L’inchiesta per i fatti accaduti nel carcere l’8 marzo 2020 continua e la proroga delle indagini indica la necessità di continuare con gli approfondimenti. Intanto il tempo passa e ormai sono già trascorsi due anni dai fatti.
La procura di Modena ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti della polizia penitenziaria che devono rispondere dei reati di tortura e di lesioni aggravate per i fatti accaduti nel carcere di Modena, l’8 marzo 2020. Tutti quanti sono ancora in servizio nello stesso carcere. I nomi degli indagati sono contenuti nella richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari, presentata dalla procura locale e firmata dal procuratore Luca Masini e dalla magistrata Lucia De Santis. Tra gli indagati c’è anche un sindacalista. Le persone che avrebbero subìto le presunte violenze sono invece sette, individuate dalla procura come persone offese.
Devastazione e violenze – All’inizio della fase più acuta della pandemia da Covid-19, nelle carceri italiane ci sono stati scontri per l’assenza di mascherine e dispositivi di sicurezza. Così è successo anche a Modena, dove decine di detenuti hanno inscenato una rivolta violenta, contenuta dai poliziotti penitenziari. La procura ha aperto tre fascicoli. Uno, con le indagini ancora in corso, riguarda i danni e le devastazioni compiute dai detenuti. Un altro si è concentrato sulla morte di nove reclusi per overdose di metadone. Ma è stato definitivamente archiviato, nonostante l’opposizione dell’avvocata di Antigone, Simona Filippi, che ha poi presentato un ricorso alla Corte internazionale dei diritti dell’uomo.
L’ultimo fascicolo si sta occupando delle violenze che i poliziotti penitenziari avrebbero compiuto durante e dopo la rivolta a Modena, ma anche ad Ascoli, dove alcuni reclusi sono stati trasferiti la sera dell’8 marzo. Anche la procura marchigiana sta indagando sulle violenze. Tutto è nato da un esposto presentato dagli stessi detenuti che sono stati chiamati a parlare come persone informate sui fatti. Durante le testimonianze rese ai magistrati modenesi, i detenuti hanno riconosciuto diversi agenti, consultando un album fotografico che gli inquirenti avevano sottoposto loro durante un colloquio. L’indagine in un primo momento era contro ignoti e ha ottenuto una prima proroga a settembre del 2021. A fine ottobre dello stesso anno, gli inquirenti hanno iscritto i poliziotti penitenziari nel registro degli indagati. A fine aprile è stata chiesta una proroga al giudice per le indagini preliminari per un approfondimento investigativo, motivato dalla necessità di continuare le verifiche.
La proroga delle indagini – C’è dunque bisogno di più tempo, ma le due pagine di richiesta di proroga rivelano, per la prima volta, i nomi degli indagati. Le persone offese sono sette: tra di loro c’è anche Claudio Cipriani, un ex militare che in cento pagine di testimonianza ha raccontato le violenze che ha visto nel carcere di Modena e Ascoli dove è stato detenuto. I poliziotti penitenziari coinvolti nell’inchiesta sono cinque e sono tutti ancora in servizio nel carcere di Modena. Dal ministero fanno sapere che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria attende gli atti della procura di Modena per fare qualsiasi valutazione.
I primi tre sono indagati per tortura e per lesioni aggravate ai danni di Hicham Aboumejd. Sono difesi dall’avvocata Angela Pigati, ma in questa fase hanno deciso di non rilasciare dichiarazioni. Gli altri due sono indagati per tortura e per lesioni aggravate ai danni di Hamza Zaidi. Uno degli indagati è un commissario e componente della segreteria provinciale modenese di un sindacato della polizia penitenziaria. “I miei assistiti sono stati ascoltati, abbiamo massima fiducia nella giustizia perché sono totalmente estranei alle contestazioni mosse e certi di dimostrare la correttezza delle loro condotte”, dice ora l’avvocato Cosimo Zaccaria che li difende.
I troppi dubbi – Le due pagine di proroga delle indagini preliminari non fugano uno dei tanti dubbi che riguarda le vicende accadute a Modena in quelle ore: l’esistenza o meno di immagini video in grado di documentare i fatti. “Non ci sono riscontri formali sulla presenza di registrazioni delle telecamere. Alcuni frammenti, contenuti in un’annotazione, fanno pensare che a Modena ci fossero delle telecamere accese. Ma da un altro fascicolo sembrerebbe che uno dei luoghi dove ci sarebbero state le violenze non fosse videosorvegliato”, ha detto a Domani Simona Filippi qualche settimana fa. Le stesse domande sono state rivolte al procuratore capo di Modena, Luca Masini, che però non ha fornito risposte. |