La Corte di Cassazione ha annullato le condanne per falso del maresciallo Roberto Mandolini e del carabiniere Francesco Tedesco nel secondo processo sull’omicidio di Stefano Cucchi, trovato morto il 22 ottobre del 2009 dopo essere stato arrestato e ricoverato in ospedale. Mandolini e Tedesco erano stati condannati a 3 anni e 6 mesi e 2 anni e 4 mesi dalla Corte d’Assise d’appello di Roma, a luglio del 2022, in quanto giudicati colpevoli di aver falsificato il verbale di arresto di Cucchi. La Corte di Cassazione ha dichiarato il reato estinto per prescrizione, l’istituto che cancella un reato quando è passato troppo tempo da quando è stato compiuto. Il maresciallo Roberto Mandolini era il comandante della stazione dei carabinieri dove fu portato Cucchi dopo il fermo. All’appello bis fu condannato con l’accusa di avere falsificato il verbale d’arresto di Cucchi. Francesco Tedesco fece invece partire la terza inchiesta sul depistaggio che in quella caserma era avvenuto per coprire i responsabili del pestaggio, i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, condannati in via definitiva a dodici anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. Il maresciallo Mandolini aveva messo in piedi una ragnatela tale che nella prima inchiesta sull’omicidio, la caserma da lui comandata sembrava un luogo nel quale non guardare sulla morte del Cucchi. A nessuno fra magistrati, p.m. e periti gli è venuto in mente che quel ragazzo, aveva gli occhi lividi nelle foto segnaletiche e che nel processo per direttissima, come si sente nelle registrazioni dello stesso, la cancelliera più di una volta gli ha chiesto se si sentisse bene, era transitato solo dalla caserma comandata dal Mandolini. La ragnatela imbastita da Mandolini gli ha permesso di guadagnare il tempo, ciò che oggi lo salva e lo prescrive, appoggiato certamente dai suoi superiori per cui l’immagine dell’arma vale più della vita di chiunque. 14 anni di processi. 16 gradi di giudizio e oltre 160 udienze. Mandolini testimoniò, sorridente, il falso che resistette per sette lunghissimi anni. Tutto questo traccia amaramente ciò che abbiamo sempre pensato e denunciato, che tutto ciò è possibile solo ed esclusivamente perché ogni volta che chi indossa una divisa abusa del suo potere, arrivando anche ad uccidere, non è un fatto occasionale ma una pratica attuata con la compiacenza di chi comanda le caserme e le questure, perché il sistema pur ledendo la dignità delle persone poste in fermo ottiene risultati in termini di arresti, prestigio e carriera. E il morto ci può stare e se non si può scaricare sulla “mela marcia”, si fa scudo ricorrendo se necessario anche alle più alte cariche dello stato. L’apparente integrità dei corpi di polizia va difesa sempre anche di fronte all’indifendibile. Questo ci ha portato ad avere le consapevolezze che abbiamo, che non sono frutto di un pregiudizio ma che attraverso quello che vivi sulla tua pelle ti permette di leggere con occhi diversi anche quello che accade agli altri. La consapevolezza che nulla cambierà se gli uomini davvero non saranno in grado di autodeterminarsi e cambiare ciò che li circonda. La consapevolezza che ci impedisce di far finta di nulla continuando a pensare e a gridare il nostro essere diversi da tutto questo, il nostro essere Ultras.
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