“Durante la videochiamata l’ho visto che tremava per la febbre, aveva la pelle sotto gli occhi violacea e infatti poi è risultato positivo al Covid”. Parla Maria, una delle mogli dei circa 20 detenuti risultati contagiati nella sezione di Alta sicurezza del carcere di Larino, in provincia di Campobasso. Si dice preoccupata, perché a detta sua, per quanto riguarda suo marito, non starebbero dando alcun medicinale. La sezione è composta da circa 55 detenuti e per ora, almeno la metà risulta positiva al Covid 19. Un focolaio che desta preoccupazione.
Leontina Lanciano, la Garante dei diritti della persona, contattata da Il Dubbio respinge ciò che ha detto la moglie del detenuto che presenta sintomi da Covid 19. “Sono in contatto con la Asl locale e le persone che presentano sintomi, in tutto 3 detenuti, sono ovviamente messe in celle singole e curate. La situazione è sotto controllo e la direttrice del carcere ha disposto subito i tamponi per tutti, compresi gli agenti penitenziari”. Non solo. Proprio per evitare il panico e le inevitabili preoccupazioni, la direttrice ha incrementato le videochiamate, così i detenuti possono poter parlare con i propri familiari con più frequenza. Disposizione importanti, perché la chiusura totale con l’esterno può creare disagi enormi, già nella prima ondata tante, troppe voci, si erano rincorse e ingigantite.
A Terni i positivi sono diventati 68 su 514 reclusi – Ma la preoccupazione è alta. Basti vedere il carcere di Terni, in Umbria, che presenta un focolaio vasto sempre in una sezione dell’alta sicurezza. Da 62 detenuti positivi, che non presentano sintomi, di mercoledì si è passati in 24 ore a 68, su 514 reclusi, con tre ricoveri. Intanto all’interno del carcere, è stata già allestita una sezione Covid che potrebbe essere raddoppiata qualora i casi dovessero aumentare. Era stata ventilata l’idea di uno spostamento di detenuti risultati negativi al tampone, ma ancora non sembra esserci nulla all’orizzonte. Tra coloro che lavorano all’interno della casa circondariale e soprattutto tra il personale di polizia penitenziaria c’è preoccupazione per il focolaio che non si arresta. Fortunatamente, nella giornata di ieri, sono arrivati i risultati dei tamponi relativi ai 130 detenuti: tutti negativi, mentre si attendono quelli dei 187 agenti della polizia penitenziaria. Uno screening necessario per avere in mano il polso della situazione.
A Livorno il primo detenuto morto per Covid: aveva 81 anni – Ma il carcere è un ambiente ad alto rischio, chiuso e sovraffollato. Molte persone arrivano dalla marginalità estrema, non si sono mai curate prima o hanno patologie pregresse. Ma ci sono anche ultrasettantenni con patologie importanti. Nella prima ondata la situazione non ha creato una bomba sanitaria, ma il rischio è sempre alle porte. Come Il Dubbio ha riportato ieri, c’è stato il primo detenuto morto dove la concausa potrebbe essere stato il Covid. Sì, perché aveva 81 anni, ergastolano recluso al carcere di Livorno, con problemi cardiopatici rilevanti e cisti epatiche.
Aveva contratto il Covid 19, scoperto tramite tampone perché si sentiva male con tanto di febbre. Il cuore non ha retto. Era seguito dagli avvocati Luisa Renzo e Valerio Vianello Accorretti, che durante la prima ondata avevano presentato una istanza per chiedere la detenzione domiciliare per motivi di salute. Dopo una ulteriore sollecitazione, è stata rigettata ad aprile scorso. La motivazione del rigetto è la sua pericolosità sociale. Infatti il tribunale di sorveglianza ha ripercorso la sua storia criminale.
Arrestato nel 2004 in relazione al reato di omicidio plurimo aggravato commesso a Bagheria il 25 dicembre del 1981, la cosiddetta “Strage di Natale”, maturato nell’ambito della guerra di mafia finalizzata ad attuare la progressiva campagna di espansione del gruppo dei “corleonesi” e la eliminazione dei componenti della frazione avversa.
Una storia criminale che ha sempre rinnegato, ma poi dal 2018 ha avuto un mutamento di rotta, dissociandosi da Cosa Nostra, ma – secondo il magistrato di sorveglianza – senza fornire in concreto alcun elemento di valutazione sulla sua possibile presa di distanza. Quindi per il tribunale di sorveglianza non ha meritato la concessione dei benefici nonostante l’accertamento della collaborazione impossibile/inesigibile, compresa l’applicazione della detenzione domiciliare provvisoria per motivi di salute.
Ma l’altra volta l’ha scampata, ora no. Eppure tale misura è applicabile anche nei confronti di chi si è macchiato di gravi crimini. Non è una “scarcerazione”, ma una misura provvisoria per salvaguardare la vita di una persona. Non è l’unico.
È accaduto anche – come riportato da Il Dubbio – che un ergastolano vecchio e malato è stato riportato subito in carcere dopo le indignazioni create dai talk show televisivi. Tempo qualche giorno è morto. Ma tanti sono malati e solo una minima – seppur importante – di essi riguardano coloro che si sono macchiati di reati mafiosi. Così come tanti sono i detenuti per reati non gravissimi che potrebbero usufruire delle misure alternative e quindi alleggerire la popolazione carceraria.
Il decreto Ristori e l’enigma dei braccialetti elettronici – Ma il provvedimento inserito nel decreto Ristori davvero farebbero uscire di botto 5000 persone come ventilato? Contattata da Il Dubbio, è l’avvocata Simona Giannetti del direttivo dell’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino a spiegare il suo scetticismo.
“Sono scettica – spiega l’avvocata Giannetti – perché considero la previsione una toppa peggio del buco. Si tratta di aggiungere restrizioni allo spazio di manovra che il magistrato di sorveglianza aveva già con la cosiddetta svuota carceri, cioè la 199/2010”.
La componente di Nessuno Tocchi Caino non fa giri di parole: “A me sembra che abbiano stretto le maglie al potere della magistrato, che, nel decidere su una detenzione domiciliare per un detenuto a cui restino meno di 18 mesi da eseguire, “fatta salva l’applicazione della legge 199/ 2010 per quanto compatibile” come recita il decreto, dovrà fare i conti con il braccialetto elettronico, che non era previsto dalla legge 199, e con una clausola che prevede oggi la possibilità di diniego in caso di “gravi motivi ostativi alla concessione della misura”.
Ed è proprio sui gravi motivi ostativi che per l’avvocata Giannetti si apre un mondo, perché “è come dire che si può rigettare tutto”. Sempre la componente di Nessuno Tocchi Caino spiega che “sui braccialetti, non è dato nemmeno sapere se ce ne siano abbastanza, così come ancora non è chiaro che fine abbia fatto il bando come avete denunciato voi de Il Dubbio e tramite anche l’interrogazione parlamentare del compagno radicale Roberto Giachetti”.
L’avvocata sottolinea il fatto che è previsto – tranne i minorenni – l’uso incondizionato del braccialetto per tutti i detenuti con pena tra i 6 e i 18 mesi. “Quest’ultimi – spiega Giannetti – sono proprio i più numerosi perché è più facile che sotto i 6 mesi chi non ha reati gravi sia fuori dal carcere, sempre se non sia un senza fissa dimora visto che anche su questi casi hanno messo in guardia il magistrato, che dovrà essere attento sull’adeguatezza del domicilio. Forse i braccialetti potevano prevederli per i soli casi a discrezione del magistrato con pericolo di fuga e non per tutti, così risolvendo il tema della disponibilità e parimenti l’esigenza dello sfollamento”.
La componente del direttivo di Nessuno Tocchi Caino conclude: “In soldoni, visto che qualcuno diceva che a pensar male non si fa peccato, mi sembra che l’esecutivo abbia voluto legare un po’ le mani alla magistratura, anche se mi auguro che poi in concreto chi deve occuparsi della materia come potere dello Stato lo faccia in modo indipendente”. |