È ovvio che sui social si parli parecchio a vanvera, dicendo cose che probabilmente nella vita reale non si direbbero, non tanto perché Facebook è il luogo virtuale in cui i codardi diventano leoni da tastiera, ma soprattutto perché per loro natura i social network promuovono l’individualismo e la mancanza di empatia. È pur vero, però, che, al di là della natura dei social, queste minacce sono sintomatiche del periodo di forte crisi dei valori che stiamo vivendo. Una crisi che purtroppo è alimentata da un certo modo di fare politica mirato a veicolare e accrescere il consenso e quindi a fare voti. La politica in questo caso non mira a risolvere una crisi ma ad alimentarla per interessi che non hanno nulla a che fare con il bene della comunità. In quale direzione sta portando questa crisi di valori? Minacciare chi in tribunale conduce la propria battaglia per difendere lo Stato di diritto, significa colpire lo Stato di diritto. Lo Stato di diritto è quell’affermazione di civiltà secondo la quale un drogato non va considerato carne da macello per poliziotti a cui prudono le mani e vogliono sfogarsi un po’ perché frustrati dal fatto che «gli spacciatori tornano sempre a piede libero». Lo Stato di diritto è quella visione del mondo secondo cui non devono esserci discriminazioni tra le persone nel riconoscimento dei loro diritti e nella loro facoltà di potersi difendere. Dando una semplice occhiata al passato è possibile percepire il modo in cui sta cambiando la violenza verbale e fisica in politica da parte della gente comune. Soprattutto in passato c’era chi minacciava gli uomini di potere, rivendicando diritti e giustizia sociale e non sono stati pochi i casi in cui queste minacce venivano effettivamente messe in pratica. Si trattava di minacce che nel bene o nel male erano indirizzate verso chi era considerato responsabile di questo o quel crimine a danno della collettività. Spesso la spinta non era l’invidia o il rancore personale, ma la convinzione che colpendo un componente della macchina del potere si potevano far saltare tutti gli ingranaggi. Oggi invece si ragiona al contrario: ad essere minacciata in questo caso è una donna, Ilaria Cucchi, che di fatto non ha nessun potere se non quello riconosciuto ad ogni cittadino che vive in uno Stato di diritto. Ilaria di certo è una persona con molta visibilità ma non è una potente. I suoi mezzi e le sue risorse sono comuni alla maggior parte delle persone. Una minaccia nei suoi confronti è chiaramente una manifestazione di volontà espressa contro quell’insieme di tutele e strumenti riconosciuti ai comuni cittadini per far valere i loro diritti, in questo caso contro i soprusi dello Stato. Il vero problema però non è la minaccia, ma la reazione della politica. Idealmente la politica dovrebbe far tendere le persone a progredire verso conquiste sempre più avanzate e non il contrario, a regredire verso la barbarie. Di fatto però oggi sembra di vivere con la barbarie alle porte perché la nostra società ha in sé fortissime contraddizioni che causano enormi paradossi. Se da un lato si sono affermati principi e diritti sacrosanti, propri dello Stato di diritto che affonda le sue radici nell’Illuminismo, dall’altro ci sono forze economiche e politiche che per imporsi non possono lasciare che il progresso umano prosegua lungo la famosa linea retta tracciata dai filosofi che porta ad una sempre maggiore consapevolezza e partecipazione dei cittadini ed una conseguente scomposizione del potere in parti sempre più piccole. Il risultato di queste contraddizioni è che ogni singolo diritto conquistato fino ad oggi sembra poggiare su un castello di carta che un deciso colpo di vento potrebbe far cadere. Fino a quando queste contraddizioni economiche e politiche non verranno eliminate nessuna conquista sarà per sempre e si dovrà sempre ricominciare daccapo. |