Premessa doverosa: questo articolo non intende fare apologia della violenza, né giustificare azioni e situazioni che chi di dovere sarà chiamato ad analizzare e giudicare. Del resto gli stadi non sono zone franche e inquirenti, forza pubblica e giudici hanno ormai sempre più ampi elementi per andare a fondo in tutti i loro iter. L’obiettivo di questo articolo, tuttavia, è quello di chiedersi come si arrivi a determinate situazioni e come sia possibile che mai nessuno – oltre ai tifosi – sia pronto a prendersi la proprie responsabilità o, in assenza di capacità di fare ammenda, gli sia attribuito uno straccio di correità da un qualsiasi soggetto terzo. Avremmo talmente tanti casi vicini e lontani nel tempo a suffragio di quanto scritto che non basterebbe un articolo per contenere tutti gli esempi. Di certo dai fatti di Napoli-Eintracht ai primi tempi della tessera del tifoso, con settori promiscui e pericolosi perché non circoscritti, dall’eliminazione dei treni speciali alle continue provocazioni sotto forma di divieti e restrizioni giunte all’ultimo minuto, il filo conduttore è sempre quello: non gestire, non sapendolo fare e non volerci neanche provare!
D’altra canto, poi, c’è un discorso da fare in seno al panorama ultras, divenuto troppo spesso teatro di videomaker, registi, spammer e “gossippari” vari che – seguendo un solco ormai ben tracciato anche nella società comune – con i propri cellulari e le proprie riprese, finiscono per realizzare incredibili autogol, oltre a mancare di rispetto a quell’intimità che da sempre ha caratterizzato la militanza curvaiola. Ma andiamo con ordine.
Che Casertana-Foggia sia una partita a rischio credo (ma evidentemente sbaglio) lo sappiano anche i sassi. E la soluzione, per tutti coloro che lo pensano, non è di certo il divieto. Ma la prevenzione. Normalissima prevenzione che in ogni Paese civile del nostro continente viene approntata durante la settimana e messa in opera prima, durante e dopo il match. Eppure ogni qual volta si giochi una gara assistiamo all’ignobile tarantella della riunione del GOS, da cui spesso e volentieri sbucano scelte a dir poco illogiche e incomprensibili. Figlie, magari, di suggerimenti arrivati da quell’organo che ormai da anni ha sancito il proprio fallimento e la propria inutilità, ma che come collettività ci ritroviamo a finanziare: l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. La prima domanda che mi verrebbe da fare è: come si è pensato di gestire questa partita, a fronte di 289 tagliandi venduti nel capoluogo dauno, quindi non di certo al cospetto di una folla oceanica?
Lo stadio Pinto, inoltre, è uno dei più sicuri e logisticamente congeniali della Serie C. Bastano dei semplici accorgimenti. Basta implementare la zona cuscinetto con qualche agente, basta presidiare i cancelli e basta gestire scrupolosamente le fasi di afflusso e deflusso. Insomma, basta espletare i compiti basilari! Capisco che l’abitudine al divieto abbia fiaccato determinati meccanismi e la capacità di metterli in atto, ma francamente mi sembra impossibile non affermare che nella movimentata serata casertana non ci sia stata della malagestione a monte. Figlia degli oltre quindici anni di repressione cieca, senza alcuna finalità preventiva o educativa, ma con l’unico obiettivo di indebolire un contesto aggregativo come quello ultras, creando leggi, decreti e imposizioni ad hoc. Il risultato è la totale impreparazione quando la situazione si fa leggermente più delicata e con tutta probabilità sarebbe sufficiente tamponare per evitare la degenerazione. Forse fa più comodo avere a disposizione sempre e comunque il “mostro” con la sciarpa al collo per giustificare i propri limiti. Di certo quanto visto l’altra sera fa nascere alcune domande e molti dubbi specie fra quanti sono estranei al mondo del tifo. Ma se da un lato è comprensibile voler condannare la violenza, è altrettanto giusto chiedersi come si sia arrivati a far sospendere per quarantacinque minuti una partita con due tifoserie storicamente divise da rivalità e per la quale c’era stato tutto il tempo di pensare ad un modus operandi efficacemente preventivo.
Il resto della storia a venire la possiamo già immaginare: oltre a denunce e Daspo, che arriveranno grazie alla consultazione delle telecamere a circuito chiuso (perché investire solo in indagini postume quando si può fare prevenzione e impiegare energie in altri campi, sicuramente più importanti rispetto allo stadio?), oltre a un’ammenda e a una probabile squalifica del campo per i club, ci saranno divieti a raffica per le prossime trasferte di entrambe le tifoserie. E il gioco sarà fatto: la punizione, come si fa con i bambini, per mostrare l’apparente pugno duro. A dimostrare come, una volta che i buoi sono scappati, le istituzioni sono bravissime a chiudere la stalla. E via così, senza nessuno che osi alzare la mano e chiedersi se davvero sia questo il modo giusto di andare avanti.
Parere personale? Con l’apparato di leggi in fatto di stadio che abbiamo in Italia – e con la loro relativa certezza di essere applicate, come ben sappiamo – le partite si devono giocare tutte a porte aperte, tutte con gli ospiti e tutte con un servizio d’ordine preparato e in grado di prevenire. Poi è chiaro: il rischio c’è sempre ma per quello, come detto, ci sono tutti i provvedimenti del caso. E non c’è bisogno di alcuna stampa scandalistica a soffiare sul fuoco dello sdegno. Semmai c’è bisogno di una stampa che faccia il suo lavoro e non sia sempre e comunque serva del potente di turno.
Dicevo, in fase introduttiva, di tutto questo sistema di auto castrazione che ormai riguarda da tempo le curve. Un sistema che ha un nome e un cognome: social network. Sia chiaro: la colpa non è certo della loro esistenza, ma di come essi vengono utilizzati. Non ci si scandalizza di nulla, viviamo in un mondo dove di fronte a una persona in difficoltà, si preferisce riprenderla e metterla su TikTok anziché soccorrerla, ma crea sempre una certa rabbia vedere come all’interno di una massa che dovrebbe avere un minimo di coscienza come quella delle curve, ci siano dei tizi pronti col cellulare a riprendere in primo piano e a spiattellare due secondi dopo tutto online. Chiaramente parliamo di una necessità, quella di far vedere che si è in mezzo all’evento, che ha letteralmente ucciso comparti sociali e di fratellanza del nostro Mondo. Figuriamoci se si può pretendere che un ragazzetto, magari anche lontano dalle logiche ultras più stringenti, capisca il perché non è cosa sana “inoltrare più volte”. Il perché è sbagliato rimpinguare tutti quei canali Telegram, quelle pagine Facebook e quei profili Instagram che dietro alla parola “Ultras” e ben oltre il confine della delazione, hanno come unico fine quello di ottenere visite e monetizzare. Non certo di fare informazione. Quelle sono tra i primi nemici di questo universo che abbraccia e appassiona generazioni da Nord a Sud. Questo però mi aspetto che vanga inculcato dai direttivi, dal mondo ultras in toto. Sebbene – non parlo ovviamente delle tifoserie in questione – a volte ci si imbatta anche in personaggi storici e importanti in ambito curvaiolo impegnati a condividere la propria giornata di stadio o la propria trasferta sui vari social. Ogni singolo minuto.
Capisco che probabilmente è una battaglia persa. Perché travalica il contesto stadio, basti pensare a tutti quelli che si sentono in dovere di prendere un cellulare per riprendere qualsiasi momento della vita, qualsiasi tensione, e poi magari utilizzarli per ricatto o per rovinare la vita altrui. Mi duole constatare come in Italia questa piaga sia molto più presente e attecchisca con molta più facilità rispetto ad altri Paesi dove i gruppi ultras hanno come priorità quella di sfilarsi dall’onnipresente Grande Fratello, pur cercando di usare le sue stesse armi con intelligenza per difendersi dove possibile.
Ci metto un ulteriore dettaglio: conosco il diritto di cronaca e so bene che tanti colleghi si limitano a riprendere per corredare i propri articoli, c’è però una fetta di loro che riprende e mette sui propri canali per il solo gusto di farlo, per la sola gioia di proiettare il proprio ego al centro della scena e considerare il proprio braccio come un’estensione del pugno duro della legge. Una linea dettata dai tanti finti giornalisti travestiti da influencer o da opinionisti televisivi di programmi ballerini, che si divertono poi a “svelare” antidoti ai mali della società erigendosi a moralizzatori su noti giornali a grossa tiratura. Questa è la “scuola di vita” cui siamo quotidianamente sottoposti. E ritengo che ci sia un bell’abisso tra giustizia, senso della stessa e voglia di farla da sé, magari in base alle proprie idee o alle proprie simpatie.
Casertana-Foggia è stata solo la cartina al tornasole di tante situazioni che settimanalmente vediamo e viviamo negli stadi italiani. Lascerà uno strascico pesantissimo, che non ci permette di raccontare con la giusta verve anche la parte folkloristica che questa gara ha offerto, con i suoi spettacoli pirotecnici e di tifo in grado di riportarci indietro di trent’anni, anche per una sola sera (da qui anche la scelta di lasciare solo una foto per tifoseria, quanto più imperscrutabile possibile). Sarebbe davvero d’esempio se per una volta, oltre a chi ovviamente si troverà ad affrontare più o meno consapevolmente situazioni figlie delle proprie gesta, anche l’ordine costituito venisse messo in discussione. Magari si riuscirebbe a capire che un confronto tra tutte le parti è necessario, ma in maniera strutturale. E non sempre e solo con la modalità discussione da bar attiva. Dove troppo facilmente si divide tutto in buoni e cattivi. |