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Polizie sicurezza e insicurezze. Il nuovo libro di Salvatore Palidda

 

FONTE: osservatorio sulla repressione

 

Presentazione di “Polizie sicurezza e insicurezze”, il nuovo libro di Salvatore Palidda Mimesis gennaio 2021.

 

È dal 1990 che mi occupo di studi sulle polizie dopo aver passato circa 10 anni in studi sugli affari militari (per la mia tesi di dottorato). Da allora spesso sono stato impegnato in ricerche sulla sicurezza e sulle vittime delle insicurezze.

polizia postmodernaIl libro Polizia postmoderna pubblicato nel 2000 aveva come copertina un disegno di Serena Giordano raffigurante a ruoli rovesciati un poliziotto e un cittadino zelante. Quest’immagine rispecchiava assai bene, a mio avviso, il “succo” del libro, ossia l’ascesa di un sicuritarismo incarnato innanzitutto da un attore emergente: la minoranza rumorosa che, con il sostegno dei media e di dirigenti di polizia interessati a una rapida carriera, veniva venduta come la maggioranza della popolazione attanagliata dalla paura di immigrati, rom e marginali e che quindi reclamava più polizia, più penalità.

Sulla copertina del libro Polizie sicurezza insicurezze, scritto 20 anni dopo, ci sono due foto che mostrano la polizia pacifica in un caso e la polizia violenta nell’altro, a sintetizzare la mia tesi principale, ovvero la coesistenza perpetua fra le due modalità operative delle polizie.

Per 20 anni ho di nuovo raccolto elementi, testimonianze, documenti e dati per meglio riflettere sui cambiamenti in corso nelle polizie in Italia, senza trascurare la situazione negli altri paesi, fra i quali innanzitutto la Francia, che conosco bene da oltre 40 anni, e gli Stati Uniti.

In questo nuovo volume ho infatti cercato di descrivere l’attuale situazione delle polizie in Italia e in particolare le loro pratiche che avevo già cominciato a illustrare in Polizia postmoderna ma che ora mi sembrano più nitide e che riassumo appunto come una “coesistenza perpetua della gestione pacifica e della gestione violenta del governo della sicurezza”. Non a caso Michel Foucault scriveva: “La polizia è un colpo di stato permanente”. Si tratta della modalità operativa adottata da sempre. Tuttavia oggi mi sembra risultare ancora più evidente proprio perché l’“animo sicuritario” pervade una buona parte della popolazione e si traduce nella militanza dei cittadini zelanti, non solo fra gli elettori delle destre ma anche fra quelli della ex-sinistra. Non a caso un libro precedente era intitolato Razzismo democratico (2009), appunto espressione di una democrazia che oggi sembra segnata dal prevalere della tanatopolitica, il lasciar morire, più che dalla biopolitica (il lasciar vivere per meglio sfruttare e assoggettare i dominati).

In questo nuovo libro ho quindi voluto riunire tutte le informazioni e i dati utili per capire cosa sono diventate le forze dell’ordine in questo contesto neoliberista di “più mercato e meno stato” che si traduce in un netto asservimento delle polizie non solo ai vertici e al potere politico, ma altrettanto agli attori che contano di più a livello locale. È qui che si capisce meglio l’importanza delle economie sommerse in Italia responsabili di oltre il 32% del PIL e di circa otto milioni di lavoratori che oscillano fra precariato, semi-precariato e nero totale. Questo numero esorbitante di illeciti sarebbe impensabile e impossibile se non vi fosse la tolleranza e la connivenza da parte delle polizie, delle autorità locali e nazionali rispetto ai molteplici illegalismi perpetrati dagli attori sociali di queste economie (l’abusivismo, la frode fiscale e tutte le attività che provocano rischi di disastri sanitari e ambientali). Le vittime di questi crimini sono infatti ridotte all’impossibilità di difendersi proprio perché prive di protezione e anzi spesso perseguitate se osano ribellarsi. Com’è noto il “popolo” degli illegalismi tollerati vale circa 10 milioni di voti e nessun partito osa mettersi contro questo elettorato e contro la sacralità dell’economia. Ed è ovvio che per economia si intende sempre più l’intreccio stretto fra lecito, illecito e anche criminale (e questo vale anche nelle più grandi imprese parastatali che si nutrono di subappalto, false cooperative e imprese mafiose).

Ma la distrazione di massa pervasiva che si è imposta sin dal 1990 addita gli immigrati, i rom e i marginali come i nemici della società e le polizie non sfuggono a discorso. Le cosiddette paure sono attribuite persino alla sola presenza di questi presunti nemici, a maggior ragione quando provano a ribellarsi alle condizioni di neo-schiavitù. E le polizie -tranne gli operatori non fascisti né razzisti che talvolta sfuggono ai condizionamenti dai vertici- agiscono come per dimostrare che il trattamento violento è riservato solo ai foresti, ai marginali, agli intollerabili e ai sovversivi. C’è un’evidente somiglianza tra gli atteggiamenti e i comportamenti di caporali, padroncini e tanti comuni cittadini che schiavizzano i lavoratori più deboli (immigrati e italiani) e quelli di quegli operatori di polizia che ogni tanto finiscono nella cronaca nera per violenze, corruzione, appropriazione indebita e altri reati ai danni di immigrati, rom e marginali in genere (l’ultimo caso clamoroso della caserma di Piacenza è eloquente).

Passando al rapporto fra polizie e potere politico mi pare che dal 1945 il caso italiano sia caratterizzato dalla particolare autonomia concessa ai vertici delle polizie in cambio della fedeltà al potere politico con la contestuale concessione di alcuni privilegi. Dopo la fine della cosiddetta prima repubblica, cioè dal 1990 in poi, questo rapporto sembra evolvere nel senso di un’ulteriore autonomizzazione delle polizie anche perché i referenti politici sono indeboliti, instabili e poco credibili (il capo dello Stato sicuramente sorveglia con attenzione ma per lo più appare del tutto assente). Si accentua così sempre più la completa mancanza di controllo politico sulle polizie e le loro pratiche. I politici non osano “mettere il naso” dentro le polizie e la quasi totalità dei parlamentari non sa nulla del loro funzionamento e in linea di massima prevale sempre l’atteggiamento ossequioso. I privilegi di cui godono le polizie sono quindi indiscutibilmente confermati: innanzitutto il diritto all’impunità, fatto dimostrato in maniera più che eclatante nel caso dei responsabili delle torture e violenze durante i fatti del G8 di Genova e anche in altri casi, tutti approdati persino a promozioni. La forte autonomia delle polizie esclude anche la loro più elementare razionalizzazione democratica, per cui continuano ad avere un assetto del tutto assurdo che, tra le altre cose, dà luogo a sprechi di forze e mezzi, duplicazioni e sovrapposizioni di strutture e compiti e spesso un notevole eccesso di operatori. Se i cittadini italiani potessero far valere nei confronti delle polizie i criteri e logiche della produttività neoliberista imposta in tutti i settori si avrebbe un bel terremoto istituzionale. Ma, appunto, alle polizie è concessa l’autogestione perché consente di imporre agli operatori quei criteri e quelle logiche che non si applicano ai loro vertici. Però questi cercano di imporre agli operatori una produttività finalizzata alla gestione repressiva degli illegalismi intollerabili, cioè quelli che riguardano immigrati, rom, marginali e sovversivi (per esempio con “fare numeri”, cioè più arresti, più denunce, più controlli).

Può esistere una polizia democratica? Questa è la domanda che mi rivolgono spesso tanti sinceri democratici. Rispondo: può esistere uno Stato effettivamente democratico sin quando persiste il dominio di pochi a danno di molti?

 

Salvatore Palidda – gia docente di sociologia all’Università di Genova. Fra le sue opere principali “Polizia Postmoderna” (2000), “Mobilità umane” (2008), Sociologia e antisociologia (2016), “Resistenze ai disastri sanitari, ambientali e economici nel Mediterraneo” (2018)