Il Disegno di Legge Governativo n.1660, attualmente in discussione presso la Camera dei Deputati, in molte delle sue norme si pone in evidente contrasto con una serie di principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell’immigrazione e del diritto penitenziario. A denunciarlo è stato nei giorni scorsi anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), in un suo documento di analisi di questo provvedimento, affermando che: “La maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto”. Le nuove disposizioni che il Governo vorrebbe introdurre appaiono, infatti, impostate ad una logica repressiva e disumanizzante: la sicurezza è declinata solo in termini di proibizioni e punizioni, ignorando che è, prima di tutto sicurezza sociale, lavorativa, umana e dovrebbe essere finalizzata all’uguaglianza delle persone. Il disegno di legge del Governo strumentalizza, invece, le paure delle persone e contravviene ai doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione. Le norme spingono verso una criminalizzazione del dissenso e delle lotte sociali, trasformando in reati comportamenti che hanno a che fare con la protesta, il disagio e la marginalità sociale. L’introduzione del delitto di rivolta penitenziaria rischia di cambiare irrimediabilmente il volto del sistema penitenziario, prevedendo anche la punibilità della resistenza passiva a un ordine dell’agente di Polizia, senza neanche specificare se legittimo. Le norme del disegno di legge governativo si ispirano a un modello di diritto penale di matrice autoritaria e non liberale che risponde ad una ben chiara matrice culturale e politica, di dubbia consistenza democratica. Con il presente documento Antigone e ASGI esprimono la loro grande preoccupazione per gli effetti di questo disegno di legge del Governo sul nostro ordinamento giuridico, sui diritti dei cittadini e delle persone migranti e che segna una deriva di natura autoritaria estremamente pericolosa. Qui di seguito alcune osservazioni critiche sulle norme ritenute più pericolose e illiberali.
Si estende all’infinito la nozione di terrorismo in modo vago e non tassativo
L’art. 1 prevede l’introduzione nel codice penale di due nuove figure di reato: la prima punisce con la reclusione da 2 a 6 anni chiunque “consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso di congegni bellici micidiali, di armi da fuoco o di altre armi o di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo”; la seconda consiste nell’introduzione all’art. 435 c.p. - che punisce con la reclusione da 1 a 5 anni la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti, al fine di attentare alla pubblica incolumità - di un nuovo comma che sanziona, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, la distribuzione con qualsiasi mezzo o la pubblicizzazione di materiale contenente istruzioni sulla fabbricazione di tale materiale. Entrambe queste norme si configurano come un’ulteriore anticipazione della soglia di rilevanza penale nei confronti di soggetti che non risultano inseriti in alcuna organizzazione terroristica, punendo il solo fatto di essersi procurati materiale relativo all’uso di armi o al compimento di atti di violenza, o alla diffusione di materiali con istruzioni per fabbricare questo materiale, anche se non hanno ancora compiuto quei “comportamenti univocamente finalizzati alla commissione di condotte con finalità di terrorismo”.
Si facilita la revoca della cittadinanza italiana per gli stranieri
Si vuole rendere sempre più difficile la permanenza in Italia di persone straniere che hanno già conseguito la cittadinanza italiana, qualora abbiano commesso un reato, anche se minore. La revoca della cittadinanza fino a dieci anni dal fatto commesso trasforma la pena in vendetta. La revoca della cittadinanza finirebbe così per costituire una seconda pena, che potrebbe giungere a distanza di decenni e che colpirebbe, violando il principio di uguaglianza, per le ragioni sopra indicate, solo una determinata categoria di cittadini italiani (quelli originariamente stranieri).
Si reprimono i movimenti per il diritto alla casa punendo con il carcere l’occupazione abusiva di immobili
Il Governo intende non solo introdurre il nuovo reato di “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, ma aumentare la pena da 2 a 7 anni di reclusione, anche per chi coopera nell’occupazione, così escludendo la possibilità di applicare le sanzioni sostitutive della pena per questi ultimi. Evidente è l’intento di criminalizzare sempre di più il fenomeno sociale delle occupazioni di immobili, dimostrandosi il legislatore indifferente al bisogno di abitazione di una larga fascia della popolazione. L’obiettivo del Governo è anche quello di colpire quella parte dei movimenti sociali che, in assenza di un intervento statale in questo ambito, si fanno carico del bisogno abitativo; non a caso, alla medesima pena da 2 a 7 anni soggiace anche chi “coopera” nell’occupazione. Un ulteriore aspetto che desta profonda preoccupazione riguarda l’aumento dei poteri della polizia che può intervenire immediatamente, senza autorizzazione scritta dell’Autorità giudiziaria, qualora l’occupazione sia l’unica abitazione effettiva del denunciante.
Si punisce il blocco stradale degli attivisti ambientali
Solo se usano il corpo. In origine il solo blocco stradale era punito come illecito amministrativo, ad eccezione delle ipotesi in cui il fatto integrasse la fattispecie di interruzione di pubblico servizio. La norma era stata già oggetto di un intervento di depenalizzazione da parte del legislatore. La proposta trasforma la sanzione amministrativa in un illecito penale che prevede la reclusione fino a un mese, ovvero la multa fino a 300 euro, estendendo altresì tale sanzione a chi impedisce la libera circolazione anche su una strada ferrata. Viene introdotta altresì un’aggravante speciale ad effetto speciale la quale prevede la pena da sei mesi a due anni di reclusione se il blocco stradale o ferroviario attuato “con il proprio corpo” è commesso da più persone riunite. Tale proposta va contro i cc.dd. “eco-attivisti”, che appaiono a prima lettura come gli specifici destinatari della proposta legislativa, che ha dunque una evidente finalità repressiva e criminalizzante del dissenso politico.
Si torna alla detenzione in carcere per le detenute madri di bimbi piccoli o per donne recluse in stato di gravidanza
Oggi, l'art. 146 c.p. prevede il rinvio obbligatorio della pena detentiva nel caso di donna incinta o madre di un bambino di età inferiore a un anno. L’interesse superiore del minore è, in tutta evidenza, di vivere fuori dal carcere e non è necessaria una valutazione individuale per stabilirlo. Dal primo al terzo anno di vita del bambino, la decisione di differire o meno la pena viene invece lasciata alla valutazione del giudice. Il nuovo articolo elimina il rinvio obbligatorio della pena creando così un vulnus intollerabile dal sistema giuridico, socio-sanitario e pedagogico per il minore. La nuova disposizione è pensata, nonché pubblicamente raccontata, come norma anti-rom, partendo dal pregiudizio che le donne rom sono tutte dedite al furto e che scelgono la maternità per sottrarsi alla carcerazione.
Si punisce oltre la ragionevolezza chi fa l’elemosina
L’art. 13 modifica i delitti previsti dall’art. 600-octies c.p. Per quanto riguarda l’impiego di minori nell’accattonaggio, la punibilità è estesa ai minori di sedici anni, anziché quattordici, con un importante innalzamento della pena prevista, ossia la reclusione da uno a cinque anni. La possibilità di comminare pene detentive importanti a partire da condotte dai confini assai sfumati come “l'induzione" appare molto pericolosa qualora la mendicità (di adulti o adolescenti) venga praticata da gruppi (come alcune comunità rom) tradizionalmente oggetto di stigmatizzazione penale, con il rischio di aumentare a dismisura gli strumenti punitivi azionabili sulla base di scelte discrezionali delle forze di polizia.
Aumentano le pene per resistenza e violenza contro gli agenti di polizia
La proposta di legge prevede un aumento di pena in caso di violenza o resistenza commessa nei confronti di un agente di polizia. La nuova norma crea all'interno della categoria dei pubblici ufficiali un sottoinsieme composto solo da agenti di polizia. In questo modo, un atto di violenza contro un agente di polizia è punito più severamente rispetto a quello commesso contro un giudice, ad esempio. La pena massima può arrivare fino a sette anni. La norma ci riporta ad una vecchia e poco liberale idea di diritto penale, posta a tutela non dei cittadini ma dello Stato. Un modello di polizia così costruito è in conflitto con l'idea stessa di una polizia democratica e di prossimità che deve essere la prima garanzia pubblica a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e degli stranieri, come specificato nei documenti dell'OSCE e del Consiglio d'Europa. Inoltre introduce per questi reati una circostanza aggravante a effetto speciale, in quanto l’aumento della pena è previsto nella misura fissa di un terzo, anziché fino a un terzo, e non è consentito il bilanciamento di questa aggravante con le attenuanti. Si sottrae al giudice lo strumento del bilanciamento tra le circostanze.
Delitto di rivolta penitenziaria: si punisce la resistenza passiva a un ordine, senza specificare se legittimo
Il nuovo delitto di rivolta penitenziaria cambia per sempre il volto del sistema penitenziario facendolo tornare a periodi bui nei quali i detenuti erano costretti a obbedire con la testa bassa. E' un delitto che colpisce fatti e comportamenti già sanzionati dalla legge come la violenza. Nel prevedere tra le modalità della rivolta anche la resistenza passiva a un ordine, senza neanche specificare se legittimo, si stravolge il buon senso, si punisce anche una disobbedienza non cattiva, si fa un passo verso lo Stato di Polizia. E' una norma anti-democratica che solo paesi illiberali possono permettersi di avere nei loro codici. I rivoltosi sono trattati dal punto di vista penitenziario al pari di mafiosi e terroristi e perderebbero ogni beneficio. La violenza commessa da un detenuto nei confronti di un agente penitenziario, già ampiamente perseguita in precedenza, viene ora equiparata alla resistenza passiva e al tentativo di fuga. In breve, se tre detenuti che condividono la stessa cella sovraffollata si rifiutano di obbedire all'ordine di un agente di polizia, in modo non violento, saranno accusati di rivolta. Un detenuto, ad esempio, entrato in carcere per scontare pochi mesi per un semplice furto, potrebbe rimanervi per 8 anni, senza poter accedere ai benefici penitenziari, dal momento che la rivolta, così come l'istigazione alla disobbedienza, è equiparata ai reati di mafia e terrorismo ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari, secondo quanto previsto dall'art. 25, co. 1 del d.d.l. Nella vita carceraria di tutti i giorni, questa norma sarà un'arma di ricatto per indurre alla disciplina e al silenzio i detenuti che non avranno la possibilità di dissentire, protestare ovvero opporsi a qualsiasi ordine carcerario. La norma si applica anche nei centri di detenzione amministrativa per migranti e finanche negli hotspot o nei centri di accoglienza per richiedenti asilo. |