Subordinare la liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo ostativo alla collaborazione ostativa è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tuttavia, l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata ed è pertanto compito del Parlamento proporre le modifiche legislative necessarie per dirimere la questione.
Lo ha stabilito pochi minuti fa la Corte costituzionale, che ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di Cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale.
La vigente disciplina prevede che alla libertà condizionale possano accedere tutti i detenuti che abbiano trascorso almeno 26 anni in carcere, ma non coloro condannati per reati come terrorismo e mafia, a meno che non decidano di collaborare con la giustizia, come previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario.
I giudici, secondo cui tale disciplina entrerebbe in contrasto con la Costituzione e la Convenzione, hanno stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi. |