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Il carcere italiano è fondato sul razzismo

 

FONTE:il domani

 

Il trattamento penitenziario cambia in base alla nazionalità: agli stranieri arresti domiciliari negati e più custodia cautelare in carcere, anche se la maggior parte è in cella per piccoli reati. Per loro non esistono misure alternative. Il 32 per cento è in custodia cautelare in attesa del processo, un dato più alto rispetto ai detenuti italiani. Il caso delle strutture minorili.

 

 

Qualche giorno fa l’eurodeputata Ilaria Salis, durante un incontro a Milano col fumettista Zerocalcare, ha detto che il carcere in Italia è razzista. Come esempio, ha riportato la situazione nell’istituto penitenziario milanese di San Vittore, dove la maggioranza dei detenuti è di origine straniera. L’estratto dell’intervento di Salis è diventato virale tra i profili della destra, che hanno letto il dato nella chiave che più gli faceva comodo: non è il carcere razzista, sono gli stranieri che delinquono più degli italiani.

Una strumentalizzazione della realtà che non tiene conto di una cosa, la più importante. Una persona straniera finisce in carcere molto più velocemente di una persona italiana, così come ci resta molto più facilmente. Dietro c’è un discorso di marginalità e di mancate opportunità offerte dallo stato italiano, ma anche di discriminazione quando si tratta di custodia cautelare e pene alternative. Un tema su cui di recente è intervenuta anche l’Onu.

Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, al 31 marzo 2024 i detenuti stranieri nelle carceri italiane erano 19.108, pari al 31,3 per cento del totale della popolazione detenuta. Questo significa che quasi un detenuto su tre, in Italia, è straniero. Il fatto che la popolazione straniera in Italia raggiunga quasi il 9 per cento e che la popolazione straniera nelle carceri sia superiore al 31 per cento dimostrerebbe, a una lettura superficiale, che gli stranieri delinquono più degli italiani.

Ma le cose sono più complesse di così. Intanto va detto che la presenza di stranieri in carcere è in costante diminuzione: se oggi supera di poco il 31 per cento, fino a una quindicina di anni fa raggiungeva il 37 per cento. La popolazione straniera nel frattempo è quasi raddoppiata, e basterebbe questo per confutare l’equazione per cui all’aumento degli stranieri aumenta la delinquenza.

Ma, al di là di questo, è proprio la parola “straniero” a essere problematica. Non c’è uno straniero, ci sono tante comunità diverse. Negli ultimi 15 anni il tasso di detenzione dei romeni nelle carceri italiane è diminuito di un terzo, e altre comunità come quella cinese o filippina, la cui presenza in Italia è stabilizzata da decenni, hanno tassi di detenzione non differenti da quelli degli italiani. In pratica, i dati dicono che le comunità straniere maggiormente rappresentate in carcere sono quelle arrivate per ultime, come quella magrebina.

Razzismo sistemico – Per andare più a fondo della questione occorre analizzare perché le persone straniere si trovano recluse. Il rapporto 2024 di Antigone sottolinea che gli stranieri rappresentano il 2,73 per cento delle persone detenute per associazione a delinquere di stampo mafioso, il 18,87 per cento di quelle detenute per delitti contro l’ordine pubblico, il 28,23 per cento dei detenuti per delitti contro il patrimonio e il 29,11 per cento dei detenuti per violazione della normativa sulle droghe.

Gli stranieri sono insomma in carcere perlopiù per piccoli reati, incastrati in un sistema che spesso li conduce nell’illegalità per sopravvivere. E, una volta che finiscono in carcere, non riescono più a uscirne. Agli stranieri viene applicata con maggiore rigore la custodia cautelare in carcere: il 32 per cento degli stranieri detenuti adulti è in attesa del primo grado di giudizio, un numero ben più alto rispetto ai detenuti italiani. Nelle carceri minorili gli stranieri in custodia cautelare sono addirittura il 75 per cento, gli italiani il 57 per cento.

Il 44 per cento dei detenuti stranieri ha condanne inferiori a un anno, e, se per un italiano, nella medesima situazione, si aprono nella maggior parte dei casi le porte della misura alternativa alla pena, per gli stranieri non è così. Un problema riguarda la comunicazione: nelle carceri italiane mancano traduttori e interpreti, e questo rende di fatto impossibile anche solo impostare percorsi alternativi al carcere. Poi c’è il tema delle garanzie: provenendo spesso da contesti di marginalità, spesso di irregolarità, per i detenuti stranieri mancano elementi come un domicilio stabile, reti familiari e risorse economiche e sociali.

La risposta dello stato non è trovare soluzioni come comunità e altre strutture, ma tenere queste persone in carcere, spesso spostandole come pacchi. Come sottolinea lo stesso ministero della Giustizia, il sovraffollamento porta a continui trasferimenti dei detenuti, e questi riguardano soprattutto gli stranieri, perché privi di legami con il territorio, costretti dunque a ricominciare ogni volta il loro delicato percorso di ambientamento in carcere. Il diverso trattamento tra italiani e stranieri lo si vede infine nel caso delle detenute-madri: quelle straniere rappresentano oltre il 50 per cento del totale. Non solo non si trova il modo di tirarle fuori, ma diventano persino oggetto di leggi ad hoc, come l’ultimo ddl Sicurezza nella parte sulle donne incinte. Nei mesi scorsi una delegazione di tre esperti dell’Onu ha visitato le carceri italiane. Nel report finale sono state espresse preoccupazioni per l’incarcerazione sproporzionata di africani e di persone di discendenza africana. Nella relazione si parla esplicitamente di razzismo sistemico per quanto riguarda l’esecuzione penale in Italia.

 

Luigi Mastrodonato