Davanti agli orrori di questi anni, Ucraina, Gaza e così via, ci siamo abituati al male. La nostra sensibilità nazionale può essersi attutita e siamo diventati come gli altri, dei sonnambuli che vagano in un campo di macerie senza accorgersi più di nulla. |
Forse pensiamo che il cattivismo ci convenga. Ma non è vero: ci rendiamo soltanto più odiosi. Oltre 60 affogati al largo della Libia ma non è stato possibile salvarli a causa delle nuove regole che ci siamo dati: la Ocean Viking che era nei pressi ma è stata costretta ad allontanarsi per andare a sbarcare la ventina di salvati di un’altra imbarcazione a… Livorno. Si tratta di un’inutile cattiveria che sconteremo. Sì, perché certe cose si vengono a sapere, corrono sui social e rilanciano l’immagine del nostro paese. Già è noto che i nostri centri sono terribili, che il trattamento in Italia non è lontanamente comparabile a quello di altri paesi.
Ora sta finendo anche la reputazione che ci eravamo fatti nel mondo: gli italiani salvano vite, non come gli altri europei. Italiano è colui che salva le vite perché sono la cosa più preziosa. Come Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini che nel 1940 si impuntò e – contro ogni regola militare – salvò i naufraghi della nave che lui stesso aveva affondato. Quando i nazisti gli chiesero spiegazioni lui (la frase è famosa) reagì dicendo che “un comandante italiano ha alla spalle 2000 anni di civiltà”. Punto.
Questo è quello che si dovrebbe dire di noi, non propalare un inutile cattivismo che oltretutto non serve a nulla. Infatti le peggiori condizioni non convinceranno nessuno a non tentare lo sbarco: le condizioni di partenza sono molto peggiori. Ma soprattutto c’è la questione del futuro. Come disse una ragazza afgana: “Sbagliate voi europei a pensare che noi cerchiamo in Europa un futuro migliore: cerchiamo un futuro e basta”.
Di fronte a tale enorme push factor non c’è pull (leggi le navi delle Ong) che tenga. Stiamo soltanto rovinando la nostra reputazione che nel mondo di oggi è tutto ciò che conta. C’è chi si sorprende che papa Francesco e la Cei continuino a sostenere una società aperta nella quale chi fugge, per qualunque motivo sia, deve essere salvato. Non si emigra e non ci si sposta per sport o a cuor leggero: questo forse ancora non è chiaro a molti. La protezione della vita – di qualunque vita – è prioritaria per la chiesa, anche per i cattolici che considerano papa Francesco troppo aperto. Sulla questione migratoria i vescovi degli Stati Uniti hanno la medesima posizione.
Si tratta di un tema di fondo: la vita è sacra e si salva sempre. Lasciar morire in mare chi poteva essere salvato è contro la morale cristiana e direi umana. Ma qui mi preme rammentare che è anche contro la tradizione umanistica italiana. Altro discorso è poi come accogliere: ma prima di tutto occorre salvare, sempre. Ciò è iscritto nell’umanesimo italiano: sarebbe un danno enorme farlo morire. Sulla gestione si può discutere, mai sulla salvezza delle vite. Dicevamo un tempo: restiamo umani.
Certo davanti agli orrori di questi anni, Ucraina, Gaza e così via, forse ci siamo abituati al male. La nostra sensibilità nazionale può essersi attutita e siamo diventati come gli altri, dei sonnambuli che vagano in un campo di macerie senza accorgersi più di nulla. Oppure ci siamo talmente impauriti pensando che in un mondo a pezzi è meglio chiudersi in casa propria e basta. Ma va subito recuperata la pietas della nostra tradizione: i veri italiani salvano le vite e non le lasciano affogare per nessuna ragione. |