Il 23 Aprile ci sarà l’udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di cinque agenti penitenziari accusati, tutti, di 613 bis ( il reato di tortura) per la presunta violenza commessa nel carcere di San Gimignano e un medico per omissione d’atti d’ufficio. La vicenda è nota. Gli agenti avrebbero abusato dei poteri o comunque violato i doveri inerenti alla funzione o al servizio svolto, con il pretesto di dover trasferire coattivamente il detenuto tunisino in isolamento da una cella ad un’altra, con minaccia grave, violenza e «agendo – si legge nell’ordinanza – con crudeltà e al solo scopo di intimidazione nei confronti del medesimo e degli altri detenuti in isolamento, cagionavano a quest’ultimo acute sofferenze fisiche e lo sottoponevano ad un trattamento inumano e degradante». Il fatto sarebbe – come riportato in esclusiva su Il Dubbio su segnalazione dell’associazione Yairaiha Onlus – avvenuto l’ 11 ottobre del 2018. Il malcapitato è un tunisino, classe 1988, condannato – non in via definitiva a un anno di pena da scontare. In realtà è finito in custodia cautelare in carcere, perché aveva trasgredito alle misure domiciliari. A ricostruire i fatti sono stati quelli del Nic, il Nucleo Investigativo Centrale istituito con il decreto ministeriale del 14 giugno 2007. A tutti gli effetti un servizio di polizia giudiziaria che combatte i reati commessi in ambito penitenziario.
I PESTAGGI RIPRESI DALLE TELECAMERE La ricostruzione dei fatti è stata agevolata dalle immagini estratte dal sistema di videosorveglianza installato nel reparto isolamento della Casa di Reclusione di San Gimignano. Il sistema si compone di quattro telecamere, due per il lato A e due per il lato B installate in maniera contrapposta. Si evince, dalla ricostruzione del Nic, che l’ 11 ottobre del 2018 quattordici soggetti appartenenti alla Polizia penitenziaria che in precedenza, a più riprese, erano sopraggiunti nel reparto isolamento, capeggiati da due ispettori, si sono diretti verso la cella del detenuto tunisino. C’è anche il quindicesimo agente che si trovava nell’altro lato del reparto isolamento di fronte alla cella n. 19 del lato B destinata al detenuto vittima dei pestaggi. Quest’ultimo, dopo l’apertura del cancello della sua cella da parte di un soggetto appartenente alla Polizia penitenziaria, si affacciava spontaneamente sulla porta. Egli vestiva una tuta scura e ciabatte infradito e portava nella mano destra una confezione di bagnoschiuma e nella mano sinistra un asciugamano ed un altro indumento, verosimilmente una maglietta o un asciugamano, di colore nero. Il detenuto, a questo punto, veniva preso per le braccia dai due ispettori, che lo indirizzavano con la forza verso il lato B dell’isolamento. Sempre dalle immagini si vede che il tunisino, pur se calzava delle ciabatte infradito, era costretto a correre. All’improvviso un agente penitenziario corpulento, con una maglia bianca a maniche corte, calvo, rimasto nelle retrovie, si faceva largo tra i colleghi e, giunto in prossimità dei tre, sferrava dall’alto verso il basso un pugno con il quale colpiva violentemente il detenuto. In quel momento, tirato giù anche dall’ispettore oltre che dal pugno sferratogli dall’assistente capo, cadeva a terra. Sempre dall’informativa del Nic, emerge che in questo frangente si notava l’assistente capo, del peso di circa 120 chili, montare addosso al malcapitato con le ginocchia ( poste all’altezza della vita e delle gambe) mentre l’ispettore lo teneva per il braccio destro e un altro agente lo prendeva per il collo, contribuendo alla forzata immobilizzazione del detenuto. A questo punto il tunisino veniva completamente circondato da tutti i soggetti appartenenti alla Polizia penitenziaria intervenuti, che creavano una sorta di “copertura” rispetto alle telecamere. Dalla visione delle immagini «apparescrive il Nic- possibile distintamente osservare dei movimenti di piedi e dei movimenti concitati delle braccia, che rendono altamente verosimile la circostanza che il tunisino sia rimasto vittima di un vero e proprio pestaggio».
IL CORAGGIO DELLA DOTTORESSA Non mancano le testimonianze dei detenuti in alta sicurezza. Uno sarebbe stato minacciato perché avrebbe gridato di farla finita. «Mi ha aperto il blindo e mi ha detto… ora mi hai rotto i coglioni !!… La fai finita ?…, urlando, e poi con un gesto violento ha inserito la mano e il braccio nel blindo e mi ha colpito sulla fronte. Io di scatto sono indietreggiato e sono caduto all’indietro e sono rimasto stordito per qualche secondo o minuto. Mi sono ripreso e sentivo che le guardie, nel corridoio, offendevano e minacciavano noi detenuti con frasi del tipo… Sei un infame, il canterino di San Gimignano! Questo per fare sentire agli altri detenuti e per metterci gli uni contro gli altri…», testimonia un detenuto di alta sicurezza. Quattro sono i testimoni ristretti in isolamento. In quel reparto, si evince sempre dall’ordinanza, regnava un clima di tensione da almeno due mesi antecedenti all’episodio, «al quale – si legge – non era certamente estraneo l’atteggiamento aggressivo, provocatorio, vessatorio ed intimidatorio tenuto dai soggetti appartenenti alla Polizia penitenziaria a far data dal 23.8.2018». C’è l’esempio di un altro detenuto straniero che spesso si autolesionava e – secondo una testimonianza – «non gli mandavano mai i soccorsi. Una volta dalle due del pomeriggio i soccorsi sono arrivati alle otto di sera. Il dottore non andava mai da lui…». In questo contesto è stata importante la professionalità di una dottoressa che ha stilato i referti medici, riportando anche le testimonianze. Ciò non sarebbe andato giù all’ispettore e per questo motivo avrebbe mostrato un profondo risentimento nei confronti del medico. Si legge che l’ispettore avrebbe preteso, in maniera del tutto ingiustificata e scorretta, che le dichiarazioni provenienti dai detenuti fossero riportate nei referti medici soltanto ed esclusivamente laddove «le stesse non fossero potenzialmente pregiudizievoli per i soggetti appartenenti alla Polizia penitenziaria». C’è un episodio spiacevole riportato dalla dottoressa. Durante un’accesa discussione, l’ispettore le avrebbe involontariamente urtato con una mano il suo seno. Allora lei, visto che la discussione si faceva con toni più accesi, presa dalla rabbia, gli ha detto che l’avrebbe denunciato per violenza sessuale se non se ne andava subito dall’area sanitaria. Dopodiché, alla presenza di tutti gli agenti che accompagnavano i detenuti, nonché delle infermiere, l’ispettore avrebbe iniziato a dirle: «Dottoressa, lei mi deve chiedere scusa anche perché lei non è manco bella… e poi a me non mi manca, anzi ne ho troppa…». Questo era il clima che si sarebbe respirato. Violenze, minacce e rimproveri anche nei confronti di chi svolgeva con professionalità il proprio lavoro. Però non mancano, come si evince dalle testimonianze, anche gli imbarazzi da parte di altri agenti penitenziari che avrebbero addirittura incoraggiato alcuni detenuti a denunciare tale situazione. Nei giorni immediatamente successivi alla notizia divenuta di dominio pubblico, a ripercorrere le vicende che hanno portato alle indagini della magistratura è stato proprio il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, durante una conferenza stampa. Sono almeno due gli elementi evidenziati. Il primo riguarda l’avvio delle indagini: se le presunte torture sono venute alla luce è per merito della stessa polizia penitenziaria che ha condotto le indagini. Il secondo riguarda l’importanza per l’amministrazione penitenziaria di avere una direzione stabile. È stato infatti durante un periodo di assenza della figura del direttore che i fatti incriminati si sono svolti. Il 23 Aprile si deciderà per il rinvio a giudizio. |