Nelle carceri italiane dall’inizio del 2024 si sono tolte la vita 17 persone: un numero record se si considera che erano state 67 in tutto il 2023. Si aggrava inoltre il sovraffollamento, con 60mila presenze sui 51mila posti a fine dicembre. “Una tendenza inspiegabile”, ha dichiarato a La Stampa Giovanni Russo, capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (Dap) in seno al ministero della Giustizia.
“Il suicidio è a valle di tutti i problemi, non a monte. Sono numeri spaventosi ma siamo talmente assuefatti che ormai ci sembrano normali”, osserva Michele Miravalle, coordinatore nazionale dell’Osservatorio adulti sulle condizioni di detenzione di Antigone, associazione che si occupa di giustizia penale. A fronte di una capienza regolamentare di 51.347 posti, al 31 gennaio erano presenti 60.637 detenuti. Un tasso di affollamento medio del 118% che preoccupa soprattutto se si analizza il tasso di crescita della popolazione carceraria: Antigone ricostruisce come nell’ultimo trimestre dello scorso anno i detenuti siano aumentati di 1.688 unità contro una media di 400 persone in più a trimestre nel corso dell’anno precedente.
A questo ritmo si supereranno presto quelle 67mila presenze che portarono nel 2013 alla cosiddetta “sentenza Torreggiani” della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia proprio per il sovraffollamento nelle strutture. Che restano fatiscenti. Alcuni dati: nel 10,5% degli istituti visitati da Antigone non tutte le celle erano riscaldate, nel 60,5% c’erano celle dove non era garantita l’acqua calda per tutto il giorno e in ogni periodo dell’anno. Ancora, in più della metà degli istituti visitati c’erano celle senza doccia nonostante il termine ultimo per dotare ogni cella di doccia fosse stato posto a settembre 2005. E nel 2023 c’era un educatore ogni 76 detenuti.
“Il tasso di suicidi si tiene stretto con questi dati -riprende Miravalle- dal sovraffollamento alla mancanza di supporto psicologico. In carcere, dove i tassi di suicidio sono molto superiori a quelli nella popolazione libera, la relazione tra l’ambiente di vita e il suicidio è molto evidente, laddove c’è più sovraffollamento, meno proposte trattamentali, e condizioni di vita non dignitose, si muore di più. Sembra ovvio, ma la politica sembra non volerlo capire”. E il tema della salute (mentale e non) è al centro. “Il carcere diventa sempre di più un contenitore di disagio che non viene assorbito dalla sanità pubblica esterna -aggiunge il ricercatore di Antigone, che è anche ricercatore all’Università di Torino-. Dalle nostre osservazioni notiamo come le dipendenze sono tornate a essere un problema enorme: raccogliamo testimonianze di operatori spesso sconcertati dal mix di sostanze che assumono sia i minori sia i giovani adulti, con le note problematiche legate all’astinenza e al fenomeno dello spaccio interno agli istituti. E poi la salute mentale”.
Proprio sul tema del disagio psichico all’interno dei penitenziari italiani e l’uso di psicofarmaci (al centro dell’inchiesta di Altreconomia intitolata “Fine pillola mai”) le ricercatrici Katia Poneti del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Regione Toscana e Giulia Melani dell’Università di Firenze hanno pubblicato a fine gennaio uno studio dal titolo “Psichiatria, carcere, misure di sicurezza”, frutto di una convenzione tra ufficio del Garante, Università degli studi di Firenze e il centro interuniversitario su carcere marginalità e devianza L’altro diritto. Dati alla mano, le patologie psichiatriche rappresentano la metà di quelle diagnosticate nei penitenziari. “Una percentuale fuori scala -spiega Melani- rispetto alla quale dobbiamo fare attenzione: l’etichettamento di ‘psichiatrico’ non è neutrale e non rispecchia sempre una realtà che è prima di tutto di sofferenza e malessere, lo vediamo nei suicidi e negli atti di autolesionismo. Questo è fondamentale perché al tema della salute mentale non si può dare una risposta solo farmacologica o di tipo psichiatrico”. Che invece oggi sembra quella prevalente, anche in Toscana, dove il 53,9% dei farmaci acquistati riguardava proprio il sistema nervoso. Tra gli psicofarmaci ritroviamo soprattutto ansiolitici (36,7%), antipsicotici (17,5%) e antidepressivi (15,9%).
Parallelamente crescono le persone “incapaci di intendere e volere” al momento della commissione del reato in lista d’attesa per entrare nelle Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) toscane: erano 70 al 31 dicembre 2022 contro le 46 dell’anno precedente. Ma i dati regionali smentiscono la lettura che punta il dito contro la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) per “spiegare” l’aumento dei problemi di salute mentale in carcere. “Le liste d’attesa restano un problema per chi ha il diritto di accedere e non può farlo e resta negli istituti penitenziari -riprende Melani- ma i numeri ci dicono che la grande percentuale di persone in carcere con patologie psichiatriche non è ‘colpa’ della chiusura degli Opg. Al massimo quello che è cambiato è che quei luoghi venivano utilizzati per inviare le persone più problematiche ‘in osservazione’. Oggi non è possibile farlo nelle Rems”.
In Toscana, a proposito di soluzioni, è completamente inattuata l’applicazione delle misure alternative in base allo stato di salute psichico. “Credo lo sia anche a livello nazionale, nonostante la sentenza della Corte costituzionale 99 del 2019 stabilisca l’incompatibilità con il regime detentivo anche per le patologie psichiatriche oltre che fisiche -conclude Melani-. Non si risolverebbero tutti i problemi ma per i casi più critici sarebbe importante”. Così come l’aumento del personale specializzato a partire dagli psicologi.
Su questo, però, la doccia fredda è arrivata dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Russo – ricevuto il 31 gennaio al Quirinale dal presidente Sergio Mattarella, preoccupato per la situazione nelle carceri – che ha spiegato che il compenso orario dagli appena 17 euro l’ora per gli psicologi sarà aumentato, per volere del Parlamento, a una cifra tra i 30 e i 40 euro. Ma i fondi sono rimasti invariati. “Avremo il 42% in meno di ore di psicologi”, ha spiegato a La Stampa aggiungendo che “la tendenza dell’aumento dei suicidi è inspiegabile”.
Parole che stridono con il quadro descritto. “Il carcere oggi è luogo sospeso, dove i problemi del fuori si ingigantiscono -riprende Miravalle-. In più, i messaggi che il governo dà sulle politiche penali si sentono e inevitabilmente influenzano tutti gli operatori. La conseguenza è una diffusa percezione che ogni sforzo sia inutile e sgradito, tutto diventa routine, anche nella gestione: molta forma e pochissima sostanza”.
Nei giorni in cui l’Ansa pubblica il video di un pestaggio del 3 aprile 2023 da parte degli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Reggio Emilia, con un 40enne di origine tunisina incapucciato con una federa al collo, denudato e colpito più volte per quasi dieci minuti, il ricercatore individua due “evoluzioni” possibili dell’attuale situazione. “Il disagio carcerario è sempre o eterodiretto o autodiretto. Nel primo caso, il rischio è che la popolazione detenuta si organizza promuovendo proteste nel migliore dei casi pacifiche ma che possono diventare violente. E non è un caso che il governo abbia introdotto un nuovo reato di rivolta”. Oppure l’aumento degli atti di autolesionismo e suicidi, con l’auto-afflizione. “In questo momento credo sia più questa la via. L’enfasi sulle nuove galere, i nuovi padiglioni è poco più che retorica. Nella pratica è una strada difficile e dal risultato incerto”.
Giorgia Meloni, da Tokyo, il 5 febbraio ha dichiarato intanto che l’unica “risposta seria dello Stato” è “aumentare le carceri e sostenere la polizia penitenziaria”. |