Ancora proteste da parte dei migranti reclusi nel centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) di Torino. Si è appreso solo ieri della rivolta scoppiata lunedì scorso. Le tensioni sono iniziate nell’area bianca, dove quattro persone hanno provato a fuggire in occasione dell’uscita dal centro degli addetti alle pulizie, e sono continuate nell’area rossa, dove i trattenuti nella struttura hanno preso diversi arnesi di un’impresa impegnata in lavori e li hanno lanciati contro le forze dell’ordine. Il giorno prima, domenica 15 dicembre, alcuni ospiti dell’area rossa del complesso avevano incendiato materassi, divelto porte e inferiate, distrutto televisori. Alcuni ospiti erano anche saliti sul tetto dei container. Fa il paio con l’altra rivolta, quella del 25 novembre scorso, quando un gruppo di migranti irregolari ha dato fuoco e distrutto ben otto unità abitative delle aree viola e gialla.
La situazione è di fatto insostenibile. I migranti protestano per le condizioni del centro. Secondo chi protesta il riscaldamento non funziona, le docce sono fredde, mancano materassi e molti degli ospiti devono dormire per terra. Mancano inoltre prodotti per l’igiene, l’assistenza sanitaria, le coperte sarebbero sporche e si denunciano anche sovraffollamento e casi di maltrattamenti da parte del personale di vigilanza. La situazione è sempre più problematica. In primis la struttura. D’inverno ci sono problemi con il riscaldamento ed in estate non ha mai funzionato l’impianto di condizionamento dell’aria. La campagna LasciateCIEntrare ha denunciato diversi casi inumani, come un uomo tunisino, affetto da una semiparalisi, che per accedere ai servizi igienici deve essere legato con corde improvvisate.
Situazioni denunciate però da ben altri organismi. Nel dicembre del 2018 la Human Rights and Migration Law Clinic, in collaborazione con l’International University College di Torino, i Dipartimenti di Giurisprudenza dell’Università di Torino e l’Università del Piemonte Orientale di Alessandria, ha realizzato il rapporto “Uscita d’emergenza”, in cui si esamina la situazione della tutela della salute dei trattenuti all’interno del Cpr di Torino.
Il quadro descritto è allarmante. La politica sanitaria all’interno del Centro è caratterizzata da un approccio informale, poiché non è previsto alcun tipo di preventiva valutazione tecnica circa la compatibilità tra lo stato di salute del migrante e la misura restrittiva. Né, ed è altrettanto grave, si garantisce la continuità terapeutica. Emerge, inoltre, la non adeguatezza del numero del personale medico e del numero di ospiti all’interno della struttura torinese. In ultimo, si è osservato come «la condizione di grave afflizione in cui versano molti dei detenuti, aggiunta alla concreta improbabilità di essere rilasciati dal Centro a seguito di un provvedimento giudiziario di non convalida o non proroga del trasferimento – ipotesi statisticamente inferiore al 5% dei casi nel Cpr di Torino – esponga gli stranieri alla tentazione dell’autolesionismo, sacrificando il proprio benessere ed utilizzando il corpo come arma di negoziazione per la liberazione» . Il disagio aumenta, la sofferenza non acuisce e i migranti, senza aver commesso alcun reato, si trovano di fatto reclusi essendo degli irregolari. Attualmente, i Cpr operativi sono 7, situati in 5 regioni. Sono previsti 1.035 posti complessivi, di cui effettivamente disponibili 715. Per legge i centri devono essere strutturati in modo da garantire l’erogazione dei servizi stabiliti nel capitolato di appalto, quali la fornitura di vitto e l’alloggio, la cura dell’igiene, l’assistenza generica alla persona ( compresa la tutela psicologica), la tutela sanitaria ( con l’allestimento di un presidio medico fisso neri centri di capienza superiore a 50 posti). Ma nei fatti la situazione è diversa. |