Parole di autocritica rispetto a quanto accaduto due settimane fa a Pisa, alle cariche contro gli studenti delle medie, non si sarebbero sentite. «Sarà la magistratura ad accertare eventuali errori e abusi» dice Giorgia Meloni aprendo ieri a palazzo Chigi l’incontro con i sindacati di polizia. E del resto non si è parlato neanche della possibilità di avere sulle divise i codici identificativi che faciliterebbero l’attribuzione di eventuali responsabilità da parte di agenti, ipotesi subito scartata al punto da non essere stata neanche presa in considerazione.
Piuttosto dai sindacati è arrivata la richiesta di misure più dure che, se dovessero passare, rischierebbero di mettere seriamente in pericolo il diritto di manifestare, come l’istituzione di un Daspo per i manifestanti «violenti». Ma si è parlato anche della possibilità di procedere agli arresti in differita e di body-cam da installare sulle divise di tutti i poliziotti e non soltanto su alcuni operatori, misura questa considerata una garanzia per chi fa servizio di ordine pubblico insieme all’utilizzo di droni che dall’alto seguano e riprendano quanto accade durante i cortei.
Sono le richieste che i sindacati di polizia, quasi tutti vicini alla maggioranza, hanno presentato ieri a Giorgia Meloni che li ha ricevuti a palazzo Chigi insieme ai ministri dell’Interno Matteo Piantedosi, degli Esteri Antonio Tajani, dell’Economia Giancarlo Giorgetti e al sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano.
Un incontro fissato proprio dopo le polemiche seguite a quanto accaduto nella città toscana e dal quale non è escluso possano uscire presto nuove misure che potrebbero trovare una concretizzazione in uno dei tre provvedimenti sulla sicurezza che dallo scorso mese di novembre sono all’esame del parlamento e nei quali è già previsto un inasprimento delle pene per violenza e resistenza alle forze dell’ordine. «Ho preso atto delle vostre richieste che adesso il governo valuterà», ha preso tempo la premier evitando per il momento di assumere impegni pur ribadendo solidarietà alle forze dell’ordine che, dice, sono vittime «di una ingiusta e sistematica campagna di denigrazione».
A prevalere per ora è stata la prudenza. Domenica prossima si vota in Abruzzo e a palazzo Chigi si preferisce evitare annunci su nuovo giro di vite per i manifestanti temendo un effetto simile a quello che le cariche sugli studenti di Pisa hanno avuto sulle elezioni sarde. Ma è solo questione di tempo, anche in vista del G7 che a giugno di terrà in Puglia. «C’è un clima che non mi piace e mi preoccupa nell’anno del G7: vedo toni che mi ricordano anni molto difficili per la nostra nazione», spiega la premier. Tutto quindi è all’esame dei tecnici che dovranno valutare eventuali provvedimenti da inserire, magari con un emendamento, in uno dei decreti sicurezza all’esame di Camera e Senato.
Al netto di eventuali dubbi di costituzionalità, la misura destinata fa discutere maggiormente è il Daspo per i manifestanti già fermati dalla polizia durante un corteo. Misura simile a quella inizialmente applicata alle tifoserie degli stadi ma nel tempo estesa sempre più, fino a diventare nel 2017 un Daspo urbano destinato a punire comportamenti illeciti compiuti all’interno di stazioni, porti, aeroporti ma anche scuole, università, musei o siti archeologici e successivamente ampliata, nel 2020 con il primo decreto sicurezza, alle persone condannate, anche con sentenza non definitiva, per vendita o cessione di stupefacenti, alle quali è vietata la sosta nelle vicinanze di scuole, università o locali pubblici.
Contrariamente a quanto avviene con altri misure restrittive come, ad esempio, il divieto di dimora, a decidere il futuro Daspo non sarà giudice ma il questore. «E’ un terreno pericoloso», ha commentato ieri Filippo Zaratti, capogruppo di Avs in commissione Affari costituzionali della Camera. «Non si possono vietare i diritti costituzionali sulla libertà di manifestare il proprio pensiero attraverso un atto amministrativo come è il Daspo».
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