Fino a quando potrà reggere il discorso dell’isolamento sanitario in carcere se il contagio dovesse ulteriormente estendersi nei penitenziari? Finora, quelli più colpiti sono gli agenti penitenziari e il personale sanitario, quindi medici e infermieri. Per quanto riguarda il numero dei detenuti contagiati, il numero esatto non è dato sapere. Secondo il guardasigilli sono 15, ma ogni giorno esce fuori la notizia di detenuti messi in isolamento perché hanno accusato sintomi che fanno pensare al contagio da Covid- 19 e quindi si è in attesa del risultato dei tamponi. Se i sindacati come la UIL PolPen hanno chiesto al Dap di rendere pubblico il numero esatto degli agenti contagiati (“l’oscurantismo del Dap”, è il titolo del comunicato a firma del rappresentante sindacale Gennarino De Fazio), ci sono centinaia di familiari che chiedono di sapere cosa accade nelle carceri dove vivono i loro cari. Inevitabilmente si genera ansia e girano voci di numeri magari non veritieri di detenuti contagiati, ciò crea una vera e propria psicosi e angoscia. Forse sarebbe meglio che il Dap indicasse esattamente il numero dei contagiati di tutta la popolazione penitenziaria ( operatori e detenuti) in maniera tale di dare l’esatta dimensione del problema. Ogni giorno arrivano, anche a Il Dubbio, centinaia di lettere dei familiari preoccupati, a volte indicando un numero probabilmente non veritieri di contagiati. Stessa situazione riguarda chi lavora. La tensione e l’angoscia potrebbero essere evitate con la trasparenza dei dati. Ad esempio nel carcere di Rebibbia si rincorrevano voci di detenuti contagiati. Ma il garante regionale dei detenuti Stefano Anastasìa, raggiunto da Il Dubbio, riferisce di sette detenute che sono in isolamento sanitario e in attesa di un tampone. Il motivo è che sono state in contatto con sanitari poi risultati positivi al test. Parliamo delle detenute che vivono nel carcere romano con i nove bambini, le quali sono venute in contatto con il medico ( ora in rianimazione) risultato poi positivo. C’è Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia penitenziaria, Spp, che ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ai ministri della Salute, Roberto Speranza e Giustizia Alfonso Bonafede, per far concedere i domiciliari alle 51 madri detenute in tutt’Italia con i loro 55 bambini. Nella giornata di ieri, i detenuti di due sezioni di Rebibbia hanno anche inscenato una protesta per il ritardo nelle risposte alle loro istanze per i domiciliari. Sono circa 300 le richieste, finora soltanto 12 sono state accolte. Quindi ci vorrà tempo per poterle smaltire.
POTENZIALI BOMBE A OROLOGERIA La situazione è grave anche per quanto riguarda il carcere di Voghera, dove risultano almeno sei casi di contagio tra detenuti, uno dei quali è ancora in ospedale, mentre una quarantina sono tuttora in quarantena. Qualcosa sta accadendo al carcere di Parma, una vera e propria bomba ad orologeria visto l’alto numero di detenuti anziani e con patologie gravi. Risultano cinque agenti contagiati e una sessantina di detenuti in quarantena. Non è un isolamento sanitario, ma sono tutti insieme: potenziali contagiati e non. Fino a che punto può essere utile questa gestione a causa dei numeri abbondanti di detenuti? A questo si aggiunge il problema della prevenzione. Il personale penitenziario si lamenta di non ricevere i dispostivi di sicurezza come le mascherine e la mancanza dei tamponi, quando arrivano casi di contagio. ll carcere è un servizio essenziale e le conseguenze dell’ingresso dell’infezione, anche in una singola sede, possono avere ripercussioni di estrema gravità, non solo per le persone, ma per l’intero sistema. Il presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria ( Simspe), Luciano Lucanìa, è netto. «Di concerto con la Sanità territoriale, dovremmo procedere con lo screening dei soggetti che quotidianamente fanno accesso alla struttura penitenziaria e hanno contatti con i detenuti, anche indirettamente», spiega. Gennaro De Fazio, leader della Uil PolPen, sottolinea anche un altro problema. Ovvero il rischio dei contagi di ritorno. «Temiamo – argomenta il leader sindacale – che il contagio nel carcere sia arrivato in differita, abbiamo paura – e saremmo felici di essere smentiti – che i focolai si stiano sviluppando in queste ore e che il picco vi sarà a qualche settimana di distanza da quando si registrerà nel Paese. Temiamo fortemente che dalle carceri, come se si trattasse di “territorio straniero”, esterno ai confini nazionali, potrebbe svilupparsi il c. d. contagio di ritorno, che rischierebbe di far riprecipitare la situazione pure al di qua delle mura. Speriamo di sbagliarci, ma lo stiamo dicendo prima, se per una sfortunatissima ipotesi dovesse poi accadere, crediamo che non si potrebbe parlare di fatalità e di sole responsabilità morali».
MISURE DEFLATTIVE INCONSISTENTI La soluzione principale per attuare la possibilità di gestire l’emergenza in maniera adeguata è lo sfoltimento delle carceri. La misura attuata dal ministero della Giustizia non basta, come concordano tutti gli addetti ai lavori. Bisogna fare di più. Non bastano nemmeno il discorso della produzione dei braccialetti, accordo firmato ieri, che prevede finalmente l’emissione di 5000 braccialetti. Non tutti insieme, ma gradualmente. Un accordo che sarebbe dovuto partire, come ricordato da Il Dubbio, già 15 mesi fa. Ma è mancato il completamento delle fasi di collaudo. I braccialetti servirebbero per l’attuazione delle disposizioni del decreto “Cura Italia” che, nella parte relativa alle misure in materia di giustizia e carceri, prevede la possibilità di accesso ai domiciliari ai detenuti che devono scontare una pena fino a 18 mesi. Per ora, ne sono disponibili 920. Per il resto bisognerà attendere alcuni mesi. Ma l’emergenza è ora e bisogna far uscire dal carcere più detenuti possibili. C’è Carmelo Miceli, componente della commissione Giustizia della Camera e responsabile sicurezza del Pd, che dichiara senza minimi termini: «Per evitare il contagio di massa tra reclusi e agenti di polizia penitenziaria, il governo mostri coraggio e adotti anche una forma speciale di detenzione domiciliare temporanea che abbia la stessa durata dell’emergenza epidemiologica». Un serio pericolo che lo stesso Andrea Orlando del Pd non ha nascosto, rispondendo con una lettera aperta ai leader di Lega e Fratelli d’Italia, Salvinie Meloni. Eppure l’ex guardasigilli è al governo, quindi teoricamente potrebbe incidere. Perché allora sono state partorite misure del tutto insufficienti come dichiarato perfino dall’Associazione nazionale dei magistrati e dal Csm? Nel frattempo si aggiunge l’appello dei Garanti territoriali, coordinati da Stefano Anastasìa, che hanno il polso della situazione e che evidenziano come i provvedimenti legislativi presi dal governo sono largamente al di sotto delle necessità. Appello condiviso anche dal Garante nazionale, Mauro Palma, nel suo bollettino quotidiano. «Facciamo appello- scrivono i garanti- al Presidente della Repubblica, quale supremo garante dei valori costituzionali in gioco, ai Sindaci e ai Presidenti delle Regioni, delle Province e delle Aree metropolitane di cui siamo espressione e ai parlamentari, affinché nell’esame del decreto- legge contenente le norme finalizzate alla riduzione della popolazione detenuta vengano adottate misure molto più incisive e di pressoché automatica applicazione, in grado di portare nel giro di pochi giorni la popolazione detenuta sotto la soglia della capienza regolamentare effettivamente disponibile». |