Si parla della Pm Pedrotta, una donna che riesce a descrivere un pugno in faccia a una ragazza da parte di un poliziotto come il risultato scontato dell’ insolenza da parte di lei e come una piccola sbavatura nella professionalità che ci si dovrebbe aspettare da parte di un agente di polizia di trentennale esperienza.
Secondo lei Maya doveva per forza aver fatto qualcosa per essere stata portata in commissariato quella notte e il tentativo raffazzonato utilizzato per giustificare l’agire delle forze di polizia è quello di rappresentare Maya come una folle provocatrice. Questi sono i termini con cui si descrive il fatto che si fosse soffermata a vedere cosa stavano facendo due poliziotti che avevano fermato dei ragazzi stranieri per strada.
Per questo motivo Maya è stata poi a sua volta presa dai polsi, trascinata dentro la volante, privata del suo telefono fino a essere rinchiusa in commissariato per svariate ore. A quanto pare per la giustizia non è legittimo verificare, o anche solo osservare, in un luogo pubblico l’operato delle forze dell’ordine. Anzi, secondo l’avvocato del poliziotto un “cittadino ha diritto di verificare l’operato.. ma fino ad un certo punto”. Infatti sottolinea anche che “se fosse andata a casa non sarebbe successo”.
Nel commissariato Maya era circondata da un branco di poliziotti che la insultavano. Qui uno di questi ha alzato la mano sul suo volto e la Pm spiega questo gesto come se dovesse proteggersi. Per proteggere se stesso. La pm si chiede a quel punto come si sia sentito il poliziotto quando Maya seduta di fronte a lui ha accavallato la gamba, se si fosse sentito in pericolo per questo. Senza sapere più come giustificare un abuso in divisa la pm si appella a una spiegazione ridicola, secondo lei il tutto è stato conseguenza di un “fraintendimento” tra i due. Allo stesso tempo però, tutto viene narrato sulle note del solito leitmotiv “per evitare che si facesse del male”. Ossia, ti picchio per evitare che tu ti faccia del male.
Ci sono gravi incongruenze nelle deposizioni dei poliziotti presenti quella sera, viene negata l’evidenza di ciò che si vede nei video del commissariato, viene paragonato un pugno in faccia a una mano aperta sul suo volto. Un pugno in una carezza? Secondo l’avvocato a difesa del poliziotto possiamo stare tranquille, infatti nella sua arringa dice chiaramente “Possiamo dire con tranquillità che il mio assistito non ha tirato un pugno alla Bosser anche perché se lo avesse fatto le avrebbe fatto ben più male (…) e se proprio l’avessero voluta picchiare avrebbero scelto un altro commissariato senza telecamere”.
La pm pedrotta chiede 6 mesi per oltraggio a Maya in cambio di un 1 mese e una tiratina d’orecchie al poliziotto. Una tiratina d’orecchie che gli è già valsa una promozione da vice sovrintendente a sovrintendente capo.
È sotto la luce del sole che la polizia si senta legittimata a abusare del proprio potere grazie all’atteggiamento di paternalistica indulgenza e comprensione che hanno i rappresentanti dell’autorità giudiziaria (la pm pedrotta in questo caso) e che questo si ripeta sistematicamente in questa storia. Maya viene privata della libertà perché ingiustamente portata con forza in un commissariato e in quelle stanze avvengono delle violenze. Tutto questo viene denunciato e le udienze di questo processo dimostrano l’esistenza incancrenita di un sistema di potere infimo, vergognoso, atto solo a criminalizzare sistematicamente chi sceglie di non abbassare la testa e di lottare.
La gravissima sproporzione delle richieste di pena della pm ci riempie di rabbia e conferma quelle istanze che ci hanno fatto scendere davanti al “palazzo di giustizia” in questi mesi: il tribunale fa parte pienamente di quella catena di violenza che si devono affrontare quando si denuncia, e di perpetrare sistematicamente il meccanismo di ribaltamento da donna picchiata a donna che se l’è cercata.
Sapremo cosa deciderà la giudice il 17 dicembre, siamo abituate a non sperare nella giustizia ma ci vedremo ancora una volta insieme ad affrontarla! |