Lo scorso martedì 10 gennaio 2023 intorno alle ore 15 nel quartiere di Pontevigodarzere a Padova, il ventitreenne Oussama Ben Rebha si trovava semplicemente in un bar in compagnia di tre amici. Dopo la tappa al bar gli stessi si avviavano verso il vicino argine del fiume Brenta ma proprio in quel momento sopraggiungeva la polizia per effettuare un controllo.
Due dei ragazzi scappano, Oussama invece – dapprima placcato da un agente – riesce a divincolarsi dalla presa e, non vedendo alcuna via di fuga, decide di gettarsi nelle acque melmose e gelide del fiume morendo per annegamento.
Oussama ha così incontrato la morte, nel Brenta, proprio come Khadim Khole che nel giugno 2021 si era tuffato nel Brenta per sfuggire all’inseguimento degli agenti del commissariato Stanga, anche quella volta competenti ad operare nella zona.
Siamo dinanzi a vite spezzate di giovani ragazzi, approdati in Italia alla ricerca di una vita disperatamente migliore, e non per brama di guadagni o di vite agiate ma di mera sopravvivenza alle guerre, alla fame, alla persecuzione.
Tanti sono i punti non risolti di quanto recentemente accaduto: la magistratura ha già avviato la macchina per accertarne i fatti, disponendo oltre che l’autopsia sul corpo anche l’assunzione delle varie testimonianze dei presenti in quel momento, alcuni dei quali parlano di utilizzo di uno sfollagente e di spray urticante oltre che di tentativi di pestaggio da parte degli agenti, accuse immediatamente smentite con comunicato ufficiale della Questura che ritiene le insinuazioni “senza alcun riscontro”.
L’unico capo di imputazione immediatamente iscritto a registro è il “duro a morire”, reato di resistenza a pubblico ufficiale commesso da quelli che si sono opposti al controllo restando – almeno loro – in vita. L’obbligatorietà della legge penale che si abbatte come una scure anche dinanzi ad una tragedia che non vede e che forse non vedrà mai colpevoli.
La colpa, tuttavia, è stata ben delineata dalla stampa locale e dai commenti dei cittadini coinvolti nel dibattito scaturito dalla cronaca.
La sempreverde frase “chi non ha nulla da nascondere non scappa” aizza gli animi e trova consenso diffuso, eppure tante sono le motivazioni per la quale quest’equazione è tutt’altro che esatta!
I nostri dispositivi normativi, infatti, criminalizzano i corpi migranti partendo dal luogo di nascita, dai documenti che non si riescono ad ottenere, dall’essere sic et simpliciter “stranieri”. Siamo dinanzi a designazioni di vere e proprie ‘classi pericolose’ senza che quest’ultime abbiano mai posto in essere un fatto di reato.
Scomodando la letteratura sul controllo dell’immigrazione, già Pickering e Weber specificavano che spesso la polizia svolge delle attività di ‘low policing’ utilizzando i poteri che gli derivano dalla legge sull’immigrazione al fine di accelerare il controllo sulle popolazioni considerate problematiche. È facendo manleva delle normative amministrative, dunque, che la polizia ottiene con facilità le strade per ‘disfarsi’ dei migranti irregolari che abbiano commesso qualche reato di lieve entità o difficile da indagare.
“Aveva precedenti per droga”, questa un’altra frase posta a giustifica dell’operato della polizia che nient’altro fa, a detta di tanti, che presiedere legalità e ordine pubblico fermando – probabilmente utilizzando la propria vista laser?– i portatori dell’insicurezza e del disordine.
Quel che bisogna fin da subito specificare, prima di entrare appieno nelle speculazioni di giovani vite spezzate, è che quel gruppo di amici si era ritrovato per un semplice gesto di socialità. Il controllo, nei fatti, non è scaturito poiché vi era flagranza di reato né tanto meno perchè qualcuno poteva aveva dato l’idea di detenere corpi di reato (ad esempio droga).
Il controllo di polizia è nato, ancora una volta, dalla discrezionale volontà di fermare uomini in età di lavoro che alle ore 15 di un giorno feriale erano in un bar. Un controllo volto al disciplinamento di corpi migranti, perché classificabili – secondo la linea del colore – come potenziali delinquenti.
È noto a tutti come l’essenza stessa della polizia è da rinvenire nell’utilizzo discrezionale del diritto, ma la decisione discrezionale può essere sia una scelta di “azione” che di “non-azione”. Quando il poliziotto opera su strada e decide di non fermare o di non arrestare nessuno, alcuna autorità potrà controllare la legalità della decisione intrapresa, dato che è un operato “non visibile”, ed in quanto tale non giudicabile.
I poliziotti che si ritrovavano a “presidiare la legalità” su quell’argine, avrebbero anche potuto astenersi dall’inscenare un controllo dato che la situazione era estremamente pacifica, non si stava consumando alcun reato e soprattutto quella parte di fiume era notoriamente pericolosa: così avrebbero sicuramente scongiurato la morte di Oussama.
È qui dunque che si ravvisano altri ‘colpevoli’ ed un’altra tipologia di ‘colpa’, molto più vicina alla preterintenzione.
È chiaro come dinanzi a reati meno gravi, la polizia non si pone nell’ottica dell’applicazione del diritto quanto piuttosto in quella della sua disapplicazione: in tale scenario il controllo non potrà che essere selettivo.
Sulla strada, chiamata a dimostrarsi tutore dell’ordine in velocità e speditezza, la polizia userà schemi ricorrenti e categorie preesistenti, approdando a decisioni che diventano “di routine” ma che celano al loro interno insidie create da pregiudizi, perché “il senso comune che attenua la piena applicazione del diritto può diventare ben presto un mantello per discriminazioni consapevoli o inconsapevoli basate sull’opinione politica, le apparenze personali, l’atteggiamento, lo status sociale o la razza” (Lustgarten -1986).
Siamo dinanzi ad un controllo poliziale che, dettato dalla discriminazione, diviene un vero e proprio controllo selettivo. |
NOTE:
CAMPESI Giuseppe (2003), Il controllo delle ‘nuove classi pericolose’: sottosistema penale di polizia e immigrati, in “Dei delitti e delle pene”, 1-2-3, pp. 145-241.
CAMPESI Giuseppe (2009), Genealogia della pubblica sicurezza. Teoria e storia del moderno dispositivo poliziesco, Ombre Corte, Verona.
FABINI Giulia (2016) “Buongiorno, documenti”. Meccanismi di controllo ed effetto di disciplinamento: storie di migranti e polizia locale. Il Mulino |