Sono 45 gli indagati tra appartenenti alla polizia penitenziaria, medici, funzionari e direttori pro-tempore del carcere di Ivrea nell’ambito di una nuova inchiesta, coordinata dalla procura, in merito ai pestaggi subiti dai detenuti della casa circondariale.
I reati ipotizzati sono quelli di tortura con violenze fisiche e psichiche nei confronti di numerosi detenuti, falso in atto pubblico e reati collegati. La nuova indagine, che segue quella della Procura Generale riferita a fatti del 2015, riguarda diversi episodi dell’ultimo biennio, fino all’estate 2022. Le indagini hanno permesso di raccogliere numerosi elementi a conferma delle denunce presentate nel corso degli anni, anche in merito all’esistenza di una “cella liscia” e di una cella “acquario”, all’interno delle quali i detenuti venivano picchiati e rinchiusi in isolamento senza poter avere contatti nemmeno con i legali.
15 persone sono invece state indagate per le presunte torture ai danni di un detenuto avvenute nel carcere di Bari. Di queste, 9 agenti penitenziari sono accusati di “concorso in tortura” e tre di loro sono stati posti agli arresti domiciliari.
Inoltre il 7 novembre si è aperto davanti alla corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, il processo a carico di 105 persone, uomini e donne dello stato, coinvolte a vario titolo nel pestaggio di stato che si è consumato nel locale carcere, il 6 aprile 2020. A processo c’è l’intera catena di comando dell’istituto di pena ‘Francesco Uccella’, gli agenti della polizia penitenziaria e l’ex provveditore regionale della Campania. Quel giorno quasi 300 poliziotti penitenziari, provenienti anche da altri istituti, sono entrati nel carcere e per oltre 4 ore hanno massacrato di botte e colpi di manganello i detenuti.
“Con queste 45 persone sono oltre 200 gli operatori penitenziari attualmente indagati, imputati o già passati in giudicato all’interno di procedimenti che riguardano anche episodi di tortura e violenza avvenuti nelle carceri italiane. Un dato che ci racconta di un problema evidente che si riscontra negli istituti di pena dove, con troppa frequenza, da nord a sud emergono fatti di questo tipo” sostiene l’Associazione Antigone che si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale.
“L’approvazione della legge sulla tortura, avvenuta nel 2017, ha certamente influito positivamente sull’emersione di queste condotte, aumentando la predisposizione dei detenuti a denunciarle e l’attenzione che la magistratura pone nell’indagarle e perseguirle. Tuttavia, ciò che occorre – sostiene Antigone – è un attività di prevenzione che dovrebbe portare ad investire risorse nella formazione degli agenti penitenziari, nella costruzione di una vita interna agli istituti che sia più distesa, contrastando il sovraffollamento penitenziario e con i detenuti impegnati in attività, cosa che aiuterebbe a stemperare quel clima di tensione che si registra e che ravvisiamo in forma crescente anche con le visite del nostro osservatorio”. |