Riproponiamo per il terzo anno consecutivo all’interno del Torneo Ultras “Francesco per Sempre” una serata contro gli abusi di potere delle forze dell’ordine in Italia. Con questa serata vogliamo creare un momento di riflessione, per sviluppare una sempre maggiore coscienza comune sul fatto che in Italia esiste realmente un “allarme-polizia” e che miete decine di morti e feriti gravi ogni anno. Riscontrando poi il totale disinteresse delle istituzioni a tale problematica riteniamo che solo con una presa di coscienza dal basso si possa realmente cambiare qualcosa e ottenere una parità di trattamento fra un cittadino e un cittadino in divisa. In questi dieci anni, dal G8 di Genova in poi, considerato dai più, non a torto, il carburante che ha spostato l’asticella del serbatoio verso il full della repressione e degli abusi di potere, si sono susseguiti episodi di maltrattamenti o ancor peggio di uccisioni di soggetti trovatisi ad avere a che fare con chi dovrebbe garantire al contrario sicurezza ai cittadini. Ad aumentare la cronaca e la denuncia di questi episodi, ovviamente non è la stampa “istituzionale” che ben si guarda da trattare certi argomenti se non a piccole gocce e distribuite qua e là, tali da non disturbare il gregge (maggioranza purtroppo di questo Paese) nel suo pascolo recintato e che non deve sapere ciò che accade oltre quel recinto. Il merito di Internet in queste denunce è innegabile, la libera espressione concessa da questo strumento senza vincoli, unito a familiari e amici delle vittime più coraggiosi del passato e più convinti nella richiesta di giustizia. Viene subito in mente il blog della mamma di Aldrovandi, le foto shock del cadavere del fratello pubblicate dalla sorella di Cucchi, la denuncia degli Ultras del Brescia nel raccontare la loro versione dei fatti sugli accadimenti alla stazione di Verona, dopo la partita con l’Hellas, dove uno di loro, Paolo Scaloni, è stato reso invalido al 100% dentro una cabina di un treno da 7 solerti tutori dell’ordine armati di manganello e travisati in volto con fazzoletti amaranto e caschi blu, e tanti altri casi che grazie soprattutto alla rete sono venuti alla luce. Prima dell’avvento di Internet e degli episodi del G8 di Genova, che hanno aperto uno squarcio di dubbi, almeno in una parte d’opinione pubblica riguardo ai sistemi utilizzati dagli sbirri, è giusto ricordare che tanti altri ragazzi sono morti in analoghe situazioni, le uniche che giungono fino a noi sono però solo quelle di ragazzi vittime di abusi, in avvenimenti legati ad una gara di calcio, non perché in altri ambiti non accadessero, ma perché negli stadi c’erano gli Ultras, e grazie alle loro denunce, fatte di strumenti semplici (striscioni, comunicati, manifestazioni), squarciavano il silenzio che la “ben pensante” società che li circondava (non diversa da quella odierna, ma per certi versi peggiore) creava intorno a queste tragiche vicende. Grazie ai ragazzi delle curve conosciamo queste storie che: in alcuni casi ancora attendono giustizia, in altri hanno smesso anche di attenderla. Ve ne raccontiamo qualcuna, per non dimenticare: - Giuseppe Plaitano, 48enne ex Maresciallo di Marina, 4 figli. 28 aprile 1963, stadio Vestuti di Salerno, Salernitana – Potenza. Al 77° minuto lo stadio insorge per un rigore negato, i tifosi invadono il campo a caccia dell’arbitro che scappa negli spogliatoi. Sfilano le camionette della Polizia, mentre anche le squadre piombano negli spogliatoi, per rimanervi asserragliate a lungo; fioccano i lacrimogeni, che le Forze dell'Ordine utilizzano per disperdere i facinorosi. L'assedio dura 7 ore. Si odono anche degli spari, la Polizia ritiene “opportuno” esplodere dei colpi in aria per intimorire ulteriormente i tifosi. E' un attimo; il capo che reclina su un lato, il corpo che si adagia sui gradoni. Plaitano è stato appena raggiunto alla tempia da un proiettile vagante. Nessun responsabile. - Stefano Furlan, 20 anni tifoso della Triestina, al termine di Triestina-Udinese di coppa Italia Mercoledì' 8 febbraio 1984, viene colpito al capo da diverse manganellate e finisce in questura. Dopo degli accertamenti viene rilasciato, subito dopo inizia ad avvertire i primi dolori alla testa. Il mattino seguente Stefano sta molto male e viene portato in ospedale dove perde i sensi nella sala del pronto soccorso. Entra in coma profondo e dopo 21 giorni di agonia giovedì 1/3/1984 muore. Nel novembre 1985 la corte d'assise di Trieste condanna ad un anno di reclusione con i benefici della legge l'agente che colpì Stefano. - Celestino Colombi, 41 anni di Bergamo. Quel giorno, 10/1/1993, c’è la partita Atalanta – Roma. L’Atalanta aveva sconfitto la squadra capitolina per 3 a 1, confermandosi la terza forza del campionato. I tifosi della Roma se ne erano già andati, quando la ferocia della celere di Padova si abbatte sui tifosi bergamaschi, rimasti nel piazzale a bere qualcosa attorno al bar-edicola. La carica è devastante, molti sono i feriti, a un ragazzo viene rotto un braccio. Ma il dramma si consuma a cento metri dal bar, in via dei Celestini. Colombi sta passando nella zona per prendere l’autobus. Non è nemmeno andato allo stadio e non è un tifoso, si è soltanto trovato nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. La polizia sta correndo nella sua direzione, ma non fa nemmeno a tempo a colpirlo, perché Colombi si accascia al suolo e non si rialzerà più. Viene soccorso dai tifosi e giungerà all’ospedale Maggiore, dove i medici non potranno far altro che constatarne il decesso. Il cuore di Celestino non ha retto, la polizia a volte può far - Fabio Di Maio, 32 anni, tifoso del Treviso, il 1/2/1998 nel dopopartita di Treviso - Cagliari muore ufficialmente per un arresto cardiaco in seguito ad una carica della polizia per sedare un accenno di rissa tra le opposte tifoserie. Nonostante le continue richieste, nessuna inchiesta è stata mai aperta. Con questo rivendichiamo la paternità come Ultras di certe tematiche, come della repressione in generale del resto, quella che oggi vediamo crescere nelle strade e la stessa che non meno di 15 anni fa prevedevamo con il famoso slogan “Oggi per gli Ultras domani in tutta la città”, quando per primi come cavie sociali abbiamo provato sulla nostra pelle misure incostituzionali atte a sconfiggere la nostra libertà di movimento e di pensiero. Sia chiaro che tale rivendicazione di paternità non ha scopi autocelebrativi del tipo “l’avevamo detto”, tutto ciò è per spiegare che tali abusi non sono casi isolati e non partono solo dagli avvenimenti avvenuti negli ultimi 10 anni, ma hanno radici profonde, non si tratta di mele marce, all’interno delle forze dell’ordine, come qualcuno vorrebbe farci credere, ma sono invece frutto di un sistema marcio. Auspichiamo che grazie ai nuovi strumenti offerti dalla rete, sempre più persone abbiano il coraggio di denunciare gli abusi di potere per far si che ci sia sempre una maggiore presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, affinché si giunga veramente ad attribuire responsabilità e pene severe non solo delle braccia che provocano gli abusi, ma anche di chi dall’alto del proprio potere garantisce impunità agli stessi, facendo orecchie da mercanti di fronte a sacrosante richieste di “civilizzazione” di questo Paese anche attraverso strumenti quali: i codici alfa-numerici sulle divise e sui caschi di chi deve garantire l’ordine pubblico, e l’introduzione del reato di tortura in Italia (unico Paese dell’UE a non riconoscere tale reato), la cui assenza attualmente permette alla maggior parte degli sbirri di cavarsela con pene irrisorie, mentre ai corpi che capitano sotto le loro mani quando non riescono a togliere la vita lasciano “pene” eterne. |