Su LaRepubblica.it, in un articolo del 24 aprile 2010, abbiamo letto che il ministro Maroni vorrebbe sanzionare con il Daspo (il Divieto d'accesso alle manifestazioni sportive) anche i giocatori, e pure certi genitori che seguono i propri figli nei campionati giovanili. La cosa non ci stupisce. Tante norme e leggi, di dubbia costituzionalità, adottate prima contro i tifosi, vengono poi estese a tutta la società. Proprio ieri, a Milano, durante una manifestazione, agenti di polizia hanno strappato un megafono dalle mani di un dimostrate, mentre stava esprimendo il proprio pensiero. Un comportamento che ha scandalizzato molti, ma non certo ultras e tifosi, visto che l'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive (composto in larga parte da appartenenti alle forze di polizia), sono anni che ci vieta tutti i mezzi di diffusione sonora allo stadio (pure i tamburi!). Sempre durante tale manifestazione, ai lavoratori del Teatro la Scala che stavano protestando, è stato impedito di entrare nel teatro medesimo, dove sedevano diverse autorità. Motivo: non avevano il necessario cartellino/autorizzazione. Anche in questo caso qualcuno ha trovato la cosa abbastanza stupefacente, ma non noi. Anzi, ci abbiamo trovato molte similitudini con la Tessera del tifoso, quel salvacondotto/carta di credito che proprio il ministro Maroni sta cercando di imporre ai tifosi italiani, per entrare negli stadi. Ovvero: un tesserino magnetico ricaricabile, rilasciato dalle Spa del pallone, previa autorizzazione della Questura. Questo vorrebbero imporci per entrare in un luogo pubblico, anzi, per entrare allo stadio: il luogo pubblico per eccellenza, deputato a raccogliere la comunità. Alla manifestazione di cui sopra c'è scappata pure una qualche manganellata, ma anche questa "ricetta" ci sembra sempre più comune. Botte a chi chiede diritti e lavoro, a chi chiede di non essere schiacciato dal cemento di grandi opere inutili, a chi chiede di non avere a fianco dei generatori di tumori. Ormai noi ultras non abbiamo più l'esclusiva. Il ministro Maroni, inoltre, ha chiesto di affidare gli stadi pubblici alle Spa del pallone. Visto che tali società li hanno già in gestione, la parola "affidare" va intesa come trasferimento di proprietà, da pubblica a privata. Tant'è che il ministro, poche righe più avanti, ha auspicato che la relativa legge (che ben conosciamo) sia approvata in Parlamento. In questo caso, per passare gli stadi da pubblici a privati, il ministro ha accampato motivi di "sicurezza". Ma se le Spa del pallone vogliono stadi privati, per costruirci e farci dentro ciò che vogliono, perché non se li costruiscono? Nessuna legge (purtroppo?) glielo vieta, e nessuna legge (purtroppo?) gli impedisce di portarci le proprie squadre. Possono farlo ma non lo fanno. Chiedono invece una legge ad hoc. Sì, una legge che gli permetta di trasformare aree pubbliche e sportive in aree commerciali; che gli consenta di comprarsele ad un prezzo irrisorio; e che gli dia modo di costruirci dentro ciò che vogliono, usufruendo di finanziamenti pubblici con la scusa dello sport. Una legge profondamente ingiusta e immorale. Il Paese e le comunità non devono perdere i propri spazi pubblici, sociali e sportivi, ne vederseli snaturare. Se poi lo Stato italiano deve utilizzare denari pubblici, specie in questo momento di crisi, li dia a chi si trova veramente in difficoltà e non ad una ristretta cerchia di milionari. Se vogliono spendere o investire: usino i loro. Le società di calcio, per convincere i tifosi della bontà dei loro progetti, non parlano certo di "sicurezza". Parlano invece di competitività; affermando che tali politiche sono necessarie per diversificare le entrate ed avere più indipendenza dalle tv (sic); e che senza nuovi introiti si vincerà meno o addirittura si potrà retrocedere. Ascoltando tali dichiarazioni ci viene il dubbio che ci considerino, generalmente, a torto o a ragione, non troppo intelligenti. Se le società di calcio ritengono di poter aver maggiori introiti investendo in opere più o meno estranee allo sport, sono liberissime di farlo. Per altro questa è già la regola: i proprietari delle squadre di calcio hanno interessi in una miriadi di campi economici. Se le società di calcio ritengono di poter incrementare la vendita degli articoli dei propri club, aprano senza indugio ulteriori negozi. Se ritengono sia conveniente costruire, gestire e vendere, centri commerciali, alberghi; negozi; ristoranti; abitazioni residenziali; ecc ecc. lo facciano pure. Per loro, però, valgano semplicemente le leggi e le regole che valgono per tutti gli altri. Le leggi e regole devono essere fatte nell'interesse della nazione, della collettività, non per pochi a discapito di tutti gli altri. In Inghilterra, visto che qualcuno ama parlare di "modello inglese", è vero: hanno privatizzato gli stadi, ma non li hanno regalati; non hanno utilizzato soldi pubblici per finanziare tali operazioni; e non hanno finanziato le opere delle Spa del calcio che, con la scusa dello sport, vogliono costruirsi strutture commerciali e residenziali. E così, visto che i costi per tali operazioni sono altissimi, nel calcio inglese sono entrate importanti multinazionali e magnati stranieri, che si sono comprati alcuni club. Quando si privatizza non ci sono bandiere. Il nostro mondo, fatto di passione, invece ne ha tante. Tessera del tifoso e stadi privati, lavorano in sinergia per speculazione e repressione. Per entrare nell'impianto si dovrà essere autorizzati dalla Questura e dalla Società che lo possiede, e si potrà essere cacciati fuori quando vogliono. Questo decreterà la fine del tifo libero, perché l'unico "tifo" a cui verrà consentito di sopravvivere sarà quello che ne accetta le catene. Catene che potranno assumere varie forme: evitare prese di posizione ed esternazioni scomode; entrare nell'organico della Società; accettare la direzione/controllo della medesima. Certo, in vari casi tutto questo succede già oggi. Ma oggi si può ancora scegliere di entrare allo stadio senza piegarsi e senza vendersi. Domani, se tutto questo andrà in porto, sarà praticamente impossibile. Gli stadi italiani sono patrimonio sportivo nazionale, sono di proprietà delle comunità locali e svolgono fondamentali funzioni sociali. Tessera del tifoso e privatizzazione degli impianti stravolgono tutto questo. Selezione, invece di libera partecipazione popolare. Controllo, invece di libera espressione. Consumo, invece di crescita sociale. Siamo persone, non consumatori. Siamo tifosi, non clienti. Siamo persone, non servi. Siamo uomini liberi, senza padroni e senza catene. Ultras! |