“La repressione che stanno attualmente affrontando gli attivisti per il clima che praticano la disobbedienza civile pacifica in Europa rappresenta una grave minaccia per la democrazia e i diritti umani”. Non ha usato mezzi termini Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dell’ambiente ai sensi della Convenzione di Aarhus, nel position paper pubblicato a fine febbraio in cui denuncia la crescente repressione di cui sono vittima i giovani (ma non solo) che organizzano manifestazioni, proteste e flash mob per chiedere ai governi, alle istituzioni e alle aziende fossili un’azione politica rapida ed efficace per contrastare il cambiamento climatico.
Il documento è il risultato di un’indagine durata un anno, durante la quale Forst ha raccolto testimonianze da Regno Unito, Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo. Tutti Paesi che aderiscono alla Convenzione di Aarhus, un trattato internazionale volto a garantire all’opinione pubblica europea l’accesso alle informazioni, al dibattito e alla giustizia in materia di ambiente.
“L’emergenza climatica che stiamo affrontando, e che gli scienziati hanno documentato per decenni, non può essere affrontata se coloro che lanciano l’allarme e chiedono di agire vengono criminalizzati”, ha scritto il relatore speciale, evidenziando come questa tendenza si sia accentuata nel corso del 2023 e riguardi almeno quattro dimensioni: i media e il discorso politico, la normativa, l’applicazione della legge e i procedimenti giudiziari.
Dalla Francia alla Spagna, dalla Germania al Regno Unito passando per l’Italia, il relatore speciale elenca una serie di episodi che fanno comprendere quanto si sia inasprita la repressione ai danni degli attivisti per il clima. A partire dai termini utilizzati -come “ecoterroristi”- da molti media: “In molti Paesi sembra essere diventato accettabile paragonare i blocchi stradali o l’occupazione di un cantiere, alla criminalità organizzata, al terrorismo, alla violenza e all’uccisione di civili”, si legge nel paper in cui si stigmatizza il fatto che molti esponenti politici “confondono deliberatamente ‘disagio’ con ‘violenza’, giustificando così l’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti”.
In molti Paesi le parole si sono così tradotte in norme che sanzionano anche le proteste pacifiche e persino azioni di protesta specifiche messe in atto dai movimenti per il clima. Nel Regno Unito, ad esempio il Police crime sentencig and courts act del 2022 consente alla polizia di limitare e vietare gli assembramenti pubblici “rumorosi”, prevede pene fino a dieci anni di reclusione per le proteste che vengono definite “inaccettabili”, lasciando alla discrezionalità del ministero dell’Interno l’applicazione di questa definizione.
Mentre il Public order act del 2023 introduce nuovi reati penali che rendono illegali alcune forme di protesta (ad esempio agganciarsi a un ponte o incollarsi all’asfalto) e persino essere “attrezzati” per compiere tali atti, ad esempio portando con sé un lucchetto per la bicicletta. “La scheda informativa del governo britannico su questa norma -si legge nel paper del relatore speciale- fa espressamente riferimento alle proteste ambientali di Extinction Rebellion, Insulate Britain e Just Stop Oil, tutti movimenti pacifici, come motivo per l’approvazione di questa legge”.
Le prime sentenze sulla base di queste normative sono già state emesse: Stephen Gingell, 57enne di Manchester e padre di tre figli, il 14 dicembre 2023 è stato condannato a sei mesi carcere per aver partecipato a una marcia “lenta” lungo una strada di Londra che aveva come obiettivo quello di rallentare il traffico.
Anche l’Italia viene citata, con un riferimento alla cosiddetta legge “eco-vandali” approvata a gennaio 2024 che punisce con pene fino a cinque anni di detenzione e multe fino a diecimila euro il danneggiamento di monumenti e opere pubbliche. Con una postilla paradossale: fino a sei mesi di carcere e una sanzione fino a mille euro per chi getta vernice sulla teca protettiva di un quadro o il basamento di una statua.
Anche quando non sono state approvate leggi ad hoc, in molti Paesi europei gli attivisti per il clima vengono incriminati per pene più severe rispetto alle violazioni che venivano comminate alcuni anni fa. In Francia, ad esempio, i manifestanti che avevano bloccato una strada sono stati accusati non solo di “ostruzione del traffico” ma anche di “aver messo in pericolo” delle vite. In Portogallo fino al 2023 i partecipanti alle proteste pacifiche non erano mai stati sanzionati, ma da quell’anno si è assistito a un giro di vite con arresti sistematici di tutti coloro che si rifiutavano di interrompere manifestazioni e sit-in, con l’accusa di non aver rispettato gli ordini della polizia.
Gli episodi più eclatanti elencati nel paper di Michel Forst riguardano la criminalizzazione di alcuni specifici gruppi, come Soulèvements de la Terre, un movimento francese nato dal basso e forte di circa 100mila aderenti che è stato sciolto per decreto dal governo francese nel giugno 2023 e che solo a novembre 2023 ha potuto tornare a operare dopo la decisione del Consiglio di Stato. In Spagna, alcuni attivisti di Futuro Vegetal sono stati indagati per la loro presunta appartenenza a “un’organizzazione criminale”, un’accusa che pende anche sul movimento Letzte generation in Austria e Germania.
“Anche i tribunali hanno contribuito in modo significativo alla repressione dei difensori dell’ambiente attraverso -continua Forst-. Nel Regno Unito attivisti pacifici sono stati posti in detenzione preventiva, talvolta anche in isolamento o hanno ricevuto severe condizioni di libertà provvisoria, tra cui l’obbligo di presentarsi presso le stazioni di polizia, di rispettare un coprifuoco o restrizioni sugli spostamenti e sulle persone che possono incontrare. In Polonia ad alcuni è stato richiesto di presentarsi due volte alla settimana a una determinata stazione di polizia, talvolta a una distanza significativa dal loro luogo di residenza”.
Il documento del relatore speciale si chiude con una serie di raccomandazioni agli Stati, che devono innanzitutto agire per affrontare la crisi climatica e intervenire per contrastare le narrazioni che presentano i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali. Chiede poi ai governi di rispettare gli obblighi internazionali relativi alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione nella loro risposta alle proteste ambientali e alla disobbedienza civile e di cessare immediatamente l’uso di misure concepite per l’antiterrorismo e la criminalità organizzata contro i difensori dell’ambiente.
“L’unica risposta legittima alle mobilitazioni pacifiche e alla disobbedienza civile è che le autorità, i media e l’opinione pubblica si rendano conto di quanto sia essenziale per tutti noi ascoltare ciò che i difensori dell’ambiente hanno da dire”, conclude Forst. |