Richiesta di rinvio a giudizio per pestaggio e falsa testimonianza. La Procura di Viterbo, dopo aver effettuato attente indagini tramite la visione dei filmati registrati dalle telecamere, le intercettazioni telefoniche e le dichiarazioni delle persone informate sui fatti, ha chiesto il rinvio a giudizio per dieci agenti penitenziari che avrebbero massacrato di botte il trentenne Giuseppe De Felice, all’epoca dei fatti recluso al Mammagialla di Viterbo.
L’accusa a loro carico è di avere, «in concorso tra loro e con premeditazione, abusando della qualità di ciascuno rivestita di agente del corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Viterbo, approfittando di circostanze tali da ostacolare la privata difesa ( quali lo stato di detenzione delle vittime e l’assenza di videocamere nei luoghi in cui si sono svolti i fatti), percosso De Felice, cagionando allo stesso lesioni personali e segnatamente, tra l’altro, “edema condotto uditivo dx e trauma costale, contusione toracica destra”».
Ma non solo. Tre di loro devono rispondere anche di calunnia e falso per le loro relazioni di servizio, in cui cercano di far ricadere ogni colpa su De Felice, descritto in pratica come ingestibile. «Onde evitare che la situazione degenerasse – aveva testimoniato uno degli agenti – ordinavo al personale di polizia penitenziaria che aveva preso parte alla perquisizione ordinaria, di non allontanarsi dal posto e di prelevare il detenuto De Felice dalla propria stanza di pernottamento per allontanarlo dalla sezione IV B, mantenendo così l’ordine e la sicurezza all’interno della stessa. De Felice, con fare spavaldo e arrogante usciva dalla propria stanza incurante del nutrito numero di agenti di polizia penitenziaria presenti sul posto e subito allungava il passo per recarsi sulla rotonda della sezione». Per il pubblico ministero Stefano D’Arma la testimonianza è falsa.
«L’ho visto con il volto tumefatto, pieno di lividi con il sangue all’occhio sinistro e ha detto che è stato pestato da una decina di agenti penitenziari», denunciò al Dubbio Teresa, la moglie del detenuto Giuseppe De Felice, 31enne, ristretto all’epoca nel carcere di Viterbo. A dicembre del 2018 era andata a visitarlo ed è rimasta scioccata nel vederlo pieno di lividi. «Ho cominciato ad urlare – racconta la moglie -, ma mio marito mi ha detto di smettere, perché ha paura di subire altre ritorsioni».
De Felice era ristretto nel carcere di Viterbo da circa un mese – prima era a Rebibbia-, quando si trovava nel quarto piano D1 e venne picchiato selvaggiamente dagli agenti. «Gli hanno perquisito la cella, messo a soqquadro tutto e hanno calpestato la foto che ritraeva noi due – raccontò Teresa -, mio marito ha reagito urlandogli contro, prendendoli a parolacce». A quel punto, secondo la versione di Giuseppe De Felice, un agente penitenziario lo avrebbe chiamato in disparte, portato sulla rampa delle scale e una decina di agenti penitenziari, senza farsi vedere in volto, lo avrebbero massacrato di botte.
Il marito le ha raccontato che gli agenti avrebbero indossato dei guanti neri e una mazza bianca per picchiarlo. «Lo hanno portato in infermeria – prosegue Teresa –, ma senza visitarlo, dopodiché lo hanno messo in isolamento per un’ora».
Preoccupata, Teresa non sapeva chi contattare, fino a quando ha visto su internet un video di Pietro Ioia, ex detenuto che vent’anni fa ha deciso di cambiare vita e si è esposto pubblicamente denunciando anche la famigerata “cella zero” del carcere di Poggioreale. Lo ha chiamato e subito si è attivato, consigliandole di contattare Rita Bernardini del Partito Radicale. L’esponente radicale ha immediatamente inviato la segnalazione urgente agli organismi preposti, dal garante nazionale Mauro Palma a quello regionale Stefano Anastasìa. Ma, soprattutto al Dap e al direttore del carcere di Viterbo, pregandolo di verificare quanto denunciato dalla signora e di «far visitare urgentemente il detenuto in modo da mettere agli atti della sua cartella clinica il relativo referto».
In seguito alle percosse, Giuseppe aveva perso anche l’udito all’orecchio destro. Il caso arrivò in parlamento tramite l’interrogazione parlamentare di Riccardo Magi di + Europa e il sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi del m5s rispose che il Dap si attivò e che comunque la magistratura di Viterbo aveva aperto delle indagini. Ora è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per gli agenti penitenziari che avrebbero commesso quelle violenze. |