“Fine pena: mai”. Così recitava un tempo il certificato di detenzione degli ergastolani, successivamente cambiato, forse in ossequio a qualche sentenza europea, in un surreale: 31/12/9999.
Ebbene, con l’attuazione della Riforma Bonafede sulla prescrizione, oltre al “Fine pena: mai” agli standard della malmessa giustizia italiana potremmo aggiungere “Il processo infinito”.
Ma andiamo con ordine. La prescrizione è un istituto giuridico che determina l’estinzione del reato dopo il trascorrere di un determinato (e prestabilito) periodo di tempo. La sua funzione è molto semplice. Si presume che l’interesse da parte della collettività a punire il responsabile di un reato non possa protrarsi all’infinito. Questo perché si parte dal presupposto che una persona, a dieci o quindici anni dai fatti, possa anche essere cambiata.
Negli ultimi 25 anni, dominati da giustizialismo e populismo giudiziario, nel nostro Paese la prescrizione – come del resto molti altri istituti giuridici garantisti – è finita nel mirino di molti politici, giornalisti e addetti ai lavori. Siamo nell’Era dei Decreti Salvini che, approfittando dell’isteria contro i migranti, ha fatto passare principi assolutamente reazionari come le misure draconiane contro il blocco stradale (come la vicenda di Prato ci insegna), che chiunque abbia mai sperimentato una vertenza sul lavoro sa essere uno strumento fondamentale di conflittualità sindacale.
I 5 Stelle hanno sempre fatto del giustizialismo un loro cavallo di battaglia. Scontato quindi il progetto di bloccare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Meno scontato che la sinistra istituzionale si accodi senza neanche troppo scomporsi a questo andazzo.
Invece che puntare sull’estensione dei riti alternativi, una massiccia opera di depenalizzazione e un amento di risorse, si va proprio nel senso contrario. Il tutto in uno scenario fatto da tribunali che scoppiano sotto il peso di migliaia e migliaia di procedimenti per vicende spesso ridicole (e qui pesa anche l’obbligatorietà dell’azione penale) e carceri strapiene di persone coinvolte in reati legati alle sostanze stupefacenti e di migranti senza soldi per pagarsi una difesa decente. Va segnalato anche il fatto che quasi mai Gip e Gup si discostano dalle tesi dell’accusa. Nella maggioranza dei casi, il Gip accoglie acriticamente le misure cautelari proposte dai pubblici ministeri e il Gup rinvia a giudizio gli imputati. Come a dire cane non morde cane.
Per quanto riguarda i processi per episodi di conflittualità sociale, l’utilizzo abnorme delle aggravanti ha reso già di fatto imprescrivibili la maggior parte dei reati contestati. Una parte della magistratura gioisce e sostiene la battaglia dei 5 Stelle con l’ex-procuratore, ora consigliere del Csm Nino Di Matteo, che afferma: “Una riforma che sospende definitivamente il decorso della prescrizione aiuta la giustizia e la verità”.
L’avvocatura, che vive quotidianamente i disastri prodotti da questa deriva forcaiola, è sul piede di guerra, ma consapevole che sarà difficilissimo vincere la battaglia. Annunciato uno sciopero per il 28 gennaio.
Noi, da buoni garantisti, siamo contro il processo infinito. Del resto, a chi scrive è capitato di assistere a sentenze per fatti non particolarmente gravi emesse a dieci (dieci!!!!) anni dai fatti.
Il processo infinito, per l’appunto. |