«Sofferenza» è la parola chiave del pre-rapporto di metà anno redatto dall’associazione Antigone sulle carceri. In primo luogo la sofferenza della malattia, quella caratterizzata dal Covid 19, per come è stata percepita dai detenuti osservando i bollettini provenienti dal mondo esterno.
La sofferenza della solitudine, dell’abbandono, quella dettata dalla stagione estiva e quindi del caldo insopportabile che diventa sempre più insostenibile all’interno delle celle. La sofferenza psichica che in carcere si amplifica a dismisura e può portare al suicidio.
Durante la presentazione del pre- rapporto, il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, ha elencato tutte queste sofferenze che vivono i reclusi, compresa quelle indotte, ovvero quelle fisiche commesse da alcuni agenti penitenziari che ora la legge ha contemplato con il reato di tortura.
«Proibire e reprimere la tortura – ha osservato Gonnella – vuol dire essere coerenti con la legge interna e quella internazionale».
E quindi, ha aggiunto il presidente di Antigone, «sarebbe importante che, quando il procedimento va avanti, lo Stato con le sue forme si costituisca parte civile, perché sarebbe un segnale importante».
Gonnella, in sintesi, ha spiegato che per ridurre il tasso di sofferenza, ci vuole «uno Stato forte che non si autoassolva e rompa con la retorica delle mele marce».
A proposito di suicidi, il presidente di Antigone ha sottolineato che l’anno scorso, in questo periodo, erano stati 26, quando la popolazione reclusa era di varie migliaia di unità in più.
Ora, nello stesso periodo siamo invece arrivati già a 34 suicidi.
Il 20% di questi aveva fra i 20 e i 29 anni ( i due più giovani ne avevano solo 23), il 43% ne aveva fra i 30 e i 39, per entrambe le fasce d’età 40- 49 e 50- 59 troviamo il 17% dei suicidi, il detenuto più anziano aveva 60 anni.
Il 40% dei suicidi è avvenuto in un istituto del nord Italia, il 36% al sud e il 23% al centro; in tre istituti sono avvenuti due suicidi: Como, Napoli Poggioreale e Santa Maria Capua Vetere.
Gonnella ha ricordato che ultimamente si sono ammazzati ragazzi giovani per i quali probabilmente il carcere non sarebbe stata la giusta opzione.
«Per questo – ha spiegato Gonnella – vorremmo dedicare questo pre rapporto al giovane rapper Jhonny Cirillo, morto suicida nel carcere di Fuorni. Un ragazzo che, sì, aveva commesso un reato, ma la sua biografia richiedeva un’attenzione sociale ben diversa dall’imprigionamento, esito di una giustizia cieca e burocrate. Jhonny andava aiutato, sostenuto e non incarcerato».
Il presidente di Antigone ha concluso, infine, con un auspicio, ovvero che il tasso di sovraffollamento non ricominci a crescere e che, al contrario, si riduca ancora di più.
IN AUMENTO IL NUMERO DEI DETENUTI
Nel pre- rapporto, Antigone spiega che l’ 8 marzo entravano in vigore, con il decreto “Cura Italia”, le prime misure atte a contenere i numeri della popolazione detenuta per contrastare la diffusione del coronavirus in carcere. Nei mesi successivi le presenze, che peraltro già prima di queste misure erano iniziate a calare, raggiungevano a fine aprile le 53.904 unità.
Tre mesi dopo, a fine luglio, le presenze in carcere, con 53.619 unità, restano sostanzialmente stabili. Il tasso di affollamento ufficiale si ferma per ora al 106,1% ( era del 119,4% un anno fa) ma in ben 24 istituti supera ancora il 140% ed in 3 si supera il 170% ( Taranto con il 177,8%, Larino con il 178,9%, Latina con il 197,4%).
Il reale tasso di affollamento nazionale – si legge nel documento di Antigone – è inoltre superiore a quello ufficiale in quanto alcune migliaia di posti letto non sono attualmente disponibili a causa della chiusura dei relativi reparti.
In un anno le presenze sono calate in media dell’ 11,7% ma il dato a livello regionale è molto disomogeneo: – 19,8% in Emilia- Romagna, – 15,2% in Campania, – 13,9% in Lombardia, – 11,0% in Piemonte, – 7,4% in Sicilia, – 7,3% in Veneto. Le Marche sono l’unica regione in Italia in cui la popolazione detenuta è aumentata nell’ultimo anno, con una crescita dell’ 1,1%.
Secondo Antigone è necessario che si scenda a breve sotto i 50 mila detenuti per garantire spazio e distanziamento fisico.
I CASI TOTALI DI CONTAGIO ALL’INTERNO DELLE CARCERI
Secondo gli ultimi dati disponibili i casi totali in carcere fino al 7 luglio sono stati 287 con un picco massimo nella stessa giornata di 161 persone positive. Un numero contenuto, ma secondo Antigone da non sottovalutare: in rapporto al totale della popolazione detenuta è infatti superiore, sebbene di poco, al tasso di contagio nel resto del paese.
Le misure prese a marzo a livello periferico sono state determinanti. «Non deve tornare l’affollamento in carcere – osserva Antigone-, altrimenti si rischia di trasformare queste ultime in luoghi fortemente a rischio, come lo sono state le Rsa».
Focolai si sono riscontrati a Saluzzo, Torino, Lodi ( poi trasferiti a Milano), Voghera, Piacenza, Bologna e Verona. Lunghi alcuni decorsi della malattia, che hanno raggiunto anche i tre mesi.
Per il coronavirus hanno perso la vita in tutto 4 detenuti, 2 agenti di polizia e due medici penitenziari. Più che in passato sono disponibili per personale e detenuti dispositivi di protezione individuale. Antigone, con il sostegno di Cild, ha donato migliaia di mascherine alle direzioni dei seguenti istituti: San Vittore Milano, Trieste, Bari, Rebibbia Nc, Regina Coeli nonché case famiglia per detenute madri e comunità dove sono ristretti minori.
UN DETENUTO SU CINQUE DEVE SCONTARE UN SOLO ANNO DI PENA
Secondo i dati rilevati da Antigone, Il 19,1% dei detenuti ha un residuo pena inferiore ad un anno, il 52,6% deve ancora scontare meno di tre anni per un totale di 18.856 detenuti. Queste percentuali salgono molto per i detenuti stranieri, arrivando rispettivamente al 26,3% ed al 66,6%. Sono percentualmente aumentati i detenuti per i reati più gravi, a seguito delle scarcerazioni avvenute tra marzo e maggio di persone con pene brevi. I presenti con una condanna definitiva superiore ai 10 anni,
ergastolani inclusi, erano a fine giugno 2019 il 26,8%, dei presenti totali. A fine giugno 2020 erano il 29,8%.
Al 30 giugno erano 7.262 i detenuti reclusi per associazione di stampo mafioso ( 416- bis): soltanto 128 erano donne e 176 stranieri.
Al 6 novembre 2019, ultimo dato ufficiale disponibile, le persone sottoposte al regime speciale di cui il 41bis erano 747 ( 735 uomini e 12 donne), a cui devono aggiungersi 7 internati, per un totale di 754 persone distribuite in 11 istituti penitenziari della Penisola, con una sola sezione femminile e una casa di lavoro per persone in misura di sicurezza. Aumenta anche l’età media.
I detenuti con più di 50 anni erano il 25,2% a fine giugno 2019, mentre un anno dopo erano il 25,9% dei presenti.
PUNTARE SULLE PENE ALTERNATIVE FAREBBE RISPARMIARE 500 MILIONI DI EURO
Un detenuto costa in media 150 euro al giorno circa ( costi che comprendono la retribuzione dello staff), mentre una persona in misura alternativa costa dieci volte di meno. Per questo secondo Antigone si potrebbero risparmiare almeno 500 milioni di euro se la metà di queste persone potesse scontare all’esterno la sua pena.
Ma nel frattempo crescono i numeri dei reclusi in custodia cautelare. A fine aprile 2020, calate notevolmente le presenze in carcere, i definitivi erano il 68,8% dei presenti ( il 66% dei soli stranieri).
Nonostante le misure deflattive previste riguardassero solo i detenuti con una condanna definitiva, la percentuale di persone in custodia cautelare in questo intervallo era addirittura leggermente calata, ed il calo era più significativo tra gli stranieri. A fine luglio 2020 aveva una condanna definitiva il 66,8% dei presenti ( il 64,8% tra i soli stranieri). In pochi mesi dunque, nonostante la popolazione detenuta nel suo complesso sia sostanzialmente invariata, continuano a calare i definitivi ma aumentano le persone in custodia cautelare, segno che sono tornati ad aumentare gli ingressi in carcere.
CALA LA PRESENZA DEGLI STRANIERI IN CARCERE
Sono 17.448 gli stranieri in carcere al 31 luglio 2020, per una percentuale pari al 32,5% del totale della popolazione detenuta. Tale percentuale – si legge nel pre- rapporto di Antigone – raggiungeva il 37% nel 2008, quando ( al 31 dicembre) gli stranieri detenuti erano 21.562. Al 31 luglio 2020 i 5 istituti penitenziari con il maggior numero di detenuti stranieri in termini assoluti erano: la CC di Torino ( 663 detenuti stranieri, 48,4% sul totale), la CC di Milano San Vittore ( 542 detenuti stranieri, 58,3 % sul totale), la CC di Roma Regina Coeli ( 496 detenuti stranieri, 49,5% sul totale), la CC Firenze Sollicciano ( 494 detenuti stranieri, 66,8% sul totale) e la CC di Roma Rebibbia NC ( 466 detenuti stranieri, 32,9% sul totale). Di questi 5 istituti, solo Firenze Sollicciano rientra tra i primi dieci con la più alta concentrazione in percentuale di stranieri, attestandosi al sesto posto. I primi cinque istituti per percentuale di stranieri sono due case di reclusione sarde, Onanì dove l’ 81,7% dei detenuti è di nazionalità non italiana e Arbus Is Arenas dove gli stranieri rappresentano l’ 80,9% del totale dei reclusi. A seguire le case circondariali di Bolzano ( 70,1%) Aosta ( 68,4%) e Padova ( 67,4%).
Le cinque regioni con la più alta presenza in percentuale di stranieri detenuti negli istituti penitenziari sono la Valle d’Aosta ( 68,4%), il Trentino Alto Adige ( 63,1%), la Liguria ( 53,1%), il Veneto ( 53%) e la Toscana ( 49,9%). Sono comunque ben sopra la media nazionale ( al 32,5% il 31 luglio 2020) l’Emilia- Romagna ( 48,3%), la Lombardia ( 43,7%), il Friuli Venezia Giulia ( 35,3%) ed il Piemonte ( 40,5%). Ben al di sotto della media nazionale la Calabria ( 18,4%), l’Abruzzo ( 17,6%), la Sicilia ( 18,7%), la Campania ( 13,6%), la Puglia ( 13,7%) e la Basilicata ( 12,3%). Per quanto riguarda le nazionalità più rappresentate all’interno dei nostri istituti di pena andiamo a distinguere tra popolazione reclusa maschile e femminile.
Per quanto riguarda gli uomini, le cinque nazioni straniere più rappresentate sono ( le percentuali sono da riferirsi sul totale dei detenuti non italiani): il Marocco ( 18,5%), la Romania ( 12,2%), l’Albania ( 11,7%), la Tunisia ( 10,2%), la Nigeria ( 8,6%).
LE DONNE RECLUSE ALL’INTERNO DI CARCERI MASCHILI
Quella femminile è storicamente una piccola minoranza, oggi – secondo Antigone – pari al 4,19% del totale. Negli ultimi trent’anni la presenza femminile in carcere è sempre oscillata tra i 4 e i 5 punti percentuali. Ma sono solo 4 gli istituti penitenziari interamente femminili in Italia, che ospitano in totale 554 donne. Ovvero un quarto della popolazione detenuta femminile. Ma Il resto delle donne si trovano nelle 43 sezioni femminili ubicate all’interno di carceri maschili, sparse in tutte le regioni del Paese, con capienze e modelli organizzativi molto diversi tra loro: la più piccola si trova a Paliano ( Lazio) dove sono ristrette 2 donne.
Le più grandi, che ospitano oltre cento detenute, sono Milano Bollate ( 118), Torino ( 110) e Firenze Sollicciano ( 114). Nel frattempo, al 31 luglio, ci sono ancora 33 bambini sotto i tre anni che vivono in carcere o negli Istituti a Custodia Attenuata per Madri ( Icam). Il gruppo più numeroso ( 8 bambini) si trova a Torino, 6 sono i bambini a Rebibbia femminile e 7 nell’ICAM di Lauro, in Campania. Le madri detenute con figli al seguito sono 31 ( 15 straniere e 16 italiane). A fine aprile i bambini detenuti erano 40 ed erano 59 a fine febbraio.
BRACCIALETTI ELETTRONICI ANCORA INSUFFICIENTI
Al 20 maggio le persone andate in detenzione domiciliare durante l’emergenza sanitaria erano 3.379. Di queste, a 975 era stato applicato il braccialetto elettronico ( Fonte: Garante nazionale).
I braccialetti elettronici diventati operativi negli ultimi mesi, secondo Antigone sono molti meno di quelli promessi nell’accordo tra ministeri dell’Interno e della Giustizia ( 300 a settimane), a conferma che si tratti di una misura costosa e di difficile applicazione.
Damiano Aliprandi da il dubbio |