45 gli indagati tra appartenenti alla polizia penitenziaria, medici, funzionari e direttori pro-tempore del carcere di Ivrea in merito ai pestaggi subiti dai detenuti della casa circondariale. I reati ipotizzati sono quelli di tortura con violenze fisiche e psichiche nei confronti di numerosi detenuti, falso in atto pubblico e reati collegati. |
Dopo l’inchiesta della procura generale di Torino chiusa a settembre con 25 indagati per una decina di episodi di violenze in carcere risalenti al 2016 e al 2017, un’altra indagine, stavolta della procura eporediese ha portato a decine di perquisizioni, stamattina, 22 novembre, a carico di altrettanti tra agenti, funzionari e dirigenti della polizia penitenziaria ed ex direttori.
Stavolta si indaga per tortura, gli indagati sono in totale 45 e stamattina i carabinieri di Torino e di Ivrea, su delega del procuratore capo, hanno eseguito 36 perquisizioni ad altrettanti iscritti nel registro degli indagati. Le ipotesi di reato contestate riguardano fatti che sarebbero avvenuti tra il 2018 e l’estate scorsa. Le presunte torture contestate sarebbero state connotate da violenze fisiche e psichiche nei confronti di numerosi detenuti, falso in atto pubblico e reati collegati. “Le indagini finora svolte – scrive la procura di Ivrea in una nota – hanno consentito di raccogliere precisi e gravi elementi probatori oggettivi che hanno fornito riscontro alle denunce prodotte nel corso degli anni, permettendo altresì di individuare la c.d. “cella liscia” nonché il c.d. “acquario”, celle entro le quali i detenuti venivano picchiati e rinchiusi in isolamento senza poter avere contatti con alcuno, nemmeno con i loro difensori”. Le perquisizioni sono avvenute perché “i reati risultavano tuttora in corso, situazione che ha reso ineludibile l’intervento degli inquirenti”.
“Con queste 45 persone sono oltre 200 gli operatori penitenziari attualmente indagati, imputati o già passati in giudicato all’interno di procedimenti che riguardano anche episodi di tortura e violenza avvenuti nelle carceri italiane. Un dato che ci racconta di un problema evidente che si riscontra negli istituti di pena dove, con troppa frequenza, da nord a sud emergono fatti di questo tipo“. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. “L’approvazione della legge sulla tortura, avvenuta nel 2017, ha certamente influito positivamente sull’emersione di queste condotte, aumentando la predisposizione dei detenuti a denunciarle e l’attenzione che la magistratura pone nell’indagarle e perseguirle. Tuttavia, ciò che occorre – continua Gonnella – è un attività di prevenzione che dovrebbe portare ad investire risorse nella formazione degli agenti penitenziari, nella costruzione di una vita interna agli istituti che sia più distesa, contrastando il sovraffollamento penitenziario e con i detenuti impegnati in attività, cosa che aiuterebbe a stemperare quel clima di tensione che si registra e che ravvisiamo in forma crescente anche con le visite del nostro osservatorio. Si dovrebbero poi offrire maggiori riconoscimenti per coloro che, in carcere, lavorano nel pieno rispetto delle proprie funzioni e della dignità della persona. Cosa che riguarda, occorre ricordarlo, la maggior parte degli operatori“. |