Ricordiamo che nel febbraio 2012 i due militari italiani (cosiddetti marò) Salvatore Girone e Massimiliano Latorre – di scorta al trasporto civile privato sulla Enrica Lexie, una nave di imprese italiane – spararono du un piccolo peschereccio uccidendo i due pescatori indiani Ajeesh Pink e Valentine Jelastine.
I due marò avevano l’ordine di aprire il fuoco non appena vedevano avvicinarsi un’imbarcazione che in quella zona era sospettata di essere dei pirati che abbordano navi per ottenere riscatto. Come si scoprì subito si trattava invece di due poveri pescatori. I due marò furono arrestati dalla polizia indiana e accusati di omicidio. La vicenda suscitò in Italia una delirante campagna nazionalista, di tipo neocolonialista: si pretendeva che l’opinione pubblica all’unisono reclamasse la liberazione dei due marò che avrebbero fatto il loro “sacrosanto dovere”! L’impegno e le spese dello Stato italiano per far concedere ai due marò la libertà e il diritto di rientrare in Italia furono senza limiti.
Ed ecco l’epilogo: il tribunale indiano ha accettato il “patteggiamento” in base al quale l’Italia verserà 100 milioni di rupie (*) all’India che teoricamente dovrebbe darli ai familiari delle vittime. Si sa che dietro questo accordo ci sono ben altri scambi: Fincantieri costruirà con CLS – Cochin Shipyard Limited, primo costruttore navale indiano – alcune navi da guerra e probabilmente Leonardo intesse altre intese approfittando dello scandalo scoppiato in Francia con la scoperta del Rafale papers, ossia le tangenti date agli indiani per acquistare armi francesi sia durante la presidenza Holland sia con Macron.
Ma perché lo Stato italiano (quindi noi contribuenti) deve pagare per l’assoluzione dei due marò se questi hanno commesso un omicidio e oltretutto hanno agito per conto di interessi privati? E’ forse un dovere neocoloniale che tutti i cittadini italiani devono condividere sostenendo le spese di protezione degli interessi e delle azioni di privati italiani all’estero? Così fece Minniti che mandò i servizi segreti in Libia a dare 10 milioni di dollari al capo dei trafficanti, Ahmed Dabbashi (**) e al fratello, due criminali ben noti a capo della banda “Milizia 48” per proteggere gli impianti ENI e in nome del freno alle partenze di migranti.
Come diceva Totò: «E io pago». Per la gloria del neocolonialismo italiano nel 21° secolo. |
Note:
(*) Secondo «Asia news» (ripresa ieri dai media italiani) l’Alta Corte ha stabilito che il dossier sarà chiuso quando lo Stato italiano vererà su un conto del ministero degli Esteri indiano 100 milioni di rupie (circa 1,1 milioni di euro) come risarcimento. Le famiglie dei pescatori hanno accettato l’indennizzo: la somma si aggiunge a quella (circa 245mila euro) versata in passato dall’Italia per circa 245 mila euro. Le famiglie dei due pescatori uccisi riceveranno 40 milioni di rupie ciascuna, altri 20 milioni andranno a Freddy Bosco, rimasto ferito nella sparatoria. Nel luglio 2020, il Tribunale arbitrale internazionale stabilì, dopo anni di contenzioso fra Italia e India, che i due fucilieri di Marina dovessero essere processati in Italia perché godevano di «immunità funzionale» ma che l’Italia avrebbe dovuto risarcire la perdita di vite umane più i danni materiali e morali inflitti agli altri membri dell’equipaggio del peschereccio.
(**) Ahmed – ma il nome è trascritto anche come Ahmad – al Dabbashi, detto “al Ammu” è descritto dai media italiani come uno fra i più spietati trafficanti di migranti nel Mediterraneo. |