Il nostro Paese ha appena celebrato i vent’anni dal G8 di Genova ricordando sui siti, sui giornali, sulle riviste e nelle televisioni la morte di Carlo Giuliani, le cariche ingiustificate e violente dei carabinieri e dei poliziotti, gli scontri di quei tre caldissimi giorni di luglio, le torture alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/19/ho-visto-genova-due-volte/). I ricordi sono ancora più vivi e presenti oggi, dopo aver visto i video dei pestaggi dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua a Vetere da parte delle guardie carcerarie solo un anno fa (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/05/%e2%80%8bla-macelleria-di-santa-maria-capua-vetere-e-le-sue-radici/).
Esplosioni immotivate e imprevedibili di violenza, errori di gestione, deviazioni di poche mele marce? Negli ultimi vent’anni sono stati tanti gli episodi nei quali poliziotti, carabinieri, guardie carcerarie sono stati coinvolti in atti di violenza soprattutto su migranti, giovani donne, piccoli spacciatori e tossicodipendenti, carcerati per reati minori: in alcuni casi intere caserme di carabinieri, come a Piacenza, si sono trasformate in vere e proprie organizzazioni criminali. Ma anche nei vent’anni precedenti non sono mancati esempi analoghi: basti pensare alla “banda della Uno bianca” che ha ucciso decine di persone e che era formata per buona parte da agenti di pubblica sicurezza in servizio.
Ancora e sempre poche mele marce? In realtà la polizia, l’arma dei carabinieri, la guardia di finanza, le guardie carcerarie sono strutture fortemente gerarchizzate, organizzate militarmente: non è credibile che i livelli inferiori di queste organizzazioni possano prendere delle iniziative senza che queste vengano più o meno esplicitamente autorizzate dai livelli superiori delle gerarchie. E ancora non è possibile che comportamenti violenti e illegali dei singoli e dei gruppi si realizzino, senza essere ispirati da un “cultura” che proviene dai livelli organizzativi più elevati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/19/il-virus-della-violenza-di-stato-la-lezione-di-genova/).
Se dagli anni duemila si torna indietro agli anni ’80 e ’70 del secolo scorso, non si può non ricordare il ruolo dei vertici del Ministero degli interni, dei responsabili delle varie forze di polizia e dei servizi di sicurezza all’interno della “strategia della tensione” e nella conduzione ambigua della lotta alle formazioni terroristiche, sia di destra che di sinistra. Approfondite inchieste giornalistiche, libri documentatissimi, chiare sentenze della magistratura, pur con le grandi ambiguità tipiche del nostro Paese, hanno chiarito questo ruolo: quello cioè di contrasto di tutte le forze politiche e sociali di sinistra che si proponessero un significativo cambiamento dell’organizzazione economica e sociale del nostro paese e della sua collocazione militare all’interno dell’alleanza atlantica. D’altra parte, molti degli uomini che dirigevano negli anni ’70 i vertici di quelle organizzazioni provenivano da un’esplicita collocazione all’interno degli apparati polizieschi del fascismo e della repubblica di Salò: si erano “qualificati” in particolare sul confine orientale ed erano infatti, al termine del conflitto, segnalati come criminali di guerra dalle autorità jugoslave. Invece di essere consegnati alla giustizia furono promossi a compiti superiori e da lì ispirarono la “cultura” antidemocratica e anticostituzionale largamente presente nelle strutture di comando degli apparati di forza della Repubblica.
Negli oltre 70 anni trascorsi da allora, quella “cultura” è rimasta il punto di riferimento di tutti coloro che hanno svolto un ruolo di gestione dei servizi di sicurezza e delle varie polizie; ma come è naturale che sia, essa si è diffusa fino alla base delle diverse organizzazioni. Come stupirsi allora che i poliziotti della Diaz cantassero inni fascisti mentre percuotevano i manifestanti inermi? Come sorprendersi perché poliziotti, carabinieri di vent’anni fa e guardie carcerarie dei giorni d’oggi si siano accaniti come squadre di picchiatori sulle loro vittime indifese? Come interrogarsi sull’incapacità delle forze di polizia di far fronte alle azioni distruttive del “blocco nero” nelle vie di Genova di vent’anni fa, senza ricordarsi il lasciar fare di quelle stesse forze nei confronti delle organizzazioni terroristiche dalla fine degli anni Settanta fino alla metà degli anni Ottanta dello scorso secolo?
In tutte queste occasioni nessuno dei responsabili è mai stato anche solo sanzionato; anzi generalmente si è assistito a una progressione di carriera (per merito?); in tempi più recenti alla carriera si sono aggiunti addirittura cospicui benefici economici attraverso prestigiosi incarichi nell’industria militare nazionale (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/01/marco-minniti-approda-a-leonardo/).
Forse, dunque, più che di mele marce si dovrebbe parlare di un frutteto di meli marci; le mele buone bisognerebbe cercarle e aiutarle a prendere coraggio. Negli anni Settanta qualcuno ci provò: nacque la sindacalizzazione della polizia e qualche prima forma di rappresentanza democratica anche negli altri apparati; ma la sconfitta del movimento operaio e della sinistra politica non permise di consolidare e sviluppare quei primi passi.
È da lì che bisognerebbe ripartire. |