Il fascicolo non c’è ancora ma che i tre agenti - che hanno toturato Stefano Gugliotta dopo la finale di Coppa Italia vinta dall’Inter all’Olimico - saranno indagati per lesioni volontarie sembra più di una voce. I tre sarebbero stati identificati dai video e i loro nomi viaggerebbero verso Piazzale Clodio. Anche il capo della polizia, Manganelli, ha disposto un’indagine interna a tutela della rispettabilità del Viminale. Se ne occuperà il questore di Roma. Quando l’hanno portato in cella gli hanno messo sotto il muso un foglio con una casella già sbarrata da una X. Serviva a dimostrare che avrebbe rifiutato visite mediche supplementari. Stefano Gugliotta, il venticinquenne arrestato mercoledì nel quartiere Flaminio di Roma, a ridosso dell’Olimpico, conferma la sua versione a un parlamentare che l’è andato a trovare a Regina Coeli dov’è ancora rinchiuso nonostante un video dei suoi vicini di casa racconti una storia del tutto diversa da quella inventata dalla Celere. Di resistenza, violenza e oltraggio nemmeno l’ombra. A condannarlo sarebbe stata, forse, la giacca rossa simile a quella di qualche ultrà nel mirino dei gladiatori in divisa. Solo tre settimane fa, il comitato prevenzione tortura - dopo una missione nel nostro Paese - aveva denunciato al Consiglio d’Europa come in Italia stia crescendo l’impunità verso i reati commessi dalle forze dell’ordine. Gugliotta, dal suo letto nell’infermeria del carcere, non riesce ancora a capire perché gli si siano scagliati addosso. Qualche reduce della scuola Diaz, dove operò un analogo reparto, glielo potrebbe spiegare. Fra una settimana ci sarà a Genova la sentenza d’appello per quella mole di reati costituita dal pestaggio e dall’arresto, assolutamente illegittimi, di una novantina di persone inermi e incensurate. Come Gugliotta cui non arriveranno mai le scuse della squadretta che lo ha conciato per le feste in una “normale” caccia all’uomo a margine di una partita di pallone che lui neanche aveva visto: cercava un locale con suo cugino e altri amici ma lungo il tragitto sarebbe stato avvicinato da un agente che lo avrebbe subito colpito. Avevano la bava alla bocca mentre lo pestavano, raccontano i testimoni, almeno 14, pronti a ripeterlo al giudice. Stefano è agitato, non riesce a dormire da venerdì sera. Dopo il trattamento Diaz, si trova nelle stesse condizioni di Stefano Cucchi sei mesi prima. Sua madre, almeno, ha potuto vederlo ed è preoccupata da una ferita che ha sulla testa. Suo figlio ha perso un dente, ha lividi per tutto il corpo e i punti sul labbro spaccato. «A preoccupare sono soprattutto le condizioni psichiche dopo tre giorni di isolamento. Il caso Cucchi insegna quanto certi segnali non debbano essere sottovalutati», avverte Ivano Peduzzi, capogruppo Fds in Regione. Il caso buca gli schermi perché Gugliotta è uno “normale”. «La violenza di persone con la divisa c’è sempre stata - ricorda Haidi Giuliani, la mamma di Carlo, quello che non ha avuto nemmeno il riconoscimento post-mortem di un processo (le immagini parlavano da sole anche nel suo caso) - ma solitamente quella violenza si rivolgeva a persone senza difesa, migranti, tossicodipendenti». Quand’era senatrice del Prc, Haidi è stata tra le proponenti di un disegno di legge che prevedeva un segno alfanumerico sulle tute di chi agisca travisato in ordine pubblico. Proposta ignorata dalla pletora di politici bipartisan che ieri si affannavano a interrogare e sdegnarsi sulle agenzie. Haidi lo sa che la stragrande maggioranza di carabinieri e poliziotti fanno il loro lavoro onestamente ma da nove anni si chiede tra loro nessuno denunci mai i colleghi mele-marce.Gugliotta aspetta il Riesame e spera. Intanto, la commissione Errori sanitari di Montecitorio, la “gemella” della commissione sul Ssn di Palazzo Madama, quella che ha svolto l’inchiesta su Cucchi, ha richiesto la cartella clinica di Gugliotta e ha chiesto carteggi al Dap e alla presidente Polverini da cui dipende la sanità del Lazio. |