È passato un anno dalla morte di Ugo Russo e i genitori ancora non sanno cos’è successo esattamente al figlio. Avevano protestato a luglio, ieri sono tornati in piazza, a Napoli, in corteo (presente anche Ascanio Celestini) per chiedere «quanto conta la vita di un ragazzo».
Ugo Russo aveva 15 anni e viveva in vico Paradiso, tra Montesanto e via Toledo. La notte dello scorso 29 febbraio con un amico tentò con una pistola giocattolo di rapinare del Rolex un altro ragazzo di 23 anni, che era in auto con la fidanzata. Un ragazzo che di mestiere fa il carabiniere ed era in licenza: ha estratto la pistola e ha sparato. Ugo è morto poco dopo, il carabiniere è indagato per omicidio volontario.
«L’autopsia è stata effettuata l’8 marzo e mai depositata, da un anno nessuna informazione. Dieci giorni fa la procura ha rigettato la nostra richiesta di riavere i vestiti di Ugo – spiega il padre, Vincenzo Russo -. Sono ancora in fase di indagini tecnico-scientifiche. In pratica non abbiamo nessuna certezza dalla procura, è come se mio figlio fosse morto ieri». Eppure si tratta di un caso tragico ma non oscuro. Le telecamere della zona hanno persino ripreso il corpo di Ugo accasciato sul motorino, esanime. «I nostri periti ci hanno detto che è stato colpito frontalmente due volte, al petto e alla spalla, a distanza ravvicinata. Il terzo colpo, quello mortale, dietro la testa a 6, 7 metri dall’auto, mentre stava scappando. Ha lasciato Ugo a terra e ha inseguito l’amico di mio figlio sparando altre due volte».
Che ragazzo era Ugo lo racconta il padre: «Era intelligentissimo ma faceva fatica ad applicarsi, i professori lo sapevano che aveva le potenzialità ma non l’hanno aiutato, così lo hanno allontanato. Non è neppure colpa loro, è che non ce la fanno». Con la terza media, ha provato a fare il barista: dalle 8 alle 20 per 50 euro a settimana cioè 7 euro al giorno. L’apprendista muratore, quello che porta i sacchi di cemento e prende meno della solita paga a nero. Il fattorino: consegna di pomodori dal fruttivendolo alle trattorie. Il suo sogno era fare il pizzaiolo via da Napoli. Nel quartiere, con l’autorizzazione del condominio, è stato realizzato un murales che chiede «verità e giustizia», adesso il comune vuole rimuoverlo. Sulla stampa è finito sotto accusa come «murales dei clan».
«Questa storia tocca la tenuta delle garanzie democratiche – ribattono gli attivisti che hanno avviato una raccolta firme per impedirne la cancellazione -. Che non riguardano solo chi “non sbaglia mai”. L’intera comunità dovrebbe interrogarsi sulle opportunità negate ai tanti Ugo Russo di costruirsi una strada, realizzare i propri diritti. Ragazzi dimenticati dalla politica, oggetto di facili retoriche».
Il padre spiega: «Vorremmo creare un’associazione per i ragazzi del quartiere, per dare loro un’opportunità di lavoro, sport, studio ma anche in questo caso finiamo in faccia a un muro. Ma la prima cosa che vogliamo è sapere la verità. Mio figlio aveva 15 anni e una vita tutta in salita davanti, in un quartiere dimenticato dalle istituzioni. Anche da morto lo trattano come se non contasse nulla». |