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L’estate al Cpr di Milano: Acqua bollente, 45 gradi percepiti e cibo avariato

 

FONTE:altreconomia

 

Nicola Cocco, infettivologo e membro della rete Mai più Lager – No ai Cpr ha fatto accesso alla struttura di via Corelli a metà luglio. I 46 trattenuti vivono in condizioni insalubri. Intanto, la gara indetta dalla prefettura di Milano per la nuova gestione è in stallo. E il Gip ha prorogato fino a settembre l’amministrazione giudiziaria del centro posto sotto sequestro a fine 2023

 

Circa 45 gradi percepiti nelle stanze, nessun sistema di ventilazione e l’impossibilità di fare docce fredde per un guasto tecnico. Sono le condizioni in cui vivono i 46 reclusi all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano sotto amministrazione giudiziaria dopo l’inchiesta della Procura.

“Un film dell’orrore”, come lo descrive il dottor Nicola Cocco della rete Mai più lager – No ai Cpr che nel pomeriggio di giovedì 18 luglio, insieme al consigliere regionale della Lombardia Luca Paladini, ha visto di nuovo che cosa succede al di là delle inferriate. “Faremo al più presto una segnalazione alle autorità competenti -spiega l’infettivologo-, vivere in quelle condizioni è molto pericoloso per la salute delle persone trattenute”.

Termometro alla mano, Cocco ha misurato la temperatura presente nei moduli abitativi registrando 35 gradi, due in più dell’esterno, con un’umidità del 60% per una temperatura percepita di 45 gradi. Una situazione resa ancor più grave dalla mancanza, come detto, di un sistema di arieggiamento che fa sì che questa temperatura sia costante per tutto il giorno. Inoltre, le lenzuola fornite per coprire i materassi non sono in cotone e, a contatto con il sudore si sfaldano. “Questo spinge le persone a vivere e a dormire nel cortile per cercare sollievo tra immondizia e insetti -spiega il medico-. L’immagine orribile che mi porto a casa è quella di persone che vivono come se fossero in strada, nonostante siano in custodia nelle mani dello Stato”.

Alla rete Mai più lager – No ai Cpr è arrivata dall’interno anche una lamentela rispetto al fatto che l’acqua da bere fornita sia bollente. “È così”, riprende Cocco che racconta come il problema, secondo quanto riportato anche dagli operatori del centro è che il camion che scarica i bancali d’acqua non riesce a far manovra a causa dei lavori in corso nella struttura. “L’acqua viene quindi immagazzinata sotto il sole per poi, un po’ alla volta, essere portata dentro. Peccato che in quella stanza ci siano più di 30 gradi: a queste temperature e sotto il sole, il Pvc rischia di rilasciare sostanze potenzialmente tossiche”.

Due guasti tecnici, poi, peggiorano la situazione. Da qualche giorno non è possibile fare la doccia con l’acqua fredda (“l’unica possibilità di refrigeramento”, sottolinea Cocco) e inoltre il frigorifero della struttura è rotto. Risultato? “Il cibo fresco si deteriora nel giro di qualche ora e diventa, al di là dell’insalubrità, di fatto immangiabile”.

In queste condizioni il rischio di effetti negativi sulla salute aumenta. Sotto diversi punti di vista. Alcune persone incontrate dalla delegazione soffrono di asma e hanno avuto problemi cardiologici, molte invece portavano i segni di eruzioni cutanee strettamente connesse all’insalubrità del contesto di vita in cui si ritrovano, che incidono fortemente anche sulla salute mentale. “Come succede anche in carcere, l’estate, il caldo, aumentano la sofferenza delle persone perché sono portate a rimuginare sulle preoccupazioni aggravando la loro condizione di malessere”, spiega Cocco che dà conto di alcuni casi eclatanti incontrati nel pomeriggio della visita a metà luglio.

“Un ragazzo soffre di epilessia ma non ha nessun documento che lo provi: nonostante il neurologo abbia scritto che non è possibile né accertare né escludere questa patologia, lui è ancora dentro. Questa è una condizione che, per il principio di precauzione, deve portare alla dichiarazione di inidoneità alla reclusione. Il rischio che qualcosa vada storto in caso di crisi è elevatissimo. Un altro, invece, era visibilmente sedato nonostante non avesse nessuna diagnosi né prognosi”.

Nella notte tra mercoledì 17 e giovedì 18 luglio, in segno di protesta, un trattenuto ha appiccato un incendio. Struggente il video, pubblicato sempre dalla rete Mai più lager – No ai Cpr, in cui i trattenuti, riversi nel cortile, vedendo l’elicottero dei carabinieri che sorvola la struttura per monitorare la situazione, chiedono aiuto. “Siamo qua”, grida uno di loro. “In molti mi hanno detto che non sanno perché sono in quel luogo e ovviamente per quanto tempo dovranno restare. E la storia che ormai sentiamo ripetere da anni”.

Da sette mesi il Cpr di via Corelli è sotto amministratore giudiziario dopo che la Procura di Milano aveva disposto il sequestro nell’ambito dell’inchiesta per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture nei confronti della Martinina Srl, ente gestore del centro. Il 17 luglio il Giudice per le indagini preliminari (Gip) ha prorogato il commissariamento di altri tre mesi. A settembre il commercialista Giovanni Falconeri dovrà stilare una relazione di questi mesi di gestione e poi il giudice valuterà o meno la proroga.

Dal 20 maggio intanto è aperta la gara pubblica indetta dalla prefettura per la nuova gestione. Sul sito dell’ufficio territoriale del Viminale non ci sono aggiornamenti ma dal portale dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) si sa che i concorrenti sono due. Una è la cooperativa sociale Sanitalia service, con sede a Torino, attiva nell’ambito sociosanitario con 25 strutture in gestione (e due Centri di accoglienza straordinaria ad Asti), che si è affacciata per la prima volta nel mondo della detenzione amministrativa partecipando alla gara d’appalto per la gestione dei centri in Albania.

Sanitalia si contenderà la gara da oltre 7,7 milioni di euro di importo (stimato) con la cooperativa sociale Ekene, attuale ente gestore del Cpr di Macomer (NU) e di Gradisca d’Isonzo (GO) al centro anche dell’inchiesta “Cpr fuori controllo”. Proprio a Gradisca, le proteste dei trattenuti sono quotidiane. In otto, a inizio luglio, sarebbero rimasti per tre giorni sul tetto. La calda estate nei Cpr italiani è solo all’inizio.

 

Luca Rondi