Già il titolo è tutto un programma!
“Condannato in Italia e difeso in Francia: Vecchi ricorda Battisti”.
Così si apre un articolo di Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi del Corriere della Sera comparso sul giornale di via Solferino nella giornata di ieri.
Il Vincenzo del titolo altri non è che Vincenzo Vecchi, uno dei condannati per i fatti di strada del G8 di Genova del luglio 2001 e arrestato in Bretagna ad agosto su mandato delle autorità italiane e attorno alla cui figura si sta combattendo sul suolo francese una battaglia per impedirne l’estradizione.
Dicevamo del titolo. Già di per sé fuorviante, per non dire peggio…
Si paragona un manifestante condannato per reati di piazza (solo contro oggetti e non contro persone) a un militante della lotta armata degli anni Settanta condannato in via definitiva per quattro omicidi ricollegabili alle vicende dei Pac-Proletari Armati per il Comunismo e per la cui estradizione si è scatenata, nel gennaio di quest’anno, una canea mediatica vergognosa.
Il sottotitolo fa già i primi distinguo, ma poi torna pesantemente al titolo affermando: “…eppure è impossibile non ripensare all’analoga situazione di qualche anno fa” riferendosi alle mobilitazioni dell’opinione pubblica francese per impedire l’estradizione di Battisti in Italia quando viveva a Parigi.
L’articolo poi, ripercorrendo la vicenda giudiziaria di Vincenzo e le sue due condanne in via definitiva per il G8 di Genova e per il corteo antifascista di Milano dell’11 marzo 2006, tra un’ipotetica e l’altra e tra un condizionale e l’altro spiega che certo, le due vicende sono profondamente diverse, ma mantiene il parallelismo tra le due figure dall’inizio alla fine.
Nessun dubbio sfiora l’autore sul fatto che per la libertà di Vincenzo, sin dall’inizio, si siano mobilitate centinaia di persone, anche suoi amici o vicini di casa.
E neppure il fatto che una persona sia stata condannata a più di 15 anni (Q-U-I-N-D-I-C-I!) per vicende relative a scontri di piazza senza che abbia fatto male a nessuno turba più di tanto il giornalista. Già, perché in fondo è normale che per qualche vetrina spaccata si rischino dagli 8 ai 15 anni di galera per il famigerato articolo 419 del Codice Penale, ovvero “devastazione e saccheggio”.
Non un approfondimento! Non una riflessione!
Se Montefiori si fosse sforzato appena un po’ di più avrebbe scoperto che per il medesimo reato, neanche troppo tempo fa, la magistratura di Atene ha negato l’estradizione di alcuni manifestanti greci per i quali la Procura di Milano aveva chiesto l’arresto a seguito dei fatti del Primo Maggio 2015… E quindi sono già due i Paesi che ritengono abnormi le nostre pene legate alle vicende di conflitto sociale.
L’articolo si conclude con la frase: “Resta il rischio, come indicano i riferimenti nel testo al «codice Rocco» fascista (non più in vigore dal 1989), di fondarsi su una visione sommaria, forse stereotipata, del sistema giuridico italiano e dell’Italia”.
Vero è che il Codice Rocco è stato ufficialmente smantellato, ma moltissime sue normative sono immutabili e inscalfibili all’interno della legislazione repubblicana.
Che l’Italia sia stata condannata a livello internazionale per le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate nel luglio genovese, in fondo, è solo una virgola dell’intero discorso. Così come il fatto che chi è stato accusato di aver diretto il massacro di decine di esseri umani non si sia fatto un giorno di carcere, a differenza di qualche manifestante capro espiatorio condannato a pene severissime per i danni a qualche oggetto, non turba più di tanto l’autore dell’articolo.
Lungi da noi difendere la Francia, sicuramente più avvezza di noi al conflitto sociale, ma altrettanto risoluta quando si tratta di stroncare i movimenti sociali pericolosi.
Diciamo che il fatto che molti, in quel Paese, riescano ancora a riflettere sulla complessità delle vicende sociali facendoci da specchio e mostrandoci per quello che veramente siamo diventati dovrebbe far riflettere il buon Montefiori. |