Quando arrivò il Covid nelle carceri e Rita Bernardini iniziò il primo di una serie di scioperi della fame per chiedere un atto di clemenza, a sostegno della sua iniziativa, con Elisa Torresin creammo un programma su Facebook. In diretta tutte le sere per un anno, abbiamo dato voce a ex detenuti, familiari, avvocati, cappellani, agenti della penitenziaria, volontari.
Ci contattò anche Luigi Melino di Foggia. Era stato appena scarcerato e affidato in prova ai servizi sociali. Detenuto modello, autore di poesie, innamoratissimo della moglie Carmela, nonviolento, animo sensibile, aveva capito i suoi errori e voleva rifarsi una vita. Luigi, però, aveva un “problema”: voleva sensibilizzare sul tema carcere, denunciare ingiustizie e violenze che aveva visto o subito. Lui era a Foggia quando ci fu la rivolta i primi di marzo del 2020 e, a suo dire, anche lì ci fu una spedizione punitiva come quella di Santa Maria Capua Vetere con cui Foggia condivideva la direttrice. Luigi ci raccontò come andarono le cose: non aveva prove, aveva paura a parlare, ma era molto credibile. Poi scoppiò il caso del carcere campano, uscirono i video, le testimonianze e, sorpresa, era tutto esattamente uguale a quello che Luigi ci aveva privatamente descritto molto prima che fosse di dominio pubblico.
Fino a quel momento Luigi si era “trattenuto”: aveva partecipato al nostro programma, alla tombola di capodanno di beneficienza per i detenuti, a tutti i digiuni a staffetta che coordinavamo a supporto di Rita Bernardini. Ogni volta che qualche parente di detenuto gli parlava di un abuso, lui lo metteva in contatto con noi. Il lavoro umile che faceva grazie ai servizi sociali lo teneva in indigenza economica, il suo impegno però era pieno di cuore ed esemplare il suo percorso di reinserimento e di aiuto al prossimo. Sembrerebbe una storia a lieto fine, ma non lo è.
Pochi giorni fa Luigi è stato arrestato, ha perso il suo affidamento in prova per un motivo assurdo. Gli hanno contestato reati come diffamazione e istigazione a delinquere, che sarebbero stati consumati tramite video sui social nei quali faceva solo quello che noi facciamo sempre, cioè denunciare gli abusi sui detenuti, invitare al rispetto della Costituzione! Perché, dopo Santa Maria Capua, Luigi non si è più trattenuto, e in un paio di video su tiktok ha raccontato le botte che pure lui ha preso dai GOM a Foggia.
Ho paura, diceva, temo ripercussioni, ma qualcuno lo deve fare, se no, queste cose non smetteranno. Questa, quindi, sarebbe la diffamazione: raccontare le violenze subite perché altri non le subiscano più. E l’istigazione a delinquere? Ancora più assurdo: Luigi avrebbe usato i social per chiedere ai detenuti che subivano abusi di denunciarli alla giustizia, per invitare i loro familiari ad aderire agli scioperi della fame di Rita. Stava anche provando a organizzare una manifestazione pacifica per i diritti dei detenuti. Le cose che fa chi si occupa di carcere. Ma noi possiamo, anche se diamo fastidio: siamo incensurati, politici, giornalisti, avvocati, persone perbene. Lui non può: è un detenuto, e deve stare zitto. Non si deve permettere.
Il primo giudice al quale fu portata la richiesta di carcerazione fatta dalla direttrice del carcere di Foggia, letta la memoria difensiva dell’avvocato Michele Sodrio, disse che non si ravvisava nessun reato, che il comportamento di Luigi stava dentro il legittimo diritto di critica.
Peccato che l’incartamento sia poi passato a un collega, che invece ha deciso l’arresto di una persona che sul lavoro era stimata, che si stava rifacendo una vita onesta e aveva in programma un figlio con la sua Carmela. Questa ingiustizia non può passare inosservata, perché se Luigi deve stare in carcere per aver denunciato le condizioni inumane dei detenuti e invitato al rispetto della Costituzione e alla partecipazione a iniziative nonviolente, allora in carcere dobbiamo starci tutti noi. |