Malgrado la retrocessione, malgrado le delusioni sportive e le incertezze societarie, Ferrara continua ad avere una costante, in grado di fungere da collante tra la squadra cittadina e la città. Parliamo ovviamente della Curva Ovest, che anche quest’anno ha organizzato una festa di tre giorni (9-11 giugno) con eventi e dibattiti al proprio interno. Iniziativa fondamentale mai come ora nell’ottica di rinnovare la sinergia tra tutte le componenti al seguito della compagine estense.
Nella seconda serata si è svolto un dibattito a cui hanno preso parte gli avvocati Giovanni Adami e Lorenzo Contucci, Simone Meloni in nostra rappresentanza e due ragazzi della Ovest chiamati a moderare. Temi principali: il rapporto tra media e ultras e le differenze nella gestione dell’ordine pubblico tra il nostro Paese e altri Stati europei.
Per quanto riguarda il rapporto tra movimento ultras e stampa – da sempre tormentato e problematico – è stato evidenziato come in oltre cinquant’anni di tifo organizzato i media mainstream non abbiano quasi mai cambiato la loro narrazione del fenomeno. Un mix di non conoscenza dello stesso, luoghi comuni e voglia di instillare nella mente del lettore il terrore legato a ogni folk devil che si rispetti. Gli esempi della gestione mediatica a margine degli incidenti avvenuti in A1 tra romanisti e napoletani, oppure relativi alla trasferta a Napoli vietata ai tifosi dell’Eintracht Francoforte e quella inibita ai supporter del Feyenoord a Roma sono risultati a dir poco calzanti per evidenziare la totale scollatura tra un certo tipo di stampa e il mondo dei “comuni mortali”. Un establishment dell’informazione che va contrastato e se possibile destrutturato attraverso i canali comunicativi a disposizione dei tifosi, cercando di superare – in taluni casi – il pregiudizio ostativo nei confronti del contatto con il mondo esterno. Ergo: se da un lato resta giusto e coerente non prestarsi all’iper comunicazione dei nostri tempi, dall’altra bisogna saper usare questi strumenti per portare alla ribalta anche e soprattutto dell’opinione pubblica le varie istanze del mondo curvaiolo. Va ricordato, inoltre, che un intelligente utilizzo dei social può soltanto giovare ai ragazzi da stadio. Esempio che vale per tutti: il caso dei supporter atalantini di ritorno dalla semifinale di Coppa Italia a Firenze, qualche anno fa, fermati e malmenati senza ragione dalla polizia che era di scorta. Senza i video e le testimonianze che immediatamente uscirono, quest’oggi staremmo parlando di uno stuolo di diffide e di un caso mediato che avrebbe condannato senz’appello i tifosi orobici.
Sempre restando in ambito comunicativo, altro argomento trattato è stato il bilanciamento tra diritto di cronaca e il principio di presunzione d’innocenza. Un equilibrio che in realtà risulta difficile, se non impossibile, da raggiungere nel nostro Paese. Nomi, cognomi, dati sensibili sono spesso e volentieri alla berlina di tutti in seguito a incidenti o tensioni, senza che ovviamente si sia appurata la colpevolezza dei soggetti chiamati in causa. Questo è figlio del modo assolutamente non deontologico e poco professionale di fare giornalismo in alcune redazioni dove – oltre alla notoria ignoranza dell’argomento di fondo – si fa a gara nel divulgare più dati possibili. Senza argomentare, senza spiegare, senza porre e porsi delle domante. L’antitesi di quelli che dovrebbero essere i cani da guardia della democrazia. La realtà è che non esiste una soluzione a ciò. Come detto, troppo distanti i due mondi e troppi interessi e morali piccolo-borghesi hanno la precedenza sui desk redazionali. Ci sarebbe bisogno di una vera e proprio tabula rasa, per rivedere dalla radici il modo di fare informazione. C’è poi, ovviamente, un discorso di chiara malafede su cui si infrange ogni tentativo dal basso di riportare la verità al suo posto. Sempre pensando al famoso Napoli-Eintracht, viene in mente il totale silenzio da parte della maggioranza dei nostri media sulle negligenze da parte chi chi invece di allestire una semplice fan zone, convogliare là i tedeschi e lavorare come avviene in ogni zona del mondo, ha preferito creare il problema dalla radice, per poi vantarsi anche di averlo risolto o, addirittura, esser stato vittima dei teppisti.
Pertanto, il confronto con gli altri Paesi europei viene quasi naturale. Ordine pubblico e informazione viaggiano sullo stesso piano e sono complementari. Basti pensare al numero di trasferte vietate in Italia ogni anno in seguito al clima di terrore creato da alcune testate. Cosa che risulta alquanto difficile oltre confine. Sia per una concezione del tifoso diversa – nel mondo germanofono, forse quello più evoluto in tal senso, tutte le componenti sono in costante interconnessione – sia per un modus operandi della stampa sicuramente meno legato alla morale italiana di cui sopra, ma soprattutto meno portata a chiedere divieti, restrizioni o condanne prima di analizzare fatti e accadimenti.
Un confronto importante è stato poi fatto sull’emissione del Daspo, che in Italia viene svolto dalla Polizia, vale a dire lo stesso organo che ha in precedenza incriminato il soggetto. Senza possibilità di difesa immediata – come avviene ad esempio in Inghilterra, dove è un giudice a decidere in merito – e con la quasi certezza di scontare la sanzione amministrativa anche se in seguito il processo assolverà l’imputato. Tutte argomentazioni che necessitano di esser sdoganate dal nostro mondo e portate costantemente all’attenzione dei media, proprio per trovare un contrasto a quell’egemonia dell’informazione di cui il movimento ultras è spesso vittima.
Dibattiti come quelli svolti a Ferrara debbono innanzitutto allargare il punto di vista dell’universo curvaiolo, che in Italia sovente rimane troppo autoreferenziale. C’è assoluto bisogno di fare dialogo, anche aspro laddove serva, ma costruttivo. Serve come il pane riuscire ad entrare in contatto col mondo esterno, anche con chi ha sempre sputato addosso ai tifosi. Perché non rispondere significa prestare il fianco. Ridurre tutto a uno striscione silente, esposto fuori a uno stadio, significa comunque non reagire. Occorre, invece, far trasparire tutte le richieste legittime e gli abomini che domenicalmente riguardano i nostri stadi. Per contrastare la malafede di una certa stampa, ad esempio, occorre rendere pubbliche assoluzioni di ragazzi che in prima battuta i giornali avevano condannato e messo alla gogna pubblica. Vanno pubblicizzate e ben instradate. Per far capire tutte le nefandezze e le storture di un sistema che oggi come ieri utilizza lo stadio come laboratorio sociale.
I ragazzi della Ovest di Ferrara ormai da diversi anni sono riusciti a rendere la loro curva un punto di aggregazione cittadino. Che va ben oltre il discorso calcistico. Hanno saputo prendere la parola ultras e renderla trasversale, portando i ferraresi dalla loro parte (e lo si nota in questi giorni, dove sono davvero in tanti a presenziare nel bellissimo scenario delle Sottomura Bastione San Pietro, a due passi dal delizioso centro storico). Gli occhi di Federico Aldrovandi osservano attenti, stampati sul bandierone per l’occasione appoggiato sulle mura. Sono occhi che raccontano una storia uscita fuori e resa pubblica proprio grazie a quella caparbietà indispensabile per sfilarsi e non prestare più il fianco. La sua vicenda è un grande esempio di come ogni ingiustizia, ogni comportamento oltre le righe da parte di chi vorrebbe morta la gioventù e i suoi movimenti aggregativi, non debba mai passare sottaciuta.
E più in generale, serate come queste, ci ricordano quanto il movimento ultras possa ancora essere centro discussione sociale e culturale. Appigli dai quali non dobbiamo mai staccarci. Oltre mezzo secolo di esistenza va difeso. Con tutti gli strumenti possibili. |