Aveva 20 anni Giulio Petrilli quando entrò in carcere. L’accusa era pesante: banda armata. Era il 1980 e per gli inquirenti lui era uno dei capi di Prima Linea, organizzazione terroristica di estrema sinistra. L’imputazione gli è costata sei anni di detenzione, in un regime simile al 41 bis. Qualche tempo dopo, la tesi dell’accusa viene smontata. Nel 1986 la Corte d’Appello di Milano lo assolve e, tre anni dopo, la sua innocenza viene confermata dalla Cassazione. Petrilli, quindi,era stato in carcere ingiustamente. Sarà stato risarcito? La risposta è no. Ha dovuto attendere prima di poter chiedere i danni per ingiusta detenzione. La sua istanza, poi, è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Milano e la Cassazione ha confermato quel giudizio. Il motivo? Le “cattive compagnie” che frequentava ai tempi avrebbero indotto l’accusa a ritenere che dovesse stare in carcere
Per Petrilli, e per chi con lui conduce da decenni questa battaglia, il fondamento della decisione è in un comma della norma che garantisce il diritto al risarcimento per chi ha scontato un periodo di prigione – mentre era imputato o condannato in via non definitiva – e poi è stato assolto. Il risarcimento viene concesso a patto che la persona che ha subìto l’ingiusta detenzione “non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”. Tradotto, a meno che non abbia tenuto un comportamento che abbia indotto i magistrati a ritenere che ci fossero delle buone ragioni per farlo stare in carcere.
Per Petrilli, oggi presidente del Comitato per il diritto al risarcimento di tutti gli assolti, questo passaggio va cambiato, perché allarga troppo le maglie della discrezionalità del giudice. Insieme a chi si trova nella sua stessa situazione chiede al Parlamento di intervenire per fare in modo che chi è assolto in via definitiva venga sempre risarcito per il periodo ingiustamente trascorso in carcere. Senza altri paletti. Una richiesta rilanciata stamattina in un sit-in davanti a Montecitorio
“Subito dopo l’assoluzione non ho potuto chiedere i danni perché la norma non era considerata retroattiva. Abbiamo dovuto fare una battaglia perché che fosse ritenuta tale”, dice Petrilli ad Huffpost. In effetti la possibilità di chiedere allo Stato dei soldi dopo aver subito un’ingiusta detenzione è stata introdotta nel 1989, dopo l’inizio del procedimento che lo ha coinvolto. Ma la storia va avanti: quando finalmente riesce a fare istanza, questa viene rigettata, perché giudice sostiene, in sostanza, che le amicizie che Petrilli aveva all’epoca dell’arresto, con esponenti di Prima linea, hanno indotto i magistrati a ritenere che avesse delle colpe anche lui. Alla base della decisione quella parte della norma che esclude dal risarcimento chi ha “contribuito” alla detenzione per dolo o colpa grave.
Per chi sostiene che la legge va cambiata, questo meccanismo porta a delle storture: “Le istanze a volte vengono rigettate anche se un imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere. È un diritto ma può diventare un ostacolo. È come se venisse introdotto nell’ordinamento il giudizio morale”, spiega Petrilli.
Anche Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, ritiene che sia necessaria una modifica: ”È una palese ingiustizia – dice ad HuffPost – che chi è assolto in via definitiva non abbia diritto al risarcimento per ingiusta detenzione. La norma è incostituzionale: ricordiamo che sei anni, quando una persona è giovane soprattutto, come nel caso di Petrilli, sono determinanti nella vita di una persona. Trascorrerli in carcere da innocente e non ricevere neanche il risarcimento, con queste motivazioni poi, è scandaloso”.
Petrilli, dopo essere andato davanti al giudice italiano, ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La sua richiesta, però, è stata dichiarata inammissibile. A distanza di quarant’anni dal giorno in cui è entrato in cella, non solo non ha ricevuto un euro ma, molto probabilmente, non lo riceverà mai. “L’istanza può essere fatta una volta sola – spiega – la mia ora è una battaglia di principio”.
Mille risarcimenti all’anno, una media di poco più di 43mila euro a persona: i numeri dell’ingiusta detenzione
La storia di Petrilli è esemplare, ma non è unica. Le richieste di danni per ingiusta detenzione vengono fatte alle corti d’Appello competenti ed è quindi molto difficile avere i dati sulle domande fatte ogni anno. In particolare manca una cifra ufficiale sulle istanze rigettate. Che, sostengono gli addetti ai lavori, sono molte di più di quelle accolte. Queste ultime, invece, sono note. Nel 2019, si legge nella Relazione annuale del Guardasigilli sulle misure cautelari, sono state risarcite mille persone.
L’importo massimo che può essere corrisposto, per legge, è di poco superiore al mezzo milione. Ma mediamente nel 2019 il giudice ha stabilito per ogni ingiusta detenzione una cifra che si aggira intorno ai 43mila euro. Il pagamento viene effettuato dal ministero dell’Economia.
Lo Stato, l’anno scorso, ha speso poco più di 43 milioni di euro per risarcire chi era stato in carcere per una valutazione che si è poi rivelata errata. Un dato superiore a quella del 2018, quando erano state risarcite 825 persone, per una spesa di poco più di 33 milioni di euro.
Tabella pagamenti riparazioni per ingiusta detenzione (anno Ministero della Giustizia su dati forniti dal ministero delle Finanze Tabella pagamenti riparazioni per ingiusta detenzione (anno 2019)
Questi sono i pagamenti effettuati, ma quante richieste sono state accolte l’anno scorso? I dati, spiega il ministero nella relazione, sono parziali perché mancano quelli di alcune corti d’Appello. Dalle cifre a disposizione, però, risulta che siano state accolte in via definitiva 465 istanze. Nel 2018, anno di cui si dispongono i dati completi, erano 509. All’appello mancano tutti i rigetti. Molti dei quali, verosimilmente, motivati in base a quel dettaglio che Petrilli, e chi ha vissuto un’esperienza simile alla sua, chiede che sia modificato. |