A febbraio un uomo viene trovato senza vita in un bosco in provincia di Varese, da tempo luogo di spaccio. Lo ha ucciso un proiettile di gomma sparato con un fucile personale da un sottufficiale dei carabinieri travestito da cacciatore, impegnato – sostiene lui, il militare – in un controllo antidroga e minacciato con una pistola che non si trova.
Legittima difesa? Eccesso nell’uso di un’arma non ortodossa? O atto criminale senza alcuna giustificazione? Per rispondere la procura chiede ancora tempo.
Il maresciallo è stato indagato per omicidio volontario, in stato di libertà. Non è affatto scontato che l’ipotesi di reato regga e venga infine formalizzata e contestata. Potrebbe essere derubricata o cancellata, se e quando verrà provata l’esclusione del dolo.
Ucciso da un carabiniere: silenzi e domande senza risposta
Restano altre domande senza risposta. Come è stato possibile? Perché il sottufficiale girava con un’arma non di ordinanza? La sua era un’operazione autorizzata o una “caccia all’uomo”, come la definisce un avvocato della controparte? E perché al rientro in caserma non ha detto nulla?
La procura, delegate le indagini alla polizia, ha dato indicazioni sul caso solo nei primi giorni. Il comando generale dei carabinieri è rimasto e resta nelle retrovie, silente. I difensori del militare, Domenico Franchini e Lucio Lucia, non rilasciano dichiarazioni né informazioni. E sul caso, da mesi, grava il silenzio.
La ricostruzione da verificare e provare
Questa la storia, per sommi capi. Il maresciallo capo Mauro S., comandante del nucleo Radiomobile di Luino, il pomeriggio del 10 febbraio 2023 va con due colleghi in un bosco di Castelveccana, regno di spacciatori e clienti, controllato da bande di nordafricani.
I tre militari sono in borghese, abbigliati da cacciatori per non insospettire pusher e acquirenti. Per rendere più credibile il travestimento, pare già adottato altre volte, lui porta in spalla un fucile a pompa per attività venatoria, un Browning calibro 12 personale.
Il maresciallo spara con pistola e fucile
Gli investigatori sotto mentite spoglie sono in fila, il sottufficiale è l’ultimo. Nota uno straniero e una macchina che si sta accostando, fa cenno all’autista di passare oltre. L’immigrato, stando alla versione del sottufficiale, impugna una pistola e gliela punta contro.
Il maresciallo ha una semiautomatica, quella d’ordinanza, e spara due colpi mirando a terra. Lo straniero, sempre in base alle dichiarazioni dell’indagato, lo tiene sotto tiro, appostato dietro un guard rail. Il sottufficiale prova a esplodere un terzo colpo, la pistola si inceppa.
Allora imbraccia il fucile da caccia caricato con proiettili di gomma e preme il grilletto, più volte, sembra. Lo straniero non c’è più. E’ sparito. I carabinieri-cacciatori lo cercano un po’ in giro, non lo trovano. Si è fatto buio. Tornano in caserma.
Cominciano a scrivere il rapporto di sevizio, però non lo finiscono. Vanno a casa. A posteriori diranno che era tardi e che avrebbero ultimato la relazione l’indomani. Rachid giace in fondo al canalone di roccia scavato dal torrente Froda.
La telefonata anonima e l’amico scomparso
Un paio d’ore dopo una telefonata anonima al 118 segnala la presenza di un corpo nel bosco dello spaccio. Il cellulare da cui è partita la chiamata, che risulterà essere della vittima, consente di geolocalizzare la posizione, segnalata anche da una torcia.
Quello nel bosco è il cadavere di Rachid Nachat, 33 anni e origini marocchine, clandestino in Italia, muratore in nero a Varese. Viene fuori la storia del pattugliamento pomeridiano e degli spari.
L’autopsia certifica che le ferite sono compatibili con un proiettile di gomma entrato dalla schiena, in grado di trapassare capi di abbigliamento pesanti e tessuti corporei, causa di letali lacerazioni polmonari e choc emorragico.
Qualcuno ha manomesso la scena?
Chi ha lanciato l’allarme avvisa anche il fratello dell’immigrato, che abita e lavora a Mortara, e si allontana. Con il testimone svanisce la pistola che il maresciallo dice di aver visto. Droga sembra non se sia stata trovata. Rachid non la vendeva, ripete il fratello.
Era andato nel bosco per comprare 20 euro di marijuana. Per gli investigatori della zona è invece verosimile che lui spacciasse e che la persona che ha allertato i soccorsi abbia portato via stupefacenti e arma, sempre che sia mai esistita.
Gli avvocati della vittima: “Operazione non autorizzata?”
«A casa del sottufficiale – continua l’avvocato Marco Romagnoli, che assiste il fratello di Rachid con Debora Piazza – è stato sequestrato un fucile, un modello non in dotazione al suo reparto, di proprietà personale. Aveva il porto d’armi, però per andare a caccia di selvaggina, non di uomini. Che il maresciallo lo abbia usato per sparare a Rachid – sostiene – non è in discussione. E’ in discussione il resto. Ancora non è stato chiarito se lui e i colleghi pattugliassero il bosco di iniziativa o se fossero impegnati in una operazione di servizio regolare e in orari d’ufficio, autorizzata o disposta dai superiori».
Pare che i tre abbiano annotato ore di straordinario per coprire la trasferta a Castelveccana.
Lo sparo alla schiena e da distanza ravvicinata
«Rachid – conferma il legale del fratello – è stato centrato alla schiena e da una distanza ravvicinata, altrimenti il proiettile di gomma non sarebbe stato letale. Non solo. Il tipo di fucile in questione può contenere sei colpi, ma per usarlo per la caccia – deve avere una riduzione nel serbatoio che consenta di utilizzarne solo due. La riduzione – rivela – non c’era ed è un ulteriore, grave irregolarità».
Maresciallo libero e sospeso dal servizio
Il comando generale dell’Arma, interpellato, non entra nel merito dell’accaduto «perché le indagini della procura sono ancora in corso». Si limita a confermare l’adozione di un procedimento disciplinare cautelare.
Il sottufficiale è stato e resta sospeso dal servizio, con lo stipendio al minimo, in attesa della conclusione dell’inchiesta.
Per lui, come per tutti, vale la presunzione di non colpevolezza. Non è un carabiniere giovane e impreparato. Arruolato nel 1991, ha passato i 50 anni e nel curriculum vanta quattro missioni all’estero. Sui giornali era finito, in precedenza, per un encomio e per il nuovo incarico a Luino.
Uccisi da militari: altri morti in operazioni di carabinieri
Altre cinque persone quest’anno sono morte durante o dopo interventi dei carabinieri (assai diversi dalla vicenda varesina e in un caso in tandem con la polizia municipale) e una è spirata mentre era trattenuta da due guardie giurate.
Tutte le vicende sono oggetto di inchieste. Il 24 aprile 2023 a Fara Vicentino ha perso la vita Soufiane Boubagura, 28 anni: ha sottratto la semiautomatica a un militare e ha fatto fuoco, colpendo un vigile. Il 14 luglio 2023, a Padova, è stato ucciso Haxhi Collaku, ex professore di matematica, 55 anni, stalker: ha investito un carabiniere e un altro gli ha sparato.
Due vigilantes e uno decesso da spiegare
Il 13 agosto 2023 a San Giovanni Teatino (Chieti) è morto Simone Di Gregorio di 35 anni, affidato dall’equipaggio di una “gazzella” agli operatori di un’ambulanza.
Giovanni Sala, 34 anni, la notte del 20 agosto è stato placcato e atterrato da due guardie giurate fuori dalla sede Sky di Milano e non si è più rialzato.
Il 15 ottobre a Modena è deceduto Taissir Sakka, 30 anni, rinvenuto in un parcheggio poche ore dopo le intemperanze in un circolo e un controllo in caserma.
Per neutralizzare Soufiane e Simone i carabinieri hanno provato a usare il taser, prima delle Beretta d’ordinanza. Ma la pistola elettrica non ha funzionato correttamente oppure è stata maneggiata male.
Morta anche una donna con problemi psichiatrici
Una donna con problemi psichiatrici, Marinela Murati di 39 anni, il 3 novembre è stata immobilizzata in una chiesa di Vigevano, bloccata sul pavimento da due agenti della polizia municipale a ammanetta. Si è sentita male, poco dopo e morta. |