chi i “buoni”? […]
Di certo questa instabilità nel definire la “legittimità” o “illegittimità” del comportamento dei tifosi produce forme indiscriminate di intervento coercitivo. Ogni spettatore, soprattutto negli immediati pressi dello stadio, può divenire suo malgrado un ultras, ed essere trattato di conseguenza. Sottoposti a questo tipo di trattamento, testimoni diretti delle tattiche di ordine pubblico, portatori di esperienze personali da raffrontare con le informazioni che i mass media forniscono, gli spettatori, e ancor più chi decide di seguire la propria squadra in trasferta, finiscono per crearsi un’opinione autonoma su ciò che avviene intorno. Molti di loro sono stati degli ultras, altri non lo sono mai stati. Ma conoscono bene lo stadio, sanno che a volte, assurdamente, possono risultare più pericolosi e dannosi i metodi di restaurazione dell’ordine pubblico che il precedente caos; sanno, soprattutto, che la critica portata dagli ultras al sistema-calcio racchiude importanti elementi di verità. Magari ascoltano sulle varie radio locali le trasmissioni gestite da ultras o ex ultras, hanno accesso a informazioni conflittuali rispetto a quelle ufficiali e non di rado ne riconoscono, a partire sempre dalla propria esperienza, la veridicità. Sanno infine che, indipendentemente dai fatti, istituzioni e mass media non forniscono un ritratto veritiero di quanto avviene negli stadi. In questa opinione pubblica interna allo stadio, la deriva del sistema-calcio e le strategie di repressione generalizzata hanno a loro volta prodotto una vasta fascia di tifosi che pur non formata da ultras ne appoggia rivendicazioni e recriminazioni, riconoscendogli alcune funzioni quali la difesa della curva e la gestione del tifo; che gli si stringe attorno, andando così a formare una vasta comunità in cui l’ultras acquisisce una rappresentatività che non dovrebbe essere più negata o ignorata. Il ruolo meta politico di questa cultura, il suo disporre di un sistema di comunicazione di massa, il suo sentirsi a fronte della repressione sempre più un unico “movimento”, il sostegno che riceve da vasti settori di pubblico sono tutti elementi ormai innegabili. Gli ultras appaiono sempre più degli “attori politici” del sistema-calcio e sempre meno affrontabili, e normalizzabili, attraverso la consueta logica del manganello. Tutto ciò dovrebbe portare a un ripensamento radicale, non soltanto delle strategie di intervento negli stadi, ma anche della percezione che la cultura dominante ha, ancor prima che dell’ultras, della figura del tifoso, che andrebbe riformulata in termini non soltanto di diritti e di sicurezza personale, ma appunto di “cittadinanza”. La strada è probabilmente quella di un nuovo “contratto sociale”, non più basato sui lacrimogeni, sui manganelli e le cariche, sulla caccia al complotto, sulla censura, sulla criminalizzazione dei movimenti e delle culture antagoniste, ma al contrario su una profonda e generalizzata presa di coscienza della peculiarità culturale del calcio e di come non tutto si possa, sempre e comunque, trasformare in merce. |