Per quanto tempo ancora si potrà continuare a considerare il calcio, la monetizzazione di un sentimento, alla stregua di un’azienda normale? Il suo traino non è la vendita di un prodotto purchessia, come pensano cinicamente le pay tv e i presidenti della serie A, ma la passione ancora incontaminata dei tifosi. Chiunque si accinga a rivestire ruoli chiave nella gestione del sistema ovvero a prendere in mano la barra di comando di una squadra di calcio, dovrebbe sapere “a priori” che si va a confrontare con l’amore-umore dei tifosi. I tifosi, ben lungi dal ritenersi meri utenti del prodotto come si vorrebbe trasformarli in nome dei diritti televisivi, si sentono (e sono) i “veri” depositari del marchio. Quando affollano uno stadio per sostenere la squadra del cuore lo fanno certamente per vederla vincere ma, anche e soprattutto, per riaffermare con questo gesto il loro amore incondizionato verso le maglie. Un rito che, in forme diverse, si svolge in tutte le latitudini del globo. Uno stato dell’animo che rende il calcio, ancora oggi e nonostante la concorrenza, il gioco più seguito e amato al mondo. Il fatto è che un club (piccolo o grande che sia) appartiene alla città di cui porta i colori e, dunque, ai cittadini-tifosi. La prova provata di questo assunto? Il numero crescente di sindaci e istituzioni locali che si impegnano a ripristinare i diritti della squadra che rappresenta le rispettive città violati da dirigenze inette, come sempre più spesso accade. E’ per questa ragione che, quando si parla di azienda-calcio, l’etica dirigenziale diventa un’esigenza imprescindibile. Il fatto che il binomio etica-calcio si sia rapidamente dissolto nel corso degli anni, fino a determinare condotte scriteriate, dovrebbe indurre gli addetti ai lavori a interrogarsi sul come e sul perché ciò possa essere accaduto. Nel calcio c’è un disperato bisogno di etica, esattamente come nella politica e nella vita. Cresce nei tifosi l’esigenza di poter contare su figure di riferimento adeguate e possibilmente carismatiche: l’unica ipoteca possibile sul futuro della squadra del cuore e sulla sua sopravvivenza nel tempo. Il sistema, viceversa, è sempre più spesso popolato da orde di dilettanti allo sbaraglio. O, peggio ancora, da personaggi sbiaditi, ai quali manca la scintilla della fantasia e della passione. I tifosi, candidi e immarcescibili Peter Pan, riescono invece a iniettare passione in quantità industriale dentro un sistema sempre più contaminato dal business. Una corsa sfrenata, che potrebbe farlo scivolare verso la fine. La passione etica dei tifosi non viene mai meno nel corso della vita, qualunque cosa accada. Incarna il senso di continuità della “grande storia” del club, a qualsiasi latitudine. Perché il calcio è uno sport con l’anima e la sua anima sono i tifosi. |