NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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La delazione, un vizio risvegliato dal virus

 

FONTE:Avvenire

 

Passione sempre verde quella della delazione, incentivata dall’ideologia legalitaria e manettara. Un esercito di nuovi vigili da balcone e sbirri da finestra hanno iniziato a postare fotografie, diffondere video, lanciare insulti.

 

Fare il delatore, che passione! Denunciare le malefatte altrui, reali o presunte, dà grande soddisfazione. In epoca di quarantena, poi, è un irresistibile passatempo che procura immensa gioia. Tuttavia, tra sentinella e avvoltoio la differenza può essere sottile.

La sentinella sta in guardia per avvisare di un pericolo imminente. La sua soddisfazione consiste nel rendersi utile alla comunità e il suo ruolo è ufficialmente riconosciuto. L’avvoltoio è un volontario spontaneo che gode e basta. Appostato alla finestra o al balcone, o alla ringhiera del suo bel giardinetto, apostrofa i passanti, li fotografa e pubblica le loro immagine, consentendo ai sodali di vomitare loro addosso insulti a profusione. Che il passante abbia tutto il diritto di passare o stia contravvenendo alle norme, nulla importa. Così accade che la farmacista di Salerno, di ritorno a casa dopo un turno lungo e pericoloso, venga centrata dall’alto da una secchiata d’acqua: “Dove vai, balorda?”.

La moderna delazione ha una tradizione antica. Il delator è figura ampiamente citata dagli autori latini, e non benevolmente. Spesso il delatore soffia la sua spiata per ricavarne un vantaggio personale, in denaro o cariche pubbliche. Il delatore dei regimi autoritari, rigorosamente protetto dall’anonimato, in genere è ricompensato in denaro, ma la sua “ricompensa” può essere del tutto immateriale: la gioia di far del male a qualcuno, se lo meriti o no.

C’è una domanda che il delatore da balcone non si pone mai: chi vedo passare, ha il diritto di passare o è un abusivo? Il delatore ha cominciato magari a piccole dosi, ma con il tempo ha sentito il bisogno di aumentarle come un tossico qualsiasi: il piacere nel beccare il condomino, il vicino o il concittadino in un’apparente infrazione è indicibile. La psicologia non ha difficoltà a suggerire la spiegazione: io delatore denuncio il comportamento che nego a me stesso e che dunque nessun altro deve potersi permettere, ne abbia il diritto o no.

Al polo opposto c’è chi – come il cittadino palermitano che prima organizza il banchetto sul terrazzo e poi, multato, chiede 1.500 euro per farsi intervistare – ride in faccia a tutti, delatori compresi, e fa quel che gli pare. Il suo godimento deriva dal fatto che gli altri non osano trasgredire come lui, più furbo di tutti; se tutti si comportassero allo stesso modo, il piacere svanirebbe. Perché tuttavia prendersela con i passanti, regolari o irregolari che siano? Ma perché con qualcuno dobbiamo sfogarci, e addosso a qualcuno va indirizzata la sorda rabbia e la montante frustrazione che coglie i prigionieri della quarantena. Chi è tendenzialmente mite e generoso non ci pensa proprio. Sorveglia i comportamenti propri, non quelli altrui. Chi invece è tendenzialmente acido e maligno avverte il bisogno di ferire, far male e dire male.

Poco ci consoli sapere che il fenomeno è mondiale. A Londra, il questore Anthony Stansfeld ha pregato la popolazione di fare la spia solo per casi palesi ed eclatanti, e a intrattenere piuttosto rapporti amichevoli e collaborativi con i vicini. Nel Northamptonshire, la polizia ha ammesso di essere bombardata da dozzine di chiamate di chi vorrebbe far arrestare il vicino che si fa una corsetta o un barbecue in giardino. A Los Angeles, si segnala una valanga di “telefonate bizzarre”, come quella che chiedeva di arrestare due persone alla fermata del bus: una aveva tossito. La delazione a volte è incoraggiata: in Nuova Zelanda, il sito della polizia ha ricevuto così tante segnalazioni da andare in crash.

Qualche ex funzionario della Stasi starà gongolando: ah, i bei vecchi tempi…

 

Umberto Folena