“Per oltre tre anni ho creduto di poter ottenere giustizia. Così non è stato, ma sono contento che oggi, finalmente, l’Italia stia scoprendo quello che ci è successo”. Per il cittadino tedesco Samuel Sasiharan, 27 anni, ripercorrere quanto accaduto nella questura di Sassuolo (Mo) il 22 dicembre 2020 non è facile, ma dopo l’archiviazione del caso a fine 2023 da parte del gip ha dovuto fare una scelta. Cercare di rimuovere tutto, nonostante gli strascichi psicologici e fisici che quelle ore in commissariato hanno comportato. O esporsi in prima persona, per far conoscere all’Italia una storia ormai sepolta dal punto di vista giudiziario. Sasiharan ha scelto di raccontare, con il supporto del suo fidanzato italiano che come lui ha vissuto in prima persona i presunti abusi denunciati nella questura di Sassuolo. E ora la vicenda, rivelata da Domani, è finita in parlamento.
Il racconto di Samuel – Il 22 dicembre 2020 Sasiharan e il suo ragazzo vengono fermati in un supermercato con l’accusa di tentato furto, a cui poi seguirà un proscioglimento. Ripercorriamo quei momenti con le parole e i ricordi di Sasiharan. “Già dall’inizio ho capito che c’era qualcosa che non andava, quando sono arrivati gli agenti si sono subito focalizzati su di me, la prima cosa che mi hanno chiesto è stata il permesso di soggiorno. Questo nonostante io sia un cittadino tedesco”, spiega il ragazzo, originario dello Sri Lanka.
Dopo le perquisizioni in cui non viene trovato nulla, i ragazzi vengono portati in commissariato. Riprende il ricordo di Sasiharan: “Ci hanno tenuti seduti a distanza, non potevo alzarmi. Davanti a me c’era un agente che continuava a fissarmi con odio. Mi diceva di stare zitto, diceva letteralmente che non gliene fregava un cazzo che non capivo l’italiano. Poi a un certo punto mi ha preso con forza dal braccio e mi ha portato in un altro ambiente”. Qui si consuma la parte della storia mostrata nel video pubblicato da Domani. “Non c’era bisogno di trattarmi in quel modo, ho capito subito che stava per succedere qualcosa di brutto”, continua il ragazzo. “Mi è stato chiesto di spogliarmi completamente nel corridoio davanti alle celle. Mi sono rifiutato, e l’agente mi ha tirato uno schiaffo così forte che sono finito per terra, sul cemento gelido”. Le telecamere in corridoio non ci sono, ma quelle della cella riprendono la parte finale della scena, con Sasiharan rannicchiato con le braccia sulla testa, come a proteggersi da colpi.
“Ho deciso di obbedire come meccanismo di autodifesa. Sono rimasto in biancheria intima, ho provato a dire in italiano che ero stato operato al retto pochi giorni prima e che dunque non volevo togliermi le mutande perché avevo una ferita, ma non ne hanno voluto sapere. L’agente ha voluto vedere la ferita, come a umiliarmi. Mi ha chiesto di piegarmi e infilare due dita nel retto senza che le avessi disinfettate. Tremavo, ho eseguito e ho iniziato a perdere sangue. Questo si aggiungeva al dolore alla mascella per il colpo ricevuto poco prima. Ero messo molto male”, continua. Alla fine il ragazzo viene rinchiuso in cella, dove passa diverse ore. “Mi hanno buttato là dentro, ho avuto un pesante attacco di panico, penso di avere anche perso i sensi, ma nessuno per tutto quel tempo ha preso in considerazione la mia condizione precaria in termini fisici e mentali”.
“Ora ho disturbi d’ansia” – Il suo fidanzato denuncia di aver subito lo stesso trattamento, eccetto le percosse. Una volta liberati vanno in ospedale, poi ci tornano nei giorni successivi, e a Sasiharan viene data una prognosi di venti giorni complessivi per problemi alla mascella, al ginocchio e al retto. Le ripercussioni mentali di questa storia, però, non se ne sono mai andate, a oltre tre anni di distanza. “Ho iniziato a soffrire di attacchi di panico, mi sento molto pesante dentro, assumo psicofarmaci e antidepressivi”, denuncia il ragazzo tedesco, che da quel giorno ha perso 20 chili. “Questa sensazione cresce quando ho a che fare con forze dell’ordine o addetti alla sicurezza, al punto che ho anche iniziato a prendere sempre meno l’aereo. Provo disagio negli spazi chiusi, mi ricordano la cella, mi irrigidisco al contatto con le persone. Da quel giorno è cambiata la mia vita, la quotidianità non è più la stessa”.
La procura di Modena, già nota per aver fatto cadere in passato accuse di abusi in divisa come per la strage nel carcere Sant’Anna di marzo 2020, ha chiesto l’archiviazione dopo che le indagini sono state affidate agli stessi colleghi di polizia dell’agente accusato. A fine 2023 il gip ha archiviato. Ora la vicenda è finita alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dove i due ragazzi hanno presentato ricorso. “Per tre anni siamo stati in silenzio, abbiamo lasciato spazio alla magistratura convinti che avremmo ottenuto giustizia. Non è stato così, peraltro in un modo paradossale”. Nell’archiviazione, il gip riconosce in effetti il comportamento poco professionale dell’agente indagato (uno solo, per quanto i due ragazzi abbiano denunciato più agenti), ma nonostante questo non vi è stato alcun rinvio a giudizio. “La giustizia non ha fatto il suo corso, e abbiamo capito che per noi, ma anche per chi dovesse vivere situazioni come la nostra, avevamo una sorta di responsabilità: esporci, denunciare tutto pubblicamente, far uscire il materiale che racconta meglio di ogni altra cosa questa orribile storia”, chiosa Sasiharan.
La vicenda in parlamento – Dopo l’inchiesta di Domani, la vicenda è finita in parlamento con una raffica di interrogazioni (da Italia Viva al Pd) che chiedono un’ispezione per i fatti accaduti a Sassuolo. “Non so cosa aspettarmi dal parlamento italiano. Ci fidiamo, speriamo non ci deluda”. |