Il 15 dicembre si svolgerà l’udienza preliminare per i fatti di Santa Maria Capua Vetere. In aula ci sarà anche l’associazione Antigone come parte offesa e chiederà di costituirsi parte civile. Com’è noto, il 9 settembre scorso è arrivata la chiusura delle indagini da parte della Procura della Repubblica, notificata a 120 tra agenti, funzionari di Polizia Penitenziaria e dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria.
L’associazione Antigone tra i soggetti offesi per i pestaggi a Santa Maria Capua Vetere
L’atto depositato inserisce l’associazione Antigone tra i soggetti offesi, assieme al Garante nazionale delle persone private della libertà e a “Il carcere possibile Onlus”. Era stata proprio Antigone a presentare il 20 aprile, a pochi giorni dagli eventi, un esposto in Procura nel quale denunciava quanto svariati famigliari di persone ristrette a Santa Maria Capua Vetere avevano raccontato agli avvocati dell’associazione, con ricostruzioni tutte coerenti tra di loro e dalle quali emergeva la drammatica portata dell’operazione punitiva. Contestualmente, Antigone aveva avvisato gli allora vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Lo scorso giugno ben 52 persone, tra le quali il provveditore all’Amministrazione Penitenziaria della Campania, erano stati raggiunti da misure cautelari. L’atto di chiusura delle indagini è ingente per mole e contenuti. Sono 176 pagine, nelle quali si trovano gli elenchi delle persone indagate e delle vittime. Le prime sono 120, cui devono aggiungersi tutti coloro che ancora non sono stati identificati a causa delle protezioni facciali che si possono vedere nel video diffuso nei mesi scorsi dalla stampa. Le seconde sono 177. Numeri che sono il segno dell’enormità dell’operazione, fatta passare come un ripristino dell’ordine ma in realtà avvenuta quando la pacifica rivolta del giorno precedente, nella quale i detenuti chiedevano mascherine per proteggersi dal Covid, era già del tutto rientrata.
L’associazione Antigone ha scoperto che episodi violenti si sono verificati anche 10/15 giorni prima
L’associazione Antigone, scorrendo le pagine dell’atto, scopre che comportamenti violenti si erano verificati in quel carcere già «circa 15/10 giorni prima del 6 aprile», quando «a seguito di una lite avvenuta tra due detenuti ristretti presso la sesta sezione del Reparto Nilo, 50 agenti circa della polizia penitenziaria, muniti di scudi e manganelli (…), sopravvenivano e picchiavano indistintamente i detenuti», e in particolare un uomo «mentre questi cercava di proteggere un detenuto più anziano».
Le accuse: dall’abuso di autorità, al falso, al depistaggio, alla cooperazione in omicidio colposo, alle lesioni, alla tortura
Il documento si divide in 85 capi, ciascuno dei quali riguarda — in maniera intrecciata e sovrapposta — alcune delle persone indagate e si riferisce a specifiche fattispecie di reato, dall’abuso di autorità, al falso, al depistaggio, alla cooperazione in omicidio colposo, alle lesioni, alla tortura. Un capo di imputazione, quest’ultimo, già più volte utilizzato dai magistrati dal 2017, anno di entrata in vigore della legge che lo ha introdotto nel codice penale italiano, a oggi.
Si legge nel documento: «…con una pluralità di violenze, minacce gravi ed azioni crudeli, contrarie alla dignità e al pudore delle persone recluse, degradanti ed inumane, prolungatesi per circa quattro ore del giorno 6 aprile 2020, consistite in percosse, pestaggi, lesioni — attuate con colpi di manganello, calci schiaffi, pugni e ginocchiate, costrizioni ad inginocchiamento e prostrazione, induzione a rimanere in piedi per un tempo prolungato, faccia al muro, ovvero inginocchiati al muro — e connotate da imposizione di condotte umilianti (quali, ad esempio, l’obbligo della rasatura di barba e capelli)… » |